Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

 
 

La strategia della tensione, allora ed oggi

Gli episodi di terrorismo a Londra e il loro contesto storico e strategico

EIR, 27 luglio – Le indagini sulle bombe del 7 luglio a Londra, e gli strascichi della vicenda verificatisi il 21 luglio, appaiono decisamente caotiche e la confusione è ulteriormente amplificata dal modo in cui i mezzi d'informazione riferiscono in merito alla questione. È una situazione che presenta dei paralleli con le attività terroristiche del passato, quelle della "strategia della tensione", che possono essere molto utili per comprendere ciò che ufficialmente si vorrebbe etichettare come "terrorismo islamico".
Le quattro bombe inesplose, rinvenute il 21 luglio, sono state accolte dalle autorità londinesi come una "bonanza di prove forensi": gli ordigni darebbero agli investigatori tutta una serie di "prove" con cui procedere nelle indagini. Il Commissario della polizia metropolitana Sir Ian Blair ha dichiarato, secondo quanto riferito dal Times: "Qui c'è una risonanza. Ci sono quattro attacchi adesso e ci sono stati quattro attacchi prima. Siamo convinti che questo potrebbe costituire un significativo passo avanti grazie al materiale forensico rivenuto su quei luoghi".
Questo ricorda molto il caso spettacolare di un'altra "bonanza di prove ferensi", quella che si ebbe il 13 gennaio 1981 in Italia, quando la polizia rinvenne a bordo di un treno una borsa piena di esplosivo, lo stesso utilizzato per la strage alla stazione di Bologna che era avvenuta sei mesi prima. Furono rinvenute anche armi, munizioni, giornali e biglietti d'aereo, tutti indizi che conducevano a terroristi francesi e tedeschi. Allora il capo del SISMI Giuseppe Santovito dichiarò che le "prove forensi" rilevate dalla borsa indicavano come la bomba sarebbe dovuta esplodere su un altro treno e che "terroristi francesi e tedeschi" volevano che le responsabilità dell'attentato ricadessero sui neofascisti italiani.
Quattro anni più tardi fu scoperto che la borsa era stata messa sul treno dai funzionari del SISMI gen. Pietro Musumeci e col. Pietro Belmonte, su ordine dello stesso Santovito e di Francesco Pazienza. Tutti e quattro questi personaggi appartenevano alla Loggia P2.
In questo contesto è di particolare rilevanza la recente dichiarazione sulle Brigate Rosse che l'ex vice presidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Galloni ha rilasciato proprio nei giorni in cui si sono verificati gli attentati a Londra.
Galloni, che fu amico personale e collega di partito e di governo di Aldo Moro, ha affermato: "Non posso dimenticare un discorso con Moro poche settimane prima del suo rapimento: si discuteva delle BR, delle difficoltà di trovare i covi. E Moro mi disse: "La mia preoccupazione è questa: che io so per certa la notizia che i servizi segreti sia americani che israeliani hanno infiltrati nelle BR ma noi non siamo stati avvertiti di questo, sennò i covi li avremmo trovati." Galloni ha aggiunto che "nei 55 giorni di prigionia di Moro ebbimo grandi difficoltà a metterci in contatto con i servizi americani, difficoltà che non incontrammo poi durante il rapimento del generale Dozierx.
I recenti commenti di Giovanni Galloni furono già anticipati in una sua intervista pubblicata dall'EIR nel dicembre 2003, in cui riferiva dei suoi colloqui con Aldo Moro sul tema dell'infiltrazione dei servizi stranieri nelle BR (http://www.larouchepub.com/eirtoc/2003/eirtoc_3048.html)
Questa volta però le sue dichiarazioni hanno avuto maggiore risonanza in Italia a motivo del clima generale contrario alla politica guerrafondaia di Bush, reso incandescente da episodi inqualificabili come il caso Calipari e il rapimento di Abu Omar. L'intervista di Galloni è stata mandata in onda da RAInews24 il 5 luglio, è stata pubblicata dall'Unità e ripresa dalla rassegna stampa parlamentare. Di nuovo il 7 luglio l'on. Galloni è stato intervistato da RAInews24 per replicare alle critiche sollevate dalla sua dichiarazione, in particolare quelle provenienti dal sen. Francesco Cossiga.
 
A Chatham House collegano il terrorismo all'Iraq
 
Dieci giorni dopo le bombe di Londra, il Royal Institute for International Affairs (RIIA), noto anche come Chatham House e riconosciuto come il principale centro studi politico dell'establishment britannico, ha prodotto un rapporto, intitolato "Sicurezza, terrorismo e il Regno Unito", in cui si sostiene che "senza dubbio" la guerra in Iraq e la fedeltà con cui l'Inghilterra segue la politica dell'amministrazione Bush nei confronti dell'Iraq stanno danneggiando le capacità d'intelligence dell'Inghilterra, a fronte di un aggravamento del rischio terrorismo. Si tratta evidentemente di un attacco frontale contro Tony Blair.
La stesura del rapporto del RIIA è stata affidata a due professori, Frank Gregory, dell'Università di Southhampton e Paul Wilkinson, di St. Andrews, i giudizi dei quali sono generalmente riconosciuti moderati ma lucidi.
A proposito degli elementi essenziali di una politica dell'antiterrorismo essi scrivono: "La principale difficoltà sta nel fatto che il governo del Regno Unito ha portato avanti una politica antiterroristica 'spalla a spalla' con gli USA, non nel senso di uguaglianza nel prendere le decisioni, ma piuttosto come passeggero sul sellino posteriore, costretto a lasciare che a guidare sia l'alleato. Senza dubbio la situazione in Iraq ha imposto difficoltà particolari al Regno Unito, ed alla più ampia coalizione contro il terrorismo ... Stare sul sellino posteriore di un alleato molto forte ha comportato un alto prezzo di vite britanniche, statunitensi e irachene, di spese militari e di danni provocati nella campagna contro il terrorismo".
 
La resistenza irachena nella "fase 3"
 
Un esperto militare europeo ha spiegato che la resistenza irachena si trova in quella che Mao Tse Tung caratterizzò come la "Fase 3". Nella sua "Guerra contro una potenza superiore", Mao prospettava tre fasi. La Fase 1: offensiva strategica di un aggressore più forte e la difesa strategica della resistenza. La Fase 2: consolidamento strategico dell'aggressore e preparativi della resistenza per passare al contrattacco. La Fase 3: la controffensiva strategica della resistenza e la ritirata strategica del nemico.
La Fase 1 è durata dal 20 marzo 2003 al 9 aprile 2003, cioè fino alla caduta di Bagdad. L'evidente assenza di qualsiasi forma di resistenza a Bagdad si spiega con il fatto che gli iracheni erano impegnati a preparare la fase successiva. La Fase 2 va dalla metà d'aprile al dicembre 2003, quando la cattura di Saddam Hussein fu resa ufficiale. In questa fase rientrano operazioni spettacolari come l'attacco alla sede dell'ONU, l'attentato al leader shiita ayatollah al Hakim, a Najif, e contro la Croce Rossa. Nel dicembre 2003 questa fase preparatoria era completata.
Con l'inizio della Fase 3 la controffensiva strategica ha acquistato intensità sempre maggiore. In questa fase la resistenza si avvantaggia del fattore tempo, di cui dispone in abbondanza, mentre l'occupante ha fretta di concludere. La resistenza inoltre non ha il problema delle vittime: anche se sono molti i civili caduti, la popolazione ne attribuisce le responsabilità agli occupanti e non alla resistenza.
Questa valutazione è stata indipendentemente confermata da fonti egiziane, che hanno fatto notare come a Bagdad i diplomatici stranieri (ad esempio egiziani e algerini) possano essere rapiti alla luce del giorno, cosa che denota come la resistenza disponga sul loro conto di informazioni "dall'interno". Ciò significa che la resistenza in effetti è riuscita ad infiltrare gli enti di governo. In altre parole, ci sono iracheni che pretendono di stare dalla parte del governo mentre in realtà lo combattono. Questo si estende anche alle forze militari e di polizia. Gli infiltratori raccolgono dall'interno le informazioni che occorrono per mettere a punto gli attacchi con gli effetti più micidiali. Come ha riferito la pubblicazione araba Al Usbua, un ex collaboratore ad alto livello di Saddam Hussein, Ezzid al-Douri, ha diffuso dichiarazioni affermando di essere il capo della resistenza.
Gli Stati Uniti si trovano ora sotto pressione, sia sul piano internazionale che su quello interno. Di conseguenza l'amministrazione Bush ha bisogno di riscuotere un successo di vaste proporzioni, cosa decisamente improbabile, oppure sarà costretta alla ritirata. L'esperto militare citato si dice convinto che, rendendosi conto che non c'è una soluzione militare possibile, sia gli Stati Uniti che l'Inghilterra cominceranno a ritirare le truppe mantenendo però le basi militari permanenti che hanno costruito in Iraq.
 
Non perdere d'occhio l'Afghanistan
 
L'assenza di una stabilizzazione economica, il dilagare della produzione di droga, la militanza religiosa e una resistenza crescente contro l'occupazione straniera sono fattori che rendono la situazione in Afghanistan decisamente esplosiva.
Le opportunità di stabilizzare l'economia grazie ad un intervento dall'esterno per costruire delle infrastrutture sono state perse. Spazzando via il regime talebano, nel 2001, gli Stati Uniti hanno rimosso anche le misure di contenimento dell'economia della droga. Gli Stati Uniti hanno sostenuto i baroni della droga, affinché si desse una facciata di stabilità a Kabul, ma nell'ultimo periodo sembra che le forze speciali, sia statunitense che di altri paesi della NATO in Afghanistan, abbiano iniziato a condurre operazioni militari anti-droga.
Gli USA fanno pressioni su altri paesi della NATO affinché rafforzino la loro presenza in Afghanistan. La Germania probabilmente passerà da 2500 a 3500 soldati. Esperti militari e analisti strategici europei temono che le strutture militari tedesche in Afghanistan diventino un obiettivo della resistenza.
In questo contesto è avvenuto, all'inizio di luglio, il vertice a sei dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO), con la partecipazione di Kirgizistan, Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan, Russia, Cina ed inoltre, come osservatori, di Iran, India, Mongolia e Pakistan. I partecipanti hanno preso l'iniziativa decisamente inattesa di chiedere agli USA e ad altri paesi occidentali che hanno dispiegato le truppe in Afghanistan di decidere le fasi per arrivare alla chiusura delle basi in Kirgizistan e Uzbekistan, aperte con l'approvazione di Mosca prima dell'invasione dell'Afghanistan, nell'inverno del 2001.
L'irrigidimento della posizione di Mosca verso le basi USA apparentemente gode del pieno sostegno della Cina. Il 20 luglio, qualche ora prima dell'annuncio della visita di Rumsfeld in Kirgizistan dato dal Pentagono, Mosca ha ribadito ai governi dell'Asia Centrale la necessità di sollevare, attraverso il Segretario generale della Organizzazione per la sicurezza collettiva Nikolai Bordyuzha, la questione della fine della permanenza della coalizione militare guidata dagli USA, come posta dalla dichiarazione dell'organizzazione SCO.


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