Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

 

La favola del modello scandinavo

di Ulf Sandmark

Stoccolma 21 luglio –
Nel resto d'Europa si parla molto del "modello scandinavo". Nella realtà la Svezia, che e stata all'avanguardia in tanti aspetti dello stato sociale, adesso non fa che perdere terreno rispetto al resto delle nazioni europee. Il welfare svedese è sceso al di sotto di quello tedesco, la disoccupazione aumenta, sulle strade sempre più sconnesse circolano automobili sempre più vecchie.
Christian Noyer, governatore della Banca di Francia, ha detto, in una intervista apparsa il 12 luglio sul Financial Times di essere d'accordo con Tony Blair quando afferma che l'Europa deve riconsiderare il proprio modello sociale. Francia, Germania ed Italia, ha continuato Noyer, dovrebbero prendere a modello i paesi scandinavi: Svezia, Finlandia e Danimarca. Ciò che oggi caratterizza questi paesi è un alto livello di flessibilità del lavoro, un po' come in Inghilterra, ed un alto livello di protezione sociale, come quella ancora in vigore nell'Europa continentale.

Un modello noto in Italia

Cos'è che rende la Scandinavia improvvisamente così ammirevole agli occhi di banchieri centrali e politici alla Tony Blair? In particolare nella sua versione svedese, il modello scandinavo è un'applicazione fedele dell'antico sistema di controllo bancario veneziano. A partire dal 1933 questo sistema ha messo radici profonde sotto il governo praticamente ininterrotto della socialdemocrazia strettamente alleata alla principale famiglia bancaria, i Wallenberg, che allora dominava varie fazioni industriali che erano decisamente forti ed importanti.
A quell'epoca le forze della Sinarchia riuscirono ad imporre la loro politica riorganizzando la società in chiave nettamente corporativista. Questa è la base del sistema che fu varato da Mussolini in Italia, il fascismo, ed è una forma di falso potere al popolo. Il fascismo utilizzava le varie associazioni popolari controllati dall'apparato statale come strumenti per dominare il paese. In tal modo il partito fascista poteva pretendere di avere una sua base popolare, raccolta nelle diverse organizzazioni che ne avallavano le decisioni, che copartecipavano, e diventavano corresponsabili delle decisioni anti-popolari del governo. I banchieri si facevano sentire attraverso i propri esponenti in parlamento, nelle amministrazioni e soprattutto nel governo, contanto su esponenti di spicco come Volpi di Misurata.
In Svezia i socialdemocratici, il partito degli agricoltori e le forze finanziarie attorno ai Wallenberg controllano corporativisticamente lo stato, compreso il monopolio statale su radio e televisione, tramite le numerose associazioni popolari di lavoratori, agricoltori, impiegati, consumatori, donne, giovani, ecc. Mentre il parlamento è sempre eletto dal voto diretto dei cittadini, in pratica è diventato ostaggio delle decisioni prese dal concerto delle organizzazioni che egemonizzano gli enti di governo e l'amministrazione pubblica. In Svezia sono quasi assenti le NGO (Organizzazioni non governative). Quelle esistenti sono collegate allo stato o alle strutture corporativiste che lo controllano. Quindi esistono le GONGO (Organizzazioni non governative orientate dal governo). Rappresentano lo stato di fatto e nel contesto della generale gestione corporativista della società sono soggette all'influenza diretta dei banchieri, della politica oligarchica. Quest'alleanza tra istituzioni di potere e le principali forze finanziarie è stata appropriatamente bollata da Lyndon LaRouche come un movimento fascista dal volto democratico.
Mentre i regimi di Mussolini, di Hitler e di Franco sono stati spazzati via, questo sistema corporativista è sopravvissuto in Svezia fino ai nostri giorni.
Ad esempio, tutto il mercato del lavoro è ancora governato dagli accordi tra queste forze corporativiste e non dalla legge approvata dalle procedure democratiche di un parlamento ed un governo. Persino l'apparato giudiziario che si occupa delle dispute riguardanti il mercato del lavoro è gestito da queste organizzazioni/corporazioni del mercato del lavoro. L'associazione dei datori di lavoro è controllata dalle imprese dell'export dominate dai Wallenbereg e i sindacati sono dominati dalla socialdemocrazia. Questo significa che chi non è da essi rappresentato, come le piccole e medie imprese e i disoccupati, non ha in pratica alcuna voce in capitolo.

Disoccupazione reale al 18%

La disoccupazione reale è diventata l'elefante nel salotto che si pretende di non vedere. La disoccupazione continua a crescere al di sopra della soglia del 4% al di sotto della quale il governo si era impegnato a mantenerla, e ha raggiunto la cifra ufficiale di 240 mila, pari al 5,2%,. Gli sforzi per ridurre la disoccupazione con la globalizzazione dei banchieri, con la speculazione, con l'austerità e con la politica del post-industriale si limitano ad intervenire sulle cifre da rendere pubbliche ma non creano, anzi distruggono i posti di lavoro reali. Ci sono i tanti programmi di lavoro inutile o quasi, di addestramento, di riqualificazione, di prolungamento degli studi, di prolungamento delle assenze per malattia e di pensionamento anticipato attraverso i quali si riesce a contenere le cifre della disoccupazione ufficialmente ammessa. Sono tanti i giovani, gli immigrati e i lavoratori indipendenti che non vengono mai registrati nella forza lavoro, i giovani rimangono in famiglia e gli altri vivono di assistenza sociale e qualche risparmio.
I partiti d'opposizione da tempo rinfacciano al governo il fatto che l'occupazione reale è al 17,8%, e lo stesso si sente dire dal sindacato dei metalmeccanici. Ma la confederazione sindacale, LO, ha fatto il pompiere. Jan Edling, economista del LO, dopo cinque anni di studi scrisse un rapporto in cui si la disoccupazione reale si calcolava tra il 20 ed il 25 per cento. Era troppo e la confederazione sindacale censurò il rapporto. Endling si è dimesso ed ha poi rivelato l'intera storia.
In buona parte delle regioni interne della Svezia settentrionale è molto più facile contare gli occupati che i disoccupati, e l'intero paese ha bisogno di almeno 1,3 milioni di nuovi posti di lavoro produttivo per evitare la bancarotta.

Il modello scandinavo per l'Europa

Forse il Cancelliere tedesco Schröder non è stato messo al corrente sulla disoccupazione reale in Svezia dal collega Göran Persson, che all'inizio di luglio lo ha visitato a Berlino. Né l'argomento sarà affrontato seriamente nel nuovo club dei ministri finanziari socialisti dell'UE, dove il ministro delle Finanze tedesco Hans Eichel svilupperà un programma economico per l'Europa sotto la leadership del collega svedese Pär Nuder.
Ciò che in Europa viene propagandato come il modello svedese in realtà è ciò che il prof. Lars Calmfors propose per la Germania nell'articolo "Apprendere dalla Scandinavia", pubblicato nell'edizione tedesca del <I>Financial Times<P> il 26 giugno 2004.
Applicato in forma meno rigorosa anche negli altri paesi scandinavi, il modello Svedese non interviene sui livelli salariali ma controlla e manipola piuttosto i livelli di vita attraverso l'intervento dello stato. Se un aumento salariale ottenuto nella trattativa sembra troppo elevato, lo stato può tagliarlo con gli interventi statali, che vanno dall'aumento delle tasse, ai vari ticket sui servizi sociali, o al rinvio di riforme. Gli altri strumenti usati per tagliare i salari sono le svalutazioni monetarie e l'aumento dell'inflazione. L'intero mercato del lavoro corporativista è controllato così capillarmente che si riesce persino a far aumentare il tenore di vita nei mesi che precedono le elezioni e a ridurlo poi nei mesi successivi.
Di conseguenza tutti gli svedesi hanno dovuto imparare a riconoscere le differenze tra i salari nominali e il reddito reale. I salari reali, al netto cioè dell'inflazione, non si sono ancora ripresi dalla crisi petrolifera del 1973-1976.

Svalutazione interna

Nella fase preparatoria per l'entrata della Svezia nell'Unione Monetaria Europea e per la transizione all'euro, il prof. Calmfors ha condotto un'indagine per conto del governo al quale ha consegnato un rapporto in cui espone i vari problemi che s'incontrano nell'abdicare alla sovranità nazionale in materia di moneta nazionale e banca centrale.
L'euro non consente più ad un paese di ricorrere agli strumenti della svalutazione e dell'inflazione. Di conseguenza coloro che sono favorevoli all'entrata nell'UE ribadiscono la validità del metodo svedese di intervento sui livelli del salario reale con le decisioni del governo, un fenomeno che Calmfors definisce svalutazione interna. In tal modo una riduzione dei livelli salariali reali è facile da realizzare in mancanza della possibilità di svalutare la moneta.
Una svalutazione interna, spiegò Calmfors nel citato articolo per i tedeschi, aumenterebbe la competitività dell'industria tedesca abbassando i costi salariali.
Secondo la sua proposta il governo dovrebbe decidere di ridurre del 5-10 per cento gli oneri sociali che debbono essere versati dal datore di lavoro. Per compensare questa perdita Calmfors propone l'aumento dei contributi previdenziali versati dai dipendenti o un aumento dell'IVA. L'effetto sarebbe lo stesso di una svalutazione monetaria, in cui si possono offrire esportazioni a prezzi inferiori e al tempo stesso un aumento del prezzo delle importazioni riduce il potere d'acquisto dei salari.
Secondo Calmfors decisioni del genere da parte del governo potrebbero ridurre i costi salariali molto più velocemente di una riduzione dei salari nominali per via negoziale, dove la resitenza che s'incontra è decisamente più netta.
Calmfors però non spiega che ne sarà della competitività tedesca, se gli altri paesi finiscono per fare la stessa cosa. L'unico risultato sarebbe una riduzione generalizzata dei salari in tutti i paesi, uno scivolone dell'intera economia mondiale in una spirale deflazionistica, in una depressione accelerata.


Il modello IKEA e H&M


Sotto il controllo della famiglia bancaria sinarchista Wallenberg nel mondo industriale svedese, ed esteso al movimento sindacale, il paese ha perso quasi tutte le industrie orientate ai consumi interni ed è praticamente rimasto senza una piccola e media impresa. Ciò che resta è un’industria meccanica moderna che lavora per l'export, soprattutto le imprese dei Wallenberg. Parallelamente è stata organizzata l'importazione di prodotti a basso costo da altri paesi, una sorta di progetto pilota di quella che è poi diventata la globalizzazione.
Ini tal modo è stato possibile ridurre sia i prezzi che i salari. Il paese è impostato a produrre per l'export e, come avviene oggi con l'Europa orientale, nessuno svedese può permettersi il lusso di acquistare qualcosa prodotto nel proprio paese. Ad esempio la produzione di automobili Volvo e Saab finisce quasi esclusivamente nelle fasce del lusso all'estero, soprattutto negli USA. Gli svedesi debbono accontentarsi di marche straniere e di auto usate. Così il vanto della Svezia oggi è quello di avere in circolazione un parco veicoli che è il più vecchio d'Europa pur essendo produttore di automobili di qualità.
Da questo processo nel dopoguerra sono emerse solo due grandi compagnie, la IKEA e la H&M, che anche all'estero usano la manopera malpagata, come fa WalMart.
Per sostenere le industrie dell'export sono state sacrificate molte altre industrie e solo l'entrata nell'UE, nel 1995, ha salvato gli agricoltori svedesi dalla liquidazione delle loro aziende. Ma adesso il governo svedese fa comunella con quello britannico nell'attaccare ferocemente la politica agricola comunitaria.
Questo processo di globalizzazione, in cui i livelli di vita degli svedesi si puntellano con lo sfruttamento brutale della manopera di altri paesi, ha comportato dal 1995 un aumento del salario al netto dell'inflazione. Queste cifre però nascondono una caduta dei livelli di vita reali, come Calmfors ora propone anche per la Germania.
Le cosiddette riforme, o meglio tagli, oggi proposti per la Germania furono applicate in Svezia una decina d'anni fa. Furono ridotte le pensioni, furono introdotti i ticket sanitari e da allora il dentista è tutto a carico del paziente. La gente tira a campare con i debiti e rinunciando a formarsi una famiglia propria e a fare i figli.


La fase corporativista


La crisi economica è entrata in una fase in cui la vecchia oligarchia sinarchista torna a dire: libertà va bene, controllo è meglio! I neoliberals svedesi già si lagnano del fatto che le loro idee non trovano più orecchi disponibili nei corridoi del potere. I sistemi del controllo corporativo sono ritenuti lo strumento decisamente più efficiente per imporre l'austerità.
I sinarchisti ritengono che quello svedese, sopravvissuto alla vecchia esperienza corporativista del periodo tra le due guerre, sia il modello più affidabile di fronte alle turbolenze che scuotono i mercati finanziari. Lo ritengono il modo più sicuro per salvare le banche sulla pelle della gente.
L'aumento dei livelli di vita che si verificò in Svezia tra il 1950 e gli anni Settanta appartiene al periodo in cui gli svedesi servivano per produrre le armi, e anche qualche centrale nucleare, ma sotto il controllo dell'oligarchia sinarchista e nel contesto dei suoi disegni strategici. Da allora però quei disegni sono cambiati, quella politica produttiva ha subito un'inversione, e ciò che resta è un evedente disinteresse nei confronti del Bene Comune. Un momentaneo alto tenore di vita non è necessariamente il risultato di una sana impostazione politica di fondo. Un sano sistema repubblicano è davvero un'altra cosa.

 


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