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Verso un nuovo grippaggio dei derivati sul credito

1 ottobre 2005 (EIRNA) – I derivati sul credito, come credit default swaps (CDS) e collateralised debt obligations (CDO), sono sostanzialmente delle scommesse sulle obbligazioni o sui crediti bancari contratti dalle grandi corporations. Il risultato della scommessa è dato dal cambiamento del rating di quel titolo di credito, o da una eventuale insolvenza. La International Swaps and Derivatives Association (ISDA, l'associazione dei 650 maggiori trader in derivati), ha pubblicato un rapporto semestrale in cui si riferisce che il volume dei derivati aperti sul credito ha raggiunto alla fine di giugno 12,43 mila miliardi di dollari, un aumento netto del 48% dall'inizio dell'anno, quando era a 8,42 mila miliardi, e del 128% in 12 mesi, poiché alla fine del giugno 2004 era 5,44 mila miliardi. L'agenzia di rating Fitch riferisce che gli hedge funds attualmente controllano il 30% del volume complessivo delle operazioni in derivati sul credito.
Si tratta di una crescita esplosiva, tale da sopraffare le infrastrutture esistenti per le contrattazioni; inoltre, essa ha prodotto quantità enormi di derivati in cui almeno una delle due parti non ha sottoscritto il contratto, o presenta comunque altre irregolarità denotate “back-office problems”. Nel caso di un'insolvenza sul debito sottostante, si potrebbe innescare una reazione a catena di fallimenti, perché invece di far fronte ai propri obblighi contrattuali le parti si riserverebbero di mettere la questione in mano ai propri legali.
Il tema è stato anche sollevato in un articolo pubblicato il 30 settembre dal Financial Times sotto il titolo “L'ingolfo cartaceo dei derivati del credito può provocare la resa dei conti”. Riferendo dell'incontro straordinario di traders in derivati e autorità bancarie che si teneva quel giorno alla Federal Reserve di New York, l'articolo notava come “le principali banche d'investimento americane ed europee oggi diranno alla Federal Reserve che faranno qualcosa in merito ai back-office in arretrato nel mercato crescente dei derivarti sul credito. S'impegneranno per iscritto ad eliminare 'quasi tutti' gli arretrati entro giugno”. “I piani potrebbero però produrre uno scontro tra le banche ed i loro clienti nel settore hedge funds. Mentre le autorità fanno pressioni sulle banche affinché regolarizzino i processi back-office, esse non hanno una presa diretta sugli hedge funds, che sono regolati in maniera molto blanda, sebbene rivestano un ruolo critico nei derivati sul credito. L'iniziativa delle banche segue la decisione della Federal Reserve di convocare 14 gruppi bancari e autorità internazionali per un incontro in cui discutere i problemi del back-office”.
Ad innescare una catastrofe nei derivati sul credito potrebbe essere una serie di retrocessioni dell'affidabilità creditizia di grandi corporation che diventa sempre più probabile. A settembre la Standard&Poor ha reso noto di avere una lista di 623 imprese con tutti i prerequisiti per finire nel “negative outlook” o nel “credit watch”. Nel passato, per un terzo dei casi delle imprese finite sotto “negative outlook” e per due terzi delle imperse finite sotto “credit watch” una retrocessione nel rating creditizio seguiva entro un arco breve di tempo. I settori più vulnerabili a questo proposito sono: telecomunicazioni, prodotti al consumo e automobile (indotto compreso). In questi tre settori, sostiene S&P, la percentuale delle imprese che rischiano la retrocessione è la più alta da quando esiste S&P. Nel settore dell'auto l'83% delle imprese minacciate si trova negli USA.
S&P fa notare che presto potrebbe decidere una nuova retrocessione per General Motors e per Ford, che da maggio sono già in zona “junk”. Il motivo è che la posizione delle due case automobilistiche è notevolmente peggiorata in questi mesi a motivo della “guerra degli sconti”, dell'impennata del prezzo della benzina e del quasi fallimento della produttrice di componenti Delphi.

Come contraffare le cifre sull'inflazione

L'iperinflazione che colpisce i prezzi delle principali materie prime continua imperterrita. Nell'ultima settimana di settembre i contratti a termine per il gas e il rame hanno raggiunto nuovi record assoluti al New York Mercantile Exchange (NYMEX). Il greggio è risalito a quasi 70 dollari e l'oro a 478 dollari l'oncia.
Le cifre ufficiali si limitano ad ammettere un'inflazione del 3-4 per cento per le economie avanzate, che in ogni caso è il massimo degli ultimi quattro anni. Il trucco sta nella composizione del paniere dei consumi con il quale si calcola l'inflazione e in particolare nel concetto di “core inflation”.
A questo proposito l'Economist di Londra ha riferito: “Stephen Roach, il capo economista di Morgan Stanley, negli anni Settanta lavorò alla Federal Reserve, allora presieduta da Arthur Burns. Ricorda i pericoli insiti nella core inflation. Quando i prezzi petroliferi salirono, nel 1973-1974, Burns chiese agli economisti della Fed di eliminare il costo dell'energia dall'indice dei prezzi al consumo (CPI), per ottenere una misurazione meno distorta. Quando poi ci fu l'impennata dei prezzi alimentari, eliminarono anche quello dall'indice - fecero poi seguito le auto usate, i giocattoli, i gioielli, la casa e via di seguito, fino ad escludere circa la metà del paniere del CPI perché 'distorto' da forze esogene”.


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