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Il crac islandese e i tremori sulla scena finanziaria globale

Tra il 21 e il 22 febbraio la corona islandese ha perso il 9,2% rispetto al dollaro e l'indice azionario ICEX ha perso il 5,2% in due giorni. Il crac valutario di un paese apparentemente marginale come l'Islanda ha provocato scossoni nei mercati valutari e obbligazionari in Brasile, Messico, Australia, Nuova Zelanda, Indonesia, Turchia, Sud Africa e nell'Europa orientale.
Il Financial Times ha scritto il 23 febbraio: “Un crac finanziario ieri ha messo in moto una valanga, innescando una serie di scosse che hanno raggiunto il Brasile e il Sud Africa … Il crac ha innescato una serie di svendite di valute dei mercati emergenti ritenute finora forti”
Il tonfo di Reykjavik è stato provocato dall'agenzia di rating Fitch, la quale ha deciso la retrocessione dell'outlook dell'Islanda da “stabile” a “negativo”, motivata da un “insostenibile deficit corrente della bilancia dei pagamenti e dall'aumento dell'indebitamento estero” del paese. Nel 2005 il deficit dei conti correnti islandese ha raggiunto il 15% del PIL. La borsa ha registrato un aumento del 282% tra l'estate 2003 e la vigilia di questo crac, accompagnato dal raddoppio dei prezzi degli immobili abitativi di Reykjavik. “Il credito al settore privato - gran parte legato ai prezzi o ai tassi di cambio - si stimava al 218% del PIL alla fine del 2005, essendo raddoppiato in tre anni. Le banche e le imprese islandesi continuano però a perseguire ambiziosi piani di espansione all'estero, accumulando debito estero con una rapidità che non ha precedenti”, ha notato Fitch. Qualche esperto consultato dall'EIR ha fatto notare che questo è un modo molto educato di descrivere ciò che in realtà è una speculazione piramidale con “hot money” (il denaro che si sposta rapidamente per sfruttare i tassi d'interesse più convenienti) proveniente soprattutto dalla Russia, ma non solo.
Negli ultimi anni infatti l'Islanda è diventata un centro finanziario di “hot money” e “carry trade”, l' indebitamento a breve termine per acquistare titoli con più elevate prospettive di rendimento, anche se talvolta più rischiosi. Con tassi d'interesse del 10,75% offerti dalla banca centrale, l'isola nordica ha attratto i capitali degli hedge funds impegnati in carry trade su dollari, euro e yen ma anche sul differenziale di rendimento dei bonds. Parte del denaro arrivato in Islanda è stato usato dalle banche e dai fondi nominalmente islandesi per acquistare titoli all'estero, in particolare nell'Europa settentrionale. Il crac del 22 febbraio ha rischiato di cancellare più di 18 mesi di profitti di carry trade, costringendo gli hedge funds a migrare su altri mercati obbligazionari ad alto rendimento per coprire le loro perdite sulla piazza di Reykjavik.

I moniti forti della BRI

In un discorso alla tavola rotonda sui servizi finanziari europei tenutasi il 7 febbraio a Zurigo, Malcom Knight, direttore generale della Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea, ha posto in risalto un pericoloso “scollegamento” tra “i principali rischi macroeconomici presenti nell'economia globale” e la “percezione” di un rischio ambientale trascurabile da parte dei mercati finanziari, come si desume da parametri quali premi di rischio o indici di volatilità. Questo discorso è stato postato con notevole rilievo nel sito web della BRI.
Sui rischi macroeconomici Knight ha in particolare sottolineato quello derivante dal deficit estero USA, che negli ultimi cinque anni è raddoppiato raggiungendo gli 800 miliardi di dollari: “Si stenta a credere che un tale flusso senza precedenti di risparmio netto dai paesi 'poveri' a quelli 'ricchi' possa rappresentare un equilibrio globale sostenibile. Ad un certo punto questa tendenza decisamente insolita dovrà cambiare”. Un altro argomento di preoccupazione è quello dei prezzi sui mercati immobiliari, “che in alcuni paesi hanno raggiunto massimi storici in rapporto agli affitti”.
Knight conclude: “Alcuni grandi rischi macroeconomici sono elevati e continuano ad aumentare: ad un certo punto gli scompensi globali dovranno cominciare a riequilibrarsi. Se questi rischi maggiori fossero riflessi in sintomi di un'accresciuta volatilità nei mercati finanziari (e cioè, se figurassero effettivamente nei prezzi), si potrebbe forse credere ragionevolmente che i rischi siano tenuti nel dovuto conto e gestiti di conseguenza dai mercati”. Ma in realtà non è affatto così e ad aggravare la situazione vi sono alcune tendenze dei mercati finanziari che richiedono una gestione del rischio più complessa. A questo proposito Knight fa riferimento alla rapida crescita dei derivati sul credito, la “crescente controparte di rischio nel prestito agli hedge funds” e la “maggiore preoccupazione per il rischio liquidità. Alcuni mercati sono sempre più dominati da attori che non sarebbero necessariamente capaci di mantenersi liquidi in condizioni di mercato avverse”.
Knight conclude: “Tutto ciò significa che stress test, analisi degli scenari, ecc. sono più importanti che mai nella determinazione della risposta a cambiamenti improvvisi che potrebbero verificarsi nell'ambiente finanziario … Forse la sfida maggiore è concepire come i diversi rischi del periodo in corso possono interagire tra loro. Ciò che ho cercato di suggerire è che lo scollegamento tra i rischi macroeconomici ed i livelli insolitamente ridotti di volatilità che prevalgono nei mercati finanziaria rappresenta attualmente una delle sfide maggiori per i vertici dirigenti delle grandi istituzioni finanziarie private”.

“Si prosciuga l'oceano globale del credito”

Il 24 febbraio il quotidiano londinese Daily Telegraph ha pubblicato un articolo di Ambrose Evans-Pritchard intitolato “Si prosciuga l'oceano globale del credito”. “Uno alla volta, l'eurozona, gli svedesi, gli svizzeri e ora persino i giapponesi stanno chiudendo il rubinetto del credito a buon mercato che ha inondato il sistema globale nell'ultimo anno, tenendo così in vita il decrepito boom dei titoli. Il 'carry trade' - come lo chiamano - è una macchina che dà liquidità quasi illimitata a banche ed hedge funds. Questi possono prendere a prestito in Giappone, a tassi d'interesse quasi zero, o all'1% in Svizzera, per riprestare ovunque nel mondo a chi offre tassi elevati, che siano i buoni argentini o titoli ipotecari USA”.
Pritchard cita David Bloom, analista monetario della Hong-Kong & Shangai Banking Corp (HSBC), secondo il quale ogni mercato è influenzato dal 'carry trade', ma presto “questo avrà fine ed alla fine dell'anno si metterà male, anche se per il momento non abbiamo raggiunto ancora lo scossone”.
Stephen Lewis di Monument Securities aggiunge: “Le posizioni nel carry trade sono nell'ordine di diverse centinaia di miliardi di dollari e le liquidazioni cominceranno non appena non saranno più profittevoli … Quando la Banca del Giappone comincerà a stringere la borsa assisteremo ad effetti spettacolari. Il mondo non ha mai visto una cosa del genere in precedenza; il rischio di compiere errori è dunque elevato”.
Poi è la volta di Stephen Roach ad essere citato. Anche il capo economista di Morgan Stanley è convinto che il carry trade sia la causa principale di eccessi speculativi molto pericolosi: “Il carry trade esercita un'attrazione tanto forte da creare una domanda artificiale di titoli 'carryable' [cioè appositamente creati], che potrebbe finire per portare la normale rivalutazione dei prezzi alle proporzioni tipiche di bolla speculativa … La storia c'insegna che il carry trade finisce dove le banche centrali iniziano il ciclo restrittivo”.
A questo proposito Lyndon LaRouche ha commentato: “Lo yen carry trade è nei guai grossi. Il semplice fatto che se ne parli nel Daily Telegraph significa che al carry trade staccheranno la spina. Islanda e altri paesi finiranno sul lastrico. Ma l'effetto moltiplicatore dello shock del carry trade comporterà una dimensione della crisi che andrà ben oltre quella di una qualsiasi nazione o moneta. Questo sfascerà l'intero sistema di tassi di cambio fluttuanti istituito dopo l'abbandono degli accordi Bretton Woods”.
LaRouche ha anche aggiunto: “Lasciate che avvenga. Il sistema è comunque spacciato in ogni caso, e noi sappiamo che cosa c'è da fare per creare un nuovo sistema finanziario stabile, fondato sui principi del sistema di Bretton Woods fondato da Roosevelt. Io sono pronto con la ricetta precisa per risolvere questa crisi. E voi?”


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