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Lo sfascio del mercato immobiliare

21 agosto 2006 – Lyndon LaRouche ha in più occasioni sottolineato come la crisi finanziaria sia legata a doppio filo al diffondersi della guerra asimmetrica.
Un aspetto particolarmente minaccioso del crac finanziario è rappresentato dalla bolla immobiliare USA, nella quale concorrono i fattori dell'edilizia abitativa, il meccanismo dei mutui e i prezzi esorbitanti delle abitazioni.
Secondo i dati diffusi il 15 agosto dall'associazione degli immobiliaristi americani, la National Association of Realtors, in 28 stati e nel Distretto di Columbia (la capitale), nel secondo trimestre le vendite sono diminuite rispetto allo stesso periodo del 2005. A livello nazionale le vendite sono diminuite del 7% nel secondo trimestre di quest'anno rispetto a quello dell'anno precedente. Secondo l'indagine, le flessioni più acute si sono verificate negli stati in cui le vendite erano state maggiori negli ultimi cinque anni, a cominciare da California e Florida. Gli stati in cui il calo trimestrale delle vendite è stato maggiore sono: Arizona (-26,9%), Florida (-26,7%), California (-25,3%), Virginia (-23,9%), e Nevada (-23,5%).
Gli immobiliaristi hanno condotto anche un'indagine sulla variazione dei prezzi in 151 città, da cui risulta nel secondo trimestre del 2006 una riduzione netta in 26 città.
Secondo il Dipartimento del Commercio, le nuove costruzioni sono diminuite a luglio del 18,9% nel Nordest, del 16,6% nel Midwest, del 13,9% nel West e del 10,7% nel Sud, rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Ancora più grave è la situazione delle case monofamiliari. Secondo “foreclosure.com” nel luglio di quest'anno gli espropri delle abitazioni sono stati 28.130, con un aumento del 5% rispetto a giugno e del 10% rispetto al luglio 2005. “Gli espropri delle abitazioni aumentano in tutto il paese soprattutto a motivo della diffusione dei mutui a tasso variabile”, ha dichiarato Brad Geisen, amministratore delegato di foreclosure.com. Maggiormente colpiti dagli espropri sono stati: Illinois (11.6%); Colorado (12.9%); Ohio (14.3%); Alabama (21.3%); Minnesota (31.1%); Michigan (38%); Missouri (48.2)%.

Vanno in orbita le private equities

Dopo il crollo della bolla speculativa chiamata “New Economy”, per reggere il sistema speculativo fu gonfiata la bolla immobiliare. Ora che questa si sta afflosciando, ad esibirsi nell'ultimo tango sul Titanic sono i private equity funds, i fondi attraverso cui investitori istituzionali investono nelle imprese, soprattutto quelle non quotate. Fondi pensione, assicurazioni e altri investitori riversano denaro in questi, che sono famosi anche come “fondi locuste”, per dare la scalata alle imprese ricorrendo a rapporti di indebitamento enormi, la famosa tecnica del leveraged buy-out (LBO). A finanziare le operazioni LBO sono banche che concedono credito a breve. Una volta acquisita, l'impresa viene “ristrutturata”, ovviamente nella prospettiva di farle pagare dividendi per i nuovi padroni e i debiti da essi contratti, quindi o viene rapidamente rivenduta ad altri fondi o costretta ad andare in borsa.
Questi nuovi private equity funds, creati da gruppi come KKR o Blackstone, raggiungono o superano ormai dimensioni da 15 miliardi di dollari. Mettendo a punto strategie concertate e sfruttando rapporti d'indebitamento di almeno 3:1 (tre euro presi in prestito per ogni euro di capitale disponibile), i private equity groups sono in grado di dare la scalata a quasi ogni impresa al mondo, non importa quanto sia grande. La KKR, pioniere delle operazioni LBO negli anni Ottanta, qualche settimana fa ha costituito una cordata di fondi simili per rilevare la catena ospedaliera statunitense HCA, spendendo 33 miliardi di dollari. Si è trattato della più grande operazione del genere, che ha sorpassato la famosa acquisizione di Nabisco per la quale nel 1989 la stessa KKR sborsò 31 miliardi di dollari.
Megaoperazioni del genere ora sono quasi all'ordine del giorno. Il 17 agosto è stato annunciato che KKR, Carlyle e CVC Asia Pacific si accingono ad offrire 12 miliardi per la Coles Myer, la seconda distributrice australiana. Il giorno prima KKR, Blackston e Cinven avevano offerto 14,8 miliardi di euro per NTL, provider TV britannico, in quella che sarebbe la più grande acquisizione europea dei private equity. Nel frattempo Carlyle e Cinven si sono scambiati tra loro Fiat Avio, naturalmente dopo che Carlyle, nei tre anni di gestione passati, ha accumulato un grasso bottino. Amministratore delegato di Carlyle Italia è Marco De Benedetti, figlio e degno continuatore del proprietario di Espresso e Repubblica.
Persino il Financial Times si è sentito in dovere di lanciare l'allarme di fronte al volume insostenibile del debito che viene contratto da queste transazioni LBO. In un editoriale del 18 agosto, intitolato “La moda delle ricapitalizzazioni riecheggia la mania delle dotcom”, Gillian Tett fa notare: “Ricordate la mania per la bolla internet alla fine degli anni Novanta? Un gruppo di Cassandre ... regolarmente lamentò che i mercati erano impazziti ... Echi di ciò che adesso sembra avvenire nel mondo delle private equities”.
Attaccando le “ricapitalizzazioni con effetto leva”, Tett spiega che si tratta del modo in cui un gruppo di private equities consuma una LBO e poi si paga grassi dividendi estraendoli dall'impresa vittimizzata. I fondi di private equities ne traggono grossi profitti mentre sull'impresa viene a gravare un grosso debito. Un esempio tipico è la Burger King, che alla fine del 2002 fu acquisita da tre imprese - Texas Pacific Group, Goldman Sachs e Bain Capital. Nel febbraio di quest'anno, dopo tre anni di “ristrutturazioni”, i tre proprietari hanno annunciato piani per vendere azioni di Burger King. Tre mesi prima della vendita hanno costretto Burger King a versare loro dividendi per 367 milioni di dollari.
“Fino a poco fa questo modo di fare era alquanto raro”, spiega Lett; “Quest'anno invece le 'recaps' si sono diffuse come fuoco nella prateria. Un rapporto agghiacciante della Standard & Poor, l'agenzia di rating, annunciava lunedì che quest'anno, negli USA ed in Europa, sono avvenute 63 tali recaps ad alto rapporto d'indebitamento, alimentate da un impressionante debito di 25 miliardi, per lo più prestiti bancari. Non ci vuole un'agenzia di rating per accorgersi che questo può in futuro condurre ad un'ondata di insolvenze”.


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