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Retrocessione: la parzialità delle agenzie di rating

24 ottobre 2006 – Il declassamento del debito italiano avvenuto il 19 ottobre ad opera delle due agenzie di rating Fitch e Standard&Poors non è una conseguenza del peggioramento dei conti italiani, bensì un fattore che aggraverà i conti del bilancio. La retrocessione è “bipartisan”: l'avviso era stato dato prima che si sapesse chi avrebbe vinto le elezioni. Esattamente un anno fa, la Banca Centrale Europea aveva annunciato che non avrebbe più scontato titoli del Tesoro al di sotto del rating A-. Oggi l'Italia ha la nota AA- da Fitch e A+ da S&P. La terza agenzia di rating, Moody's, quella che scatenò la frana dei titoli pubblici italiani nel 1992, per ora tace.

Il fatto che per la prima volta nell'Eurozona quattro banche (BNL, Dexia Crediop, Sanpaolo IMI e Mediobanca) abbiano ricevuto il rating più alto del proprio stato di cittadinanza sottolinea che il potere finanziario privato ha ormai preso il sopravvento e che l'Italia è considerata alla stregua di un paese del terzo mondo.

Le famose agenzie di rating sono società per azioni private di cui non è dato conoscere i profitti, dato che non vengono pubblicati, ma che si fanno pagare profumatamente dai debitori per poi dare stangate come quella sferrata all'Italia. I loro giudizi sono tanto oggettivi che, ricordiamo, alla vigilia della crisi asiatica degli anni novanta, I paesi che poi furono colpiti avevano ricevuto ratings da primi della classe; lo stesso accadde in seguito alla Russia e, due anni fa, a Parmalat.

Tecnicamente, la retrocessione dell'Italia farà sì che il nostro paese dovrà pagare più interessi sulle nuove emissioni di titoli di stato, e che quelli in circolazione si deprezzano. Il tutto contribuisce ad aumentare quel fardello del debito pubblico che viene additato come causa prima della retrocessione. Di fatto, la finanziaria di Padoa-Schioppa è stata di colpo svalutata di 12-13 miliardi di euro. Cui prodest? Ai fondi speculativi e ai loro proprietari, cioè le banche.
L'attuale sistema finanziario, di cui le agenzie di rating sono parte integrante, è talmente sganciato dalla realtà che più aumentano i soggetti in crisi e più volano I profitti. Il debitore a rischio d'insolvenza, infatti, per poter ottenere credito, deve pagare un'alta penale di rischio. Così, poiché il sistema di carta è dipendente dalla continua e crescente immissione di profitti a breve termine con cui rifinanziare il crescente debito, gli hedge funds specializzati nel trattare titoli spazzatura crescono come funghi. Se non c'è abbastanza spazzatura, se ne crea di nuova. Altro biglietto, altro giro.

In realtà il sistema è marcio e va cambiato prima che crolli rovinosamente, come dice LaRouche. Il problema è che i nostri governanti agiscono come se gli italiani avessero la pistola alla tempia mentre ce l'hanno dalla parte del manico. Padoa-Schioppa ha detto che per evitare che i mercati “annusino sangue” bisogna fare tagli brutali. Prodi si è affrettato a commentare la retrocessione sollecitando più impegno nei tagli.
Il paradosso è che, dal punto di vista dell'economia reale, lo stato italiano è decisamente più affidabile delle quattro banche promosse, i cui bilanci sono gonfiati da titoli finanziari e immobiliari iperinflazionati. Queste stesse banche hanno la faccia tosta di pretendere dallo stato, come ha dichiarato il presidente dell'ABI Faissola, tra i 10 e i 21 miliardi di euro per rimborsare gli azionisti privati che dovranno cedere il controllo della Banca d'Italia, come disposto dalla riforma varata nella scorsa legislazione. Il governo aveva invece stimato a 800 milioni quelle azioni, e si tratta ancora di valori gonfiati, come la balla del governatore Mario Draghi, “Mr. Britannia”, il quale, di fronte alla Commissione Finanze del Senato ha affermato che la pluralità di azionisti privati non compromette l'“indipendenza” della Banca d'Italia. Questo maramaldeggiare dei banchieri e delle agenzie di rating non deve intimidire nessuno, ma dovrebbe piuttosto rafforzare il convincimento che occorre un nuovo sistema finanziario e monetario internazionale “schiavo” dell'economia fisica e non di quella speculativa.


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