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La mobilitazione dei giovani nel LYM ha contribuito notevolmente all'afflusso dei giovani
alle urne il 7 novembre soprattutto denunciando le trame di Lynne Cheney nei campus.

Carville: i dirigenti democratici più incompetenti di Rumsfeld

Il 7 novembre l’elettorato americano ha votato contro il corso politico seguito da Bush e Cheney ed ha conferito ai democratici la maggioranza sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato.
A guardare bene, però, occorre riconoscere che la dirigenza del partito democratico, il Democratic National Committee (DNC) presieduto da Howard Dean, ha sprecato l’opportunità d’oro di acquisire una maggioranza ancora più decisiva, fors’anche i due terzi contro cui il Presidente non potrebbe usare nemmeno il suo diritto di veto. La cosa è stata capita da molti, tanto che il noto stratega elettorale democratico James Carville ha messo da parte le buone maniere, il 15 novembre, per chiedere il dimissionamento di Dean in occasione di un incontro del mondo dell’informazione indetto dal quotidiano Christian Science Monitor.
Agli incontri post-elettorali indetti dal Monitor la presenza di Carville è ormai obbligatoria da quando egli organizzò le straordinarie vittorie elettorali di Bill Clinton nel 1992: prima la nomination e poi la presidenza. Quest’anno Carville ha portato con sé anche il suo socio Stan Greenberg, l’esperto di sondaggi con il quale ha fondato nel 1999 l’organismo di consulenza politica Democracy Corps.
Greenberg ha fatto notare che i democratici hanno recuperato 29 seggi alla Camera, altri 6 sono ancora da aggiudicare e per almeno 24 seggi c’è da dire che i repubblicani se li sono aggiudicati solo per un soffio, con il 51% dei voti, o anche meno. Se il partito democratico avesse seguito una strategia più aggressiva poteva raggiungere una maggioranza molto più solida, garantendo così la Casa Bianca ai democratici nel 2008.
I giornalisti hanno chiesto a Carville se riteneva opportuno che Dean fosse licenziato. Lui ha risposto con sì secco ed ha poi aggiunto: “Ritengo che debba render conto e posso paragonare la sua incompetenza a quella di Rumsfeld”. Ha quindi spiegato che il DNC presieduto da Dean ha raccolto 10 milioni di dollari e ne ha usati meno della metà per le campagne elettorali. Dean ha lasciato insomma 6 milioni sul tavolo mentre molti democratici avrebbero potuto usarli per conquistarsi un seggio.
“Abbiamo vinto la Battaglia di Gettysburg, ma dovevamo inseguire l’esercito nemico. La timidezza dimostrata dai democratici non ci torna utile. Perché non scendere in campo con tutto quello che abbiamo?” ha detto Carville.
Questa è una questione che nel partito democratico si protrae da tempo, ed è diventata un vero e proprio conflitto la primavera scorsa, quando Dean ha imposto la strategia di usare le risorse per costruire l’organizzazione del partito in cinquanta stati, invece di concentrarsi sulla scadenza cruciale delle elezioni midterm del 7 novembre scorso. Si arrivò ai ferri corti ad agosto, quando i responsabili elettorali del partito di Camera e Senato, Rham Emanuel e Chuck Schumer, chiesero a Dean di sborsare almeno una somma paragonabile a quella dei rivali repubblicani. Lui invece tenne duro accampando la scusa che non si potevano sottrarre fondi alle strutture nei cinquanta stati, anche se poi è stato costretto a scucire almeno 2,4 milioni per le campagne dei democratici, mentre per la strategia dei cinquanta stati ha speso almeno 30 milioni.
Certo che Dean non la racconta giusta perché nessuno voleva sottrarre i fondi alle strutture di partito, ma quei 6 milioni erano sul tavolo e avrebbero potuto essere spesi per consolidare una posizione che è vantaggiosa anche e soprattutto per la strategia dei cinquanta stati, invece sono rimasti lì, inspiegabilmente. “Io non ho problemi con la strategia dei cinquanta stati, va benissimo” ha detto Carville “ma lo scopo di un partito politico non è assumere personale e aprire uffici, ma far eleggere i suoi candidati, vincere le elezioni”. Ha aggiunto di aver cercato di parlare con Dean per convincerlo a sostenere finanziariamente i candidati di una serie di distretti dove i repubblicani erano diventati molto vulnerabili, verso la fine della campagna, ma Dean si è negato senza dire neanche perché.
Dopo questa bordata di Carville, Dean si è vendicato incoraggiando una cricca di bloggers che accusano Carville di essere un “insider” di Washington, con la moglie che fa la stratega per i repubblicani, mentre Dean sarebbe uno del popolo che ce l’ha con quelli di Washington.
A favore di Dean si è anche schierato Don Fowler, l’ex persidente del Partito che nel 1996 osteggiò la candidatura di LaRouche fino a negargli i voti da lui riscossi. Fowler ha scritto una lettera alla cricca del DNC, i piani alti del partito, in cui arriva anche a dire la sciocchezza che Carville e Greenberg “volevano che i soldi andassero ai consulenti, esperti di sondaggi, speechwriters di Washington come loro”. La Democracy Corps fornisce ai candidati consulenze rigorosamente gratuite; non solo, Carville è colui che da solo ha raccolto più fondi di tutti nel partito democratico, con la sola eccezione di Bill Clinton! Carville ha tra l’altro risposto che Dean ha costruito “un culto del DNC mentre quello di cui abbiamo bisogno è un culto dei candidati”.
Dopo le gaffe solenni del passato, Dean ha capito che caricare a testa bassa contro Carville sarebbe stato controproducente. Però ha fatto circolare voci secondo cui dietro Carville c’erano in realtà Hillary e Bill Clinton, perché vorrebbero un presidente del DNC più disponibile per le ambizioni presidenziali di Hillary. I collaboratori dei Clinton hanno subito fatto sapere che non c’era stato nessun abboccamento tra i due e Carville. A questo punto è cominciata a circolare un’altra voce: Carville sarebbe influenzato da Lyndon LaRouche le critiche del quale nei confronti di Dean sono arcinote.
LaRouche ha fatto sapere che con Carville non ha parlato delle sue critiche alla gestione Dean, ma ha aggiunto di non essere sorpreso dalle illazioni. Nelle sei settimane che hanno preceduto il voto del 7 novembre LaRouche è sceso in campo con un deciso attacco sul fianco per sbaragliare le trame con cui Lynne Cheney cercava di egemonizzare il mondo universitario. In questa iniziativa il movimento giovanile di LaRouche LYM ha distribuito 750 mila pubblicazioni contribuendo notevolmente all’insolito afflusso alle urne dei giovani tra i 18 ed i 30 anni a cui si deve gran parte del recupero dei democratici all’ultimo momento. Hanno votato 10 milioni di giovani, 2 milioni in più rispetto alle precedenti midterm, ed è noto che molti di essi hanno votato democratico.
C’è chi cerca di attribuire il fenomeno alle campagne di internet e call center computerizzati, in realtà un sondaggio realizzato dall’associazione bipartitica Young Voters Battleground Poll dice il contrario, i giovani sono stati mobilitati con i metodi più tradizionali, ed a questo si aggiunge uno studio dell’Università del Maryland, dove si è registrato un alto numero di votanti giovani: gli strati universitari non sono andati a votare per l’uno o l’altro tema elettorale, ma perché vogliono dire la loro sul futuro che hanno di fronte.
Sebbene LaRouche concordi con Carville sull’incompetenza di Howard Dean, in diversi commenti rilasciati sia prima che dopo il voto, lo statista democratico ha spiegato che il sabotaggio di Dean può essere più deliberato di quanto si creda se si considera il fatto che gli interessi della finanza internazionale, che stanno pilotando la distruzione dell’economia produttiva degli USA, sono decisamente bipartisan. Sul fronte democratico questa fazione bipartisan è rappresentata da Felix Rohatyn e non è certo un segreto che Dean sia molto invicino a questi interessi nel partito. Questi interessi avevano capito che non potevano certo fermare l’ondata di sdegno dell’elettorato contro la politica di Bush e Cheney, ed hanno pensato bene di limitare i danni sottraendo ai democratici quella maggioranza schiacciante che avrebbe consentito un ribaltamento immediato e indiscutibile degli indirizzi politici. Che Dean lo sapesse o meno che questo era il gioco, lui è stato al gioco.

Tratto da un articolo di Debra Freeman sull'EIR del 1 dicembre 2006


vedi anche:

Il voto giovanile cruciale nella vittoria democratica USA

Apologia di genocidio: i compari di Lynne Cheney e la gestapo universitaria


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