Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

 

 

Intervento di Alfonso Gianni, sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico.

Roma,  28 febbraio 2008 - LaRouche incontra imprenditori e politici

Vi ringrazio per questo invito. D'altro canto, tutte le volte che Lyndon LaRouche e la sua Signora vengono in Italia, io sono contento di questa interlocuzione.

Preciso che io sono ancora membro di un Governo morente, anzi da seppellire, già morto. Ho ancora questa funzione, quindi non potrò esprimere opinioni in merito ad alcuni temi, su cui ho opinioni diverse da quelle di Lyndon LaRouche, come la campagna elettorale americana, per questioni - ovviamente - di stile, e di non intervenzione nelle vicende di un altro Paese.

Dirò invece i punti su cui sono d'accordo con LaRouche e l'importanza di quello che lui ha detto qui, e anche i punti su cui non sono d'accordo, come la questione nucleare, su cui secondo me Lyndon LaRouche continua a nutrire delle illusioni che scientificamente non esistono. Ma questo è un capitolo un po' delicato, un po’ lungo: ne riparleremo un'altra volta.

Quello che è importante nelle cose che Lyndon LaRouche ha detto, secondo me è una cosa, che però è di grandissimo spessore, di grandissimo valore, e che poi ne origina molte altre. Lyndon LaRouche ha dimostrato che il pensiero economico neoliberista, quello che ha dominato nel mondo dopo la grande svolta della metà degli anni Settanta, quella determinata dalla non convertibilità del dollaro in oro, dallo choc petrolifero e dal mutamento del paradigma produttivo, e cioè il superamento del fordismo - della produzione di massa per il consumo di massa -; quel pensiero che si è identificato in due figure carismatiche, Ronald Reagan per gli United States of America, e la Margaret Thatcher per l'Inghilterra, Paese che, come avete notato, Lyndon LaRouche non ama nella maniera più assoluta; questo pensiero che pareva assolutamente vincente, stravincente, al punto che potrei citare prefazioni di libri noti di letteratura economica in cui si diceva che qualunque economista trentenne o quarantenne negli anni Novanta non poteva più definirsi keynesiano, perché solamente questo fatto era motivo di dileggio negli ambienti inglesi e americani che si occupano di economia e di finanza; ebbene quel pensiero è molto meno dominante di prima, conosce una crisi, e sta rinascendo nel mondo anche grazie a LaRouche, non solo per fortuna, ma anche grazie a LaRouche, una nuova stagione del pensiero keynesiano. Vogliamo dire rooseveltiano? E' la stessa cosa, è più americanizzante in questo caso. Io preferisco da europeo naturalmente fare riferimento a John Maynard Keynes.

Due sono gli elementi chiarissimi.

Per fare tutto quello che ha detto LaRouche, compreso il nucleare su cui peraltro non sono d'accordo, ma per esempio lo sviluppo della manifattura, dell'innovazione tecnologica nell'agricoltura, ci vuole una cosa: questa cosa si chiama Stato. Si chiama Intervento Pubblico nell'Economia. Il mercato da solo non è in grado di farlo. Questo non significa sostituire lo Stato al mercato, ma significa prevedere un consistente intervento pubblico nell'economia, in quelli che definiamo essere strategici, di maggiore innovazione e di maggiore produzione di valore, e che sono a redditività differita e quindi interessano meno al singolo imprenditore, e che solamente una comunità eretta a Stato può affrontare. Questo è un punto essenziale. Questo punto era quasi sparito nella cultura economica dominante. Ritorna con forza adesso, ed è divertente che ritorni in modo trasversale. C'è gente di sinistra come me, di estrema sinistra se questo aggettivo ha ancora un valore, che ha inserito questo concetto nel programma, che depositeremo dopodomani, della Sinistra Arcobaleno; c'è gente anche a destra, o in altri schieramenti, che pensa a questo modo. Questo è un primo punto essenziale.

Il secondo punto è che non possiamo più pensare in ogni caso allo Stato, negli stessi termini in cui lo pensava Franklin Delano Roosevelt, o che lo pensava John Maynard Keynes. Dobbiamo necessariamente pensare a uno Stato immerso nella globalizzazione. Il che significa che dobbiamo pensare allo Stato nazionale e nello stesso tempo all'Europa, nel contesto europeo che è quello che ci interessa e dentro al quale stiamo parlando.  Allora io condivido, essendo un antesignano, la critica radicale al Trattato di Lisbona. Condivido la critica radicale ai vincoli economici derivati dal Trattato di Maastricht e da quello conseguente di Amsterdam, ma condivido questa critica in nome di un'Europa più polica; non di meno Europa, ma di un'Europa meno finanziaria. La questione del Trattato di Lisbona e dei vincoli di Maastricht è decisiva per il discorso che sto facendo. Cos'è che inibisce lo sviluppo pieno di una politica economica da parte di uno Stato nazionale? I vincoli di Maastricht. Se tu non puoi superare dei vincoli assolutamente astratti, assolutamente anacronistici, costruiti esclusivamente nell'interesse di Francia e Germania alla fine del 1992, come il vincolo del deficit del 3% e della riduzione del debito al 60%, hai le mani legate.

Prova ne sia la discussione su cui verterà tutta la campagna elettorale al di là delle grandi balle che ci raccontiamo reciprocamente; ma tutta la prossima campagna elettorale si gioca su una cosa sola: che fine farà il tesoretto? Cioè che fine farà la differenza ... [dal pubblico dissentono] C'è, c'è. Eh beh, non c'è per Lei. Io Le dico che c'è. Eccome se c'è. La differenza, cioè, tra l'avanzo primario al netto del debito previsto nel 2007 e l'avanzo primario reale che si è formato. Io dico che sono 7,5 miliardi di euro. Vedremo, il 14 marzo, quando la relazione trimestrale di cassa lo sanzionerà, qual è l'entità di questo tesoretto. Naturalmente, di fronte all'esistenza di questo tesoretto ci sono due opzioni, ugualmente dignitose dal punto di vista accademico, ma politicamente divergenti: una è quella che dice "lo utilizziamo per ridurre il debito", e l'altra è quella che dice "lo utilizziamo per rilanciare l'economia reale". Io sono per questa seconda tesi, dove per economia reale intendo anche  elevare le retribuzioni dei lavoratori, onde possano più spendere e rilanciare la domanda interna. Su questo ci giochiamo tutta la campagna elettorale. Perché la cifra è ingente; la possibilità di una sua utilizzazione  determinerà la sorte della vicenda dell'economia reale nel nostro Paese.

 

C'è un terzo punto di accordo... Quindi, quello che io propongo non è [...] di uscire  dall'Europa, ma quello di avere una maggiore dinamicità e una maggiore capacità di contrattazione nelle sedi europee per difendere gli interessi dello sviluppo della nostra economia e per sottrarla dalla astrazione e dalla coercizione di vincoli finanziari che non hanno alcuna base scientifica. D'altro canto, questo è ovvio, perchè il deficit non è che una frazione, un rapporto tra un numeratore, il debito, e un denominatore, il prodotto interno lordo. Io riduco il valore di             questa frazione in due modi: o diminuisco il numeratore, o incremento il denominatore. Più produco ricchezza e più il valore di questa frazione, ovviamente, diminuisce. Io propongo questa seconda strada; altri propongono la prima, altri compreso Tommaso Padoa Schioppa, per essere molto chiari, oltre che, naturalmente, tutto lo schieramento di centro destra, con Berlusconiin testa.

Ora, la terza questione, su cui mi interessa il pensiero di Lyndon LaRouche, e che io spero di poterne fare uno dei cavalli di battaglia del mio schieramento, la Sinistra Arcobaleno... certamente lo sarà per quanto mi riguarda, e per quanto riguarda - immagino - anche il presidente Bertinotti... è l'idea di creare una conferenza mondiale sul problema della moneta, che dia luogo  a qualcosa che per potenza di analogia storica abbiamo convenuto chiamare una Nuova Bretton Woods: questa è l'unica chiave per evitare che il collasso di cui parlava Lyndon LaRouche si trascini in una tragedia infinita. Bretton Woods è venuta dopo, diciamo così, la seconda guerra mondiale. Noi dobbiamo evitare che per avere una Nuova Bretton Woods, dobbiamo avere una terza guerra mondiale. E non sto parlando di noccioline, perché sto parlando del comportamento degli Stati Uniti d'America nei confronti dell'Iran. (Ecco che torna fuori la questione 'nucleare' e il motivo per cui io sono ferocemente contrario a una politica in quel senso, in ogni caso; perché la possibilità di evitare la proliferazione a scopi bellici è impossibile per quanto riguarda il governo del nucleare nel mondo globalizzato contemporaneo e in compresenza di forze belliche da un lato e terroristiche dall'altro. Chiusa parentesi.)

Allora, per evitare che si arrivi, diciamo così, ad un nuovo confronto bellico devastante, motivato sia da contrasti, terrorismo, ecc., ma sia soprattutto da ragioni economiche, e da un collasso generale del sistema a livello mondiale, e da uno scontro tra le vecchie potenze declinanti e le nuove emergenti (Cina, India, e in parte Russia), è necessario non solo il disarmo, non solo la cooperazione, non solo una politica di pace, non solo un rispetto delle persone a livello mondiale, ecc., ecc., cioè di una politica di tipo buonista, che però ha un suo fondamento reale; ma serve anche una politica specifica, economico-finanziaria, che - diciamo così - tappi le falle della crisi, prima che queste diventino inchiudibili, non più chiudibili. Un nuovo sistema di accordi monetari può essere utile, da questo punto di vista. Io penso che l'utopia keynesiana nell'immediato dopoguerra, negli anni Quaranta - la stagione che diede origine all'ONU - della creazione di una moneta universale, sottraendo quindi l'economia mondiale al predominio di quattro monete (il dollaro, la sterlina, lo yen e l'euro) sia un disegno che io non vedrò compiuto, temo neanche Lyndon LaRouche, ma che forse i nostri figli, o i nostri nipoti, potrebbero perseguire... per rendere la situazione economica un poco più stabilizzata. Penso che un nuovo sistema di relazioni economiche internazionali, basate sulla diffusione della innovazione tecnologica, punto trattato da Lyndon LaRouche, sia un punto essenziale. L'ultima cosa che, come membro di questo governo, farò, è andare a Tokyo tra venti giorni, dove c'è la seduta del G8 Green[...] dedicata ai problemi del cambiamento climatico mondiale... e lì sul tappeto c'è il problema di come i Paesi tecnologicamente più avanzati possano trasferire non a scopo di lucro tecnologia avanzata ai Paesi meno avanzati, al fine di fare in modo che il loro sviluppo economico sia meno devastante sul territorio di quanto non lo sia stato il nostro, americano o europeo, lungo il Novecento. Questo è un punto fondamentale. E' difficile ottenerlo, ma - diciamo così - se si parla di utopie concrete, questo è un esempio di utopia concreta. Un ossimoro che io uso spesso.

Ecco, questi sono i punti di intesa e di accordo con il discorso di LaRouche, che è estremamente importante, estremamente significativo. Naturalmente avremmo bisogno, nel nostro Paese, di una classe politica dirigente e di un governo coraggioso, capace di trarre esperienze da ciò che di negativo e di positivo c'è stato nel Novecento, sia nel sistema capitalistico che nel sistema collettivistico, e di portare una nuova prospettiva, tenendo conto che il quadro che Lyndon LaRouche ci ha fatto, addirittura di diminuzione della popolazione [mondiale] da 6 miliardi di persone a un miliardo di persone.. io mi auguro che sia un po' esagerato; mi auguro, ma capisco che coglie un elemento di realtà, cioè siamo su un crinale, non possiamo stare a guardare, dobbiamo cogliere gli elementi che ci vengono.. leggete Repubblica di oggi.. io non so pronunciare il suo nome perché sono un handicappato dal punto di vista linguistico, oltre che forse anche dal punto di vista culturale... però questo economista nato a Teheran, che insegna però a New York, e che io pronuncio come sta scritto Nouriel Roubini... pronunciatelo come si dice a New York e per me va bene... comunque, una bella persona, giovane, fresco, intelligente, maledettamente acculturato.. oggi su Repubblica scrive un articolo in cui in dodici punti analizza la crisi dei subprime statunitensi: bene, il quadro è terribile, cioè lui prevede che dai subprime, dalla bolla immobiliare si arrivi ad una crisi e ad un incremento dei fallimenti del 15% delle società americane, che li porti ad una crisi e a un crac di varie banche nel mondo, ad una crisi della liquidità a livello mondiale, e conseguentemente a strette creditizie sempre maggiori. Io mi auguro che quel quadro non sia vero, ma purtroppo - diciamo - il pessimismo della mia ragione mi porta a ritenere che Roubini abbia fondamentalmente ragione. E allora bisogna che l'Europa nel suo complesso e i singoli Paesi europei si muovano rimettendo la finanza sotto la politica, e non viceversa, e riattivando un intervento nell'economia reale. Perché solo lo sviluppo dell'economia reale, della ricchezza concreta, solo l'applicazione della creatività, dell'innovazione al mondo produttivo può sconfiggere la logica delle bolle speculative, della pura e semplice speculazione finanziaria.

Con questo inno alla speranza, pur in un quadro catastrofico, mi taccio, vi saluto, ringrazio Lyndon LaRouche che ha avuto la pazienza di ascoltarmi. Ci risentiremo nei prossimi mesi, immagino con altri ruoli.



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