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Venti di panico sui mercati finanziari

9 marzo – Un’indicazione del panico che si sta impossessando dei mercati è data dall’annuncio che il Tesoro USA e il Federal Reserve System sostengono l’iniziativa della “industria” bancaria di istituire una banca di riserva, chiamata “NewBank”. La NewBank esisterà solo sulla carta e la sua funzione è quella di stare in panchina pronta per intervenire e rilevare le operazioni di banche che non sono in grado di regolare le proprie posizioni overnight. Per questo dispone di un conto di 500 milioni di dollari sottoscritto da 24 banche. Nel riferire la notizia, il 28 febbraio, il New York Times cercava di spiegare che si tratta di una misura cautelativa per far fronte ad eventuali conseguenze di attacchi terroristici o catastrofi, ma non rinunciava ad ammettere che questi interventi dalla stanza dei bottoni potrebbero essere anche provocati da “improvvisi problemi legali” o “creditizi” che potrebbero indurre gli investitori a ritirare i soldi. Intanto a Wall Street si sussurra che questa crisi sia imminente e ad innescare la reazione a catena potrebbe essere un tracollo di Morgan Chase o di una banca d’investimento come Goldman Sachs o un grande hedge fund.
Di seguito vediamo come i diasastri in vista sono di stretta natura finanziaria, prodotti dal sistema stesso: il primo è quello della fine del “carry trade”, per cui l’intero sistema a questo punto entra in crisi per un rialzo dei tassi, soprattutto del Giappone, e l’altro è il mercato dei derivati. Giustificati come meccanismi di assicurazione del rischio, ora si ammette che queste transazioni non assicurano il sistema, ma, con i loro volumi impressionanti, non fanno che aggravare il rischio sistemico globale.

La fine del “carry trade”

Il crac islandese (vedi qui) è stato solo il primo episodio dello scioglimento del cosiddetto “carry trade”. Si tratta delle operazioni finanziarie in cui banche e fondi prendono in prestito denaro offerto a basso tasso d'interesse, come lo yen o l'euro, per investirlo in titoli ad alto rendimento ed alto rischio, come i bonds dei “mercati emergenti”, le obbligazioni spazzatura delle imprese o titoli emessi sui mutui, le Mortgage-backed securities.
In Giappone il rendimento dei titoli di stato è balzato al massimo in cinque anni, all'inizio di marzo, dopo che la Banca del Giappone ha reso noto che l'inflazione “core” dei prezzi al consumo ha raggiunto il massimo in otto anni. Dopo che il governatore della BCE Claude Trichet ha annunciato un aumento di un quarto di punto percentuale dei tassi, portati così a 2,5%, lasciando anche intendere nuovi rialzi già in vista come conseguenza della spinta inflativa, un aumento è stato registrato anche nei titoli dei governi europei. Ad esempio, i bonds biennali tedeschi hanno raggiunto il 3,10% rispetto al 2,88% di due settimane prima.
L'esaurimento della liquidità per alimentare il “carry trade”, conseguente al rialzo dei tassi dell'eurozona e del Sol Levante, dove sono previsti al più tardi per il 1 aprile, provoca già eccessi di nervosismo: il 1 marzo il Wall Street Journal ha pubblicato in prima pagina un articolo in cui ci si rammaricava del fatto che la svolta di politica monetaria giapponese potrebbe “affaticare” i mercati finanziari globali. Ribaltare la politica del denaro facile, che costituisce “un aspetto primario dell'economia mondiale da quasi un decennio”, condurrebbe al ritiro di migliaia di miliardi di yen dal sistema bancario giapponese. Gli hedge funds, ha notato il giornale di Wall Street, si sono indebitatti ai tassi ridotti del Giappone per indirizzare soldi nei titoli ad alto rendimento in ogni parte del mondo, cioè lo “yen carry trade”. Tra le ripercussioni principali si prevede il rialzo generalizzato dei tassi d'interesse, dai mutui al debito estero, la caduta dei titoli di borsa, il rincaro dello yen e la caduta del prezzo dei bonds.

I derivati sul credito

Timothy Geithner, presidente della Federal Reserve di New York, ha parlato, il 28 febbraio, alla “Global Association of Risk Professionale”. Dopo aver elogiato, come di circostanza, le virtù della “rapida crescita degli strumenti per il trasferimento del rischio”, ha parlato dei derivati ed in particolare di quelli sul credito:
“Essi non hanno eliminato il rischio”, ha spiegato Geithner, “non hanno posto fine alla tendenza dei mercati alle fasi temporanee di mania e di panico. Non hanno eliminato la possibilità del fallimento dei grandi intermediari finanziari. E non riescono ad isolare completamente il più vasto sistema finanziario dagli effetti di tali fallimenti. La dimensione dei mercati dei derivati over-the-counter è molto ampia … si avvicina ai 300 mila miliardi”.
Geithner ha posto in evidenza come, nel caso fallisse una delle controparti nei derivati perché incapace di onorare quei contratti, “il processo di chiusura e sostituzione di quelle posizioni potrebbe aumentare lo stress a cui sono sottoposti i mercati e aggravare il danno prodotto”. Ha sottolineato come i derivati sul credito “sono emessi su una base di debito sottostante molto più ristretta”; ovvero, per ogni dollaro di debito delle imprese, le banche possono stipulare fino a dieci dollari di derivati sul credito, che sono presentati come la presunta “assicurazione” di quel credito. “Nel caso di un'insolvenza [i derivati sul credito] amplificherebbero … i rischi delle dinamiche avverse del mercato”.
I commenti di Geithner sono particolarmente importanti in quanto egli ha in pratica ricevuto il compito, nella Federal Reserve, di cercare di ristabilire il controllo sui derivati sul credito, ottenendo la cooperazione delle 14 banche principali che trattano queste operazioni. I suoi moniti sembrano dunque contrastare con l'atteggiamento incurante del presidente della Fed Bernanke, noto per la disponibilità a rovesciare liquidità sui mercati, “all'occorrenza dall'elicottero”.


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