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Zbigniew Jaworowski su Fukushima: Sul robusto settore nucleare giapponese.

15 marzo 2011

(MoviSol) - Il Giappone, affacciato sul cosiddetto "Cerchio di fuoco" dell'Oceano Pacifico, è una della nazioni più instabili dal punto di vista sismico. Nel XX secolo, a causa di nove terremoti complessivi di intensità non inferiore ai 6 gradi della scala Richter, morirono circa 158.280 giapponesi. Questa realtà era nella mente dei progettisti e dei costruttori dei 55 reattori destinati ai 17 impianti di potenza, che riforniscono di corrente elettrica la nazione, coprendo il 34,5 % del suo fabbisogno di elettricità. Li costruirono sufficientemente robusti da non rilasciare alcuna radioattività nociva oltre i livelli consentiti, anche nel peggiore terremoto della storia. Il sisma dell'11 marzo 2011, di magnitudo 9.0, il più grave della storia giapponese, ha dimostrato che gli impianti hanno retto come previsto. Nessuna radioattività pericolosa è fuoriuscita dagli edifici distrutti di Fukushima, e nessuno del pubblico è stato gravemente colpito dalle radiazioni. Anche se gli impianti nucleari hanno resistito alle scosse del sisma, sembra che, tuttavia, non abbiano retto all'enorme ondata dello tsunami, che ha coperto una fascia di terraferma larga 10 km, allagando anche i motori diesel dei generatori di servizio degli impianti. Il risultato è il surriscaldamento dei noccioli dei reattori.

Nelle città più colpite, quelle di Miyagi, di Fukushima e di Ibaraki, sono collocati 11 reattori nucleari. Quelli che erano in funzione durante il terremoto sono stati spenti automaticamente e le équipe di tecnici e lavoratori hanno cominciato ad eseguire le procedure prestabilite di dissipazione del "calore residuo", cioè ad iniettare acqua nei vasi in pressione dei reattori. Dopo un'ora, però, i generatori di emergenza di Fukushima Daiichi sono stati distrutti dallo tsunami; il sistema di raffreddamento ad alta pressione è andato perduto e, prima dell'aggiunta di generatori mobili aggiuntivi, la temperatura del nocciolo della Unità 1 è cresciuta al punto in cui il rivestimento allo zirconio delle barre di fissile hanno reagito con l'acqua, producendo idrogeno.

Quando il 12 marzo è stato rilasciato del gas del vaso in pressione, esternamente al primo contenitore si è avuta un'esplosione dell'idrogeno, lasciando intatto il vaso di contenimento. Questa situazione tecnicamente aggravata ha portato al ferimento di alcune persone, senza tuttavia portare ad un rilascio di radioattività nell'ambiente. Dopo l'esplosione, inizialmente i livelli di Cesio 137 e di Iodio 131 sono cresciuti, ma sono scesi nel giro di poche ore. Il 14 marzo si è reso necessario ripetere le suddette operazioni, a causa di un esplosione attorno al reattore dell'Unità 3 dell'impianto Daiichi di Fukushima. Anche in questo caso, è saltato per aria il tetto dell'edificio, senza che si danneggiasse il vaso di contenimento e la radioattività fosse rilasciata dal materiale fissile.

Le autorità hanno assunto la decisione di condurre due misure precauzionali. Una è stata l'evacuazione di circa 200.000 residenti nelle dieci città vicino allo stabilimento danneggiato. L'altra è stata la distribuzione di 230.000 pastiglie di iodio presso i centri di evacuazione dalle aree attorno agli impianti di Fukushima Daiichi e Fukushima Daini. Lo iodio non è ancora stato somministrato alla popolazione, ma non è da considerarsi misura necessaria.

Si può immaginare che cosa accadrebbe se fondessero i noccioli delle due centrali di Fukushima Daiichi e Fukushima Daini. Sappiamo quel che accadde al reattore di Three Mile Island nel 1979 e al reattore di Cernobil durante la catastrofe del 1986. In Giappone si avrebbe un esito simile a quello di Three Mile Island: allore le spesse pareti di contenimento in calcestruzzo protessero il reattore e impedirono la fuoriuscita dei prodotti della fissione. Quasi nulle furono le emissioni di radionuclidi in atmosfera; vi furono delle fughe di un gas nobile radioattivo innocuo; quasi nulla fu l'esposizione della popolazione. Non vi sono affatto possibilità che si ripeta la storia di Cernobil, poiché quel reattore non era collocato entro un vaso di contenimento, e per dieci giorni la radioattività fu libera di abbandonare il reattore fuso a causa della combustione della grafite usata per la sua costruzione. Anche se per disgrazia i vasi di contenimento delle centrali giapponesi fossero danneggiati da un altro terremoto o da un altro tsunami, i residenti nelle vicinanze non sarebbero colpiti dalle radiazioni. Questo è ciò che abbiamo appreso dal disastro di Cernobil, a causa del quale nessun individuo della popolazione residente nelle vicinanze morì, in quanto – come attesta un recente rapporto del Comitato Scientifico sugli Effetti della Radiazione Atomica dell'ONU (vedi l'Appendice D, "Effetti sulla salute dovuti alla radiazione del disastro di Cernobil", pagg. 1-173 del volume II del rapporto UNSCEAR 2011 "Fonti e Effetti della Radiazione Ionizzante") – le dosi di radiazione ricevute in ricaduta dall'alto (fallout), stimate in circa 1mSv all'anno, furono inferiori a quelle della radiazione naturale, troppo piccole per produrre qualche effetto.

Zbigniew Jaworowski è uno scienziato multidisciplinare che ha all'attivo più di trecento articoli scientifici, quattro libri e decine di articoli di divulgazione scientifica. È stato un membro del Comitato Scientifico sugli Effetti della Radiazione Atomica delle Nazioni Unite (UNSCEAR) sin dal 1973: nel biennio 1980-1982 ne fu presidente. Interessante è il suo recente articolo dal titolo "Osservazioni su Cernobil dopo 25 anni di radiofobia", disponibile in lingua inglese a questa pagina. Un suo articolo tradotto in italiano è disponibile su questo sito con il titolo "Un encomio della Bielorussia per la decisione di ripopolare la zona evacuata intorno al reattore di Chernobyl".


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