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Draghi difende le scommesse in derivati del Tesoro

di Claudio Celani,
Vicepresidente di MoviSol


Mario Draghi, BCE

7 luglio 2013 (MoviSol) - Se crediamo alla risposta di Draghi sulle scommesse derivate del Tesoro allora bisogna credere anche alla storia della nipote di Mubarak. E se i tribunali non credono alla versione di Berlusconi, non si vede perché la Corte dei Conti debba credere alla storiella secondo cui le operazioni ad alto rischio (e perdita sicura) del Tesoro furono fatte "nell'interesse dell'Italia".

Almeno centosessanta miliardi di euro di denaro pubblico sono stati investiti in swaps e options che, secondo le stime recentemente pubblicate, stanno generando già otto miliardi di perdite. Non sono noccioline, specialmente in un momento in cui il governo sostiene che non si trovano i soldi per evitare un altro aumento delle tasse. Per puro caso, si tratta della stessa cifra, otto miliardi, ma questa è solo una coincidenza; potrebbero essere sedici o quattro miliardi, la sostanza non cambia.


Claudio Celani, EIR Strategic Alert

Abbiamo chiesto a Mario Draghi, nella conferenza stampa mensile della BCE, se a prescindere dal suo ruolo nella vicenda e dall'entità delle perdite, egli consideri prudente che il Tesoro e in genere i governi investano denaro pubblico in quello che non è altro che "gioco d'azzardo". La risposta di Draghi è stata "Si". "E' una forma di assicurazione – ha proseguito – Ad esempio, se si fanno emissioni in valuta, ci si vuole coprire dal rischio di cambio".

Il presidente della BCE ha anche difeso – non richiesto – la propria persona dall'accusa di aver stipuilato i contratti derivati per abbellire le cifre del debito pubblico quando era direttore generale del Tesoro.

"Per quanto riguarda i contratti che furono stipulati quando ero al Tesoro, essi sono stati chiusi, e sono stati apprezzati da Eurostat e dalla Commissione Europea in diverse dichiarazioni pubbliche. Essi non servirono a mascherare il deficit, perché non si può mascherare quello che è già noto. Le cifre furono tutte comunicate in precedenza, e calcolate secondo i criteri dell'epoca e tutto fu fatto nell'interesse del Tesoro italiano. Qualsiasi Tesoro che agisca nell'interesse del proprio paese compie queste operazioni. Questo è il motivo per cui vengono fatte. Come può leggere nel comunicato stampa della Commissione all'epoca, esse fanno parte della gestione attiva del debito pubblico (...) " (Al minuto 16.14 del video della conferenza della BCE)

Draghi dunque afferma che tutto fu fatto nell'interesse dello Stato (cioè, in ultima analisi dei cittadini), che i contratti da lui stipulati sono stati chiusi, e che non servirono a truccare le cifre del deficit per permettere all'Italia di staccare il biglietto d'ingresso per l'Euro. Incalzato, afferma che è "prudente" per un organo dello Stato investire denaro pubblico nei derivati.

Si è visto come sia prudente nel caso dei numerosi enti pubblici che hanno sottoscritto contratti capestro e si sono trovati a pagare perdite astronomiche in cambio di "pochi" soldi, "maledetti e subito" . Gli amministratori locali non erano competenti, si obietterà, e si sono fatti fregare. Non così i cervelloni del Tesoro, che sono stati "prudenti".

Mica tanto. Chi è quel pirla che ha sottoscritto un contratto con Morgan Stanley che prevedeva il diritto per la banca d'affari di chiudere il contratto *in qualsiasi momento*? E infatti, quando Londra ha chiamato, il governo Monti ha sbattuto i tacchi e ha pagato sull'unghia 3,4 miliardi. Come è possibile stipulare un contratto con una clausola del genere? Quanti altri simili ne esistono? E' vera la storia degli 8 miliardi di perdite?

Se escludiamo che al Tesoro siano degli imbecilli, o che qualcuno si sia indebitamente arricchito, l'unica spiegazione è che la contropartita per l'Italia valeva il gioco. E dunque si rafforza l'ipotesi che il Tesoro sotto Mario Draghi stipulò contratti derivati per abbellire i conti pubblici. Si sapeva che i contratti erano in perdita, ma le perdite sarebbero state scadenzate nel futuro, mentre nell'immediato l'Italia centrava l'obiettivo dell'ingresso nell'Euro.

"Nell'interesse del paese."

Nell'attesa che ci sia un giudice a Berlino, facciamo notare che non esiste alcuna ragione economica che giustifichi l'uso dei derivati da parte del Tesoro. Le due motivazioni addotte, copertura del rischio di cambio e copertura del rischio dei tassi, non esistono. Sul rischio di cambio: chi lo dice che l'Italia deve emettere titoli in valuta straniera, come se fosse una nazione del quarto mondo senza uno straccio di credibilità finanziaria? E se si vuole coprire il rischio dei tassi (il famoso spread), c'è un metodo molto meno dispendioso e pratico: si reintroduce il ruolo della banca centrale come compratore di ultima istanza. Dopo il famoso "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro che eliminò questo dispositivo, avvenne l'esplosione dei tassi e del debito pubblico. Oggi, la BCE e le banche centrali sono tornate ad acquistare titoli del debito pubblico, ma li acquistano dalle banche private. Basterebbe che partecipassero alle aste, e la loro presenza fungerebbe da deterrente, calmierando i tassi. Questo sarebbe nell'interesse del paese, il resto sono chiacchiere.




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