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Il Fidelio di Beethoven alla Prima della Scala: stupenda la musica, orrenda la regia

di Liliana Gorini, presidente di MoviSol

8 dicembre 2014 (MoviSol) - La Prima della Scala ci ha regalato quest'anno l'unica opera lirica di Ludwig van Beethoven, Fidelio, che era stata eseguita il mese scorso anche alla conferenza internazionale dello Schiller Institute in Germania per l'importantissimo messaggio che trasmette: l'azione del singolo, in questo caso di una donna, Leonora, è fondamentale per combattere le ingiustizie e cambiare il sistema sociale. Un grande direttore, Daniel Barenboim, chiude con quest'opera di Beethoven i suoi quasi 10 anni alla Scala, iniziati con la Nona Sinfonia dello stesso compositore.

Ottimi il coro ed i cantanti, soprattutto la protagonista, Leonora, interpretata magistralmente da una giovane debuttante alla Scala, Anja Kampe. Disastrosa, come al solito, la regia moderna, affidata alla britannica Deborah Warner, che ha ignorato bellamente il libretto, ispirato ad un fatto storico, e ha ambientato l'opera in una fabbrica dismessa, cambiando anche il finale, come fece tre anni fa il suo collega Robert Carsen col Don Giovanni di Mozart. Qual è il messaggio che voleva trasmettere, che le fabbriche sono carceri e per questo vanno chiuse? O che, più semplicemente, sono luoghi del patire in cui gli esponenti dell'oligarchia come l'elegante Lagarde non vorrebbero mai metter piede per lavorare? Comunque sia, è un messaggio molto "renziano" ed in linea con il Jobs Act. Non sorprende che il ministro della Cultura Franceschini, dopo aver annunciato che taglierà i fondi ai teatri dell'opera (vedi: "Cortigiani, vil razza dannata") ieri sera si sia detto entusiasta di questo "allestimento" sostenendo che "è coraggioso, ma ci sta perfettamente".

In realtà non ci sta affatto. Il "Fidelio" si ispira alla vera storia di Adrienne Lafayette, moglie del Marchese de Lafayette, eroe della Rivoluzione Americana. Travestita da uomo, Leonora penetra in una prigione nei pressi di Siviglia e libera il marito, segregato dal capo delle carceri Pizarro. Nella realtà, Adrienne andò in una prigione austriaca per salvare il marito, che fu tenuto prigioniero dal 1792 al 1797 d'intesa segreta tra Inghilterra, Austria e Prussia, su ordine del Primo Ministro inglese William Pitt (da cui Pizarro). L'eroismo della moglie Adrienne, che si fece imprigionare con i suoi due figli nella stessa prigione, catalizzò le attenzioni internazionali, fintanto che nel settembre 1797 Lafayette venne liberato.

Che cosa c'entrano quindi le fabbriche dismesse, Leonora in tuta da operaio, e addirittura Jacquino in jeans e con una scritta "Wow" sulla T-shirt (sicuramente molto in voga nel Settecento)? Ovviamente, il perfido Pizarro entra in scena in doppio petto da "industriale", per rendere ancora più chiaro il messaggio "post-industriale" della regista inglese. Che sia una fan proprio di William Pitt, il primo ministro inglese a cui si ispira il malvagio personaggio di Pizarro, e vorrebbe vedere in catene tutti coloro che si battono per lo sviluppo industriale?

In realtà il messaggio dell'opera di Beethoven è ben diverso: è un messaggio di giustizia, di liberazione dalle malefatte dell'oligarchia, che allora, come oggi, cerca di zittire chiunque si opponga al suo sistema imperiale. I "Pizarro" odierni sono i gerarchi dell'Unione Europea, della BCE e della Troika pronti ad abolire anche le elezioni pur di imporre misure draconiane di austerità in tutta Europa, reprimendo anche con la violenza chi si oppone, come è accaduto in Grecia, perfino contro i manifestanti disabili sulle sedie a rotelle.

Ma quello del Fidelio è anche un messaggio di speranza, perché l'azione di una sola donna, Leonora, spinta dall'amore coniugale, riesce a liberare Florestano dalle catene e a far incarcerare invece il suo aguzzino. Un messaggio reso ancora più potente dalla sublime musica di Beethoven, che nel coro dei prigionieri ricorda il "Va pensiero" del Nabucco di Giuseppe Verdi. E che fa spesso uso delle pause musicali, per rendere ancora più forte la drammaticità degli eventi (come ha sottolineato il Mo. Barenboim intervistato da Rai 5: il silenzio è molto importante per Beethoven, la musica viene dal silenzio). Promossi quindi il direttore, l'orchestra e i cantanti e bocciata invece la regista, mentre lodevole è lo sforzo di Rai 5 che ha trasmesso la prima in diretta, coi sottotitoli, consentendo quindi al pubblico televisivo di comprendere i dialoghi, le arie, i duetti e i concertati dell'opera.

Tre anni fa un altro regista di origine britannica, Robert Carsen, fece a pezzi il Don Giovanni di Mozart cambiando perfino il finale dell'opera (vedi "Povero Mozart, ucciso dall'oligarchia e dai registi al soldo degli speculatori!"). Nell'allestimento di Deborah Warner, Pizarro viene ucciso dalla folla, che gli spara, invece che arrestato dal ministro, come prevede il libretto originale. Con questa alterazione si introduce un elemento di cinismo, che dissocia l'autorità dalla giustizia, e sembra tradire l'intenzione di lasciare il popolo italiano nel suo brodo di populismo e demagogia. C'è da chiedersi, possibile che in Italia, la patria del belcanto, non ci sia un regista capace di mettere in scena un'opera lirica seguendo le indicazioni del libretto e del compositore?






 

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