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Corsa alle liberalizzazioni; i bankers ringraziano

12 febbraio 2011 (MoviSol) - Sotto la spinta di una serie interminabile di scandali, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha deciso che sarebbe ora cambiare argomento e affrontare "i problemi del paese". Così ha annunciato un nuovo piano per la crescita, incentrato sulle liberalizzazioni di vari settori economici, a partire da cambiamenti alla Costituzione stessa. Obiettivo: liberarci dalle troppe regole che impediscono all'Italia di spiccare il volo. La risposta del Pd di Pierluigi Bersani non si è fatta attendere: ma quali liberalizzazioni? Quelle vere le ho fatte io, e adesso ne propongo ancora di più. Insomma, si è innescata una gara a chi può essere più liberista, tutto a favore della "crescita" economica.

La realtà però, e che questa gara favorisce soltanto gli interessi politico-finanziari di Bruxelles e la City di Londra, ed i loro promotori in Italia. Come abbiamo scritto dopo la spaccatura della maggioranza nello scorso autunno, lo scontro politico italiano fa parte di uno scenario disegnato ad alto livello e evidente a chiunque volesse alzare lo sguardo dal palude degli scontri quotidiani: la creazione di un esecutivo di emergenza che potrà attuare un programma di feroce austerità sul modello dei piani annunciati e lanciati in Grecia, Irlanda, Gran Bretagna e Francia. I mercati finanziari richiedono lacrime e sangue, altrimenti gli attacchi speculativi ai titoli di stato riprenderanno in qualsiasi momento, con una moneta unica che si avvia verso la propria fine. Così i cittadini devono sottostare ad una nuova ondata di salvataggi per chi ha speculato, i veri destinatari dei programmi di stabilizzazione a livello europeo.

Insieme ai tagli serviranno le famose "riforme strutturali" che tradotte in termini reali porteranno ad ulteriori privatizzazioni e liberalizzazioni, annullando le tutele dei cittadini di fronte agli interessi speculativi. Montezemolo potrà garantirsi i profitti dell'alta velocità, come i Benetton si sono presi quelli delle autostrade. Seguono le municipalizzate, l'acqua, l'energia e tutto il resto, alcuni già avviati negli ultimi anni. Come insegnano Gran Bretagna e Stati Uniti, la deregulation è la precondizione per il saccheggio da parte degli interessi privati, non per l'efficienza, che viene invece realizzata con investimenti in infrastrutture e alta tecnologia.

Finora il Governo Berlusconi è stato poco affidabile nell'attuare il programma liberista richiesto, anche a causa di un Ministro dell'Economia che, pur imponendo una linea di rigore per quanto riguardano i conti pubblici, cerca in continuazione modi di ricostruire l'economia reale attraverso i progetti infrastrutturali e la richiesta di una riforma internazionale che separi le attività reali da quelle speculative; infatti Tremonti ha contrastato subito il nuovo piano di Berlusconi, provocando l'ira del suo vero promotore, Giuliano Ferrara.

Ora Berlusconi e Bersani sembrano aver deciso di accontentare i bankers in anticipo, per evitare a loro di doversi sporcare le mani manipolando il quadro politico italiano. Vogliono l'accelerata liberista? Gliela diamo noi, così facciamo vedere quanto siamo bravi e magari riusciamo a tenere/ottenere le posizioni di potere.

Mentre negli Stati Uniti la Commissione di Inchiesta sulla Crisi Finanziaria (FCIC) guidata da Phil Angelides ha pubblicato un rapporto di importanza fondamentale, indicando l'abrogazione di Glass-Steagall (la separazione tra banche commerciali e banche d'affari) e la deregulation in generale come le cause del crollo economico-finanziario di questi anni, in Italia si vuole abbracciare la malattia, piuttosto che curarla. I bankers se la ridono veramente.

Per aiutare a contrastare la follia di chi crede che le liberalizzazioni siano la fonte della crescita economica (tesi che sembra ormai scritta nel DNA dell'establishment economico, nonostante la sua dimostrata fallacia) MoviSol ripropone la lettura dell'eccellente studio di Claudio Giudici del 2008 sul tema delle privatizzazioni e liberalizzazioni in Italia, mostrando come la scossa data all'economia italiana negli anni Novanta iniziata con i governi Amato e Ciampi (tanto invocati da alcuni personaggi in questi giorni) in realtà ha inferto un colpo durissimo al tessuto industriale e alla sovranità del paese. Vogliamo davvero ripetere questa esperienza, per paura di inimicarsi i poteri forti a livello internazionale?


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