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24 aprile 2013 (MoviSol) - Nell'ambito di una ricorrenza così importante per l'Italia come quella del 25 Aprile, MoviSol vuole dare un contributo di pensiero in una giornata altamente simbolica e significativa, convinti che non ci possa essere vera libertà senza verità. Per tale ragione, con questo articolo desideriamo iniziare una serie di scritti sull'origine e l'evoluzione del pensiero europeista, ripercorrendo alcune delle tappe storiche fondamentali e facendo ricorso alle fonti storiche originali. Cercheremo di riflettere sulle circostanze ed i personaggi che hanno condotto all'Europa moderna, così come la conosciamo oggi.

Europa: il sogno tradito di De Gasperi (prima parte)

di Andrea Pomozzi

Premessa

Spesso nei dettagli si trova la chiave di lettura del contesto generale e dietro il particolare si cela la visione d'insieme delle cose. Per cui all'interno dei grandi processi storici di massa, sarebbe di fondamentale importanza analizzare soprattutto quei fatti, quegli accadimenti, a volte apparentemente insignificanti, che hanno avuto il potere di avviare o modificare l'evoluzione dei processi stessi. Eventi scatenanti che successivamente sono stati non di rado stravolti da un punto di vista mediatico e completamente oscurati dalle dinamiche storiche, per essere così rimossi dalla memoria collettiva. La giustificazione di un simile approccio alla lettura dei fatti ha le sue radici nella consapevolezza che ogni protagonista di questi avvenimenti ha ed ha avuto il suo bagaglio di idee, di valori, di ideologie e principi. Qualunque attore sulla scena politica ha ed ha avuto la sua visione delle vicende umane, dell'essere umano ed in generale del significato della vita. Oggi, in modo più prosaico, forse diremmo che ciascuno ha ed ha avuto la sua "agenda". È un elemento innegabile che caratterizza qualunque individuo e lo fa essere, consapevolmente o meno, elemento attivo ed influente di un corso della Storia piuttosto che di un altro.

Potremmo ipotizzare che dalla mancata analisi di tali eventi "catalizzatori" o dalla irrilevanza loro attribuita in modo più o meno pianificato, scaturisca un certo "fatalismo" storico: una certa tendenza del pensiero, comune alle ideologie di matrice materialista, che vuole affidare al "destino", ad un imprecisato "disegno storico", l'origine e l'evoluzione delle dinamiche politiche e sociali. Una sorta di determinismo trasposto sul piano politico, sociale ed economico. Esempio ultimo di questo determinismo, ma solo in ordine cronologico, può essere rintracciato nella proclamata ineluttabilità dei processi di globalizzazione economica, nell'attuale fase storica. A giustificazione di tali fenomeni capita spesso di ascoltare la tesi (quasi un leit motiv) del mondo "che è cambiato", "che non è più come una volta"; ma al contempo raramente queste considerazioni vengono seguite da un trasparente tentativo di comprensione su chi e perché si è adoperato affinché questi processi si mettessero in moto.

Al contrario qui vorremmo affermare che taluni percorsi storici sono il frutto di scelte deliberate e consapevoli, anche se spesso non evidenti e facilmente intellegibili. È nostra ferma convinzione che sia possibile avere un'ampia influenza sulla Storia, da parte di singoli individui, anche dall'interno delle vicende che caratterizzano l'ambito quotidiano. Questa possibilità è tanto più reale, quanto più questa consapevolezza e questa convinzione sono diffuse tra un grande numero di persone, le quali però debbono poter contare su una vera conoscenza della realtà circostante. La storia della formazione della moderna Europa è costellata da molti di questi episodi "catalizzatori" con numerosi attori protagonisti nel corso del secolo scorso. Protagonisti che frequentemente hanno speso la loro vita e le loro energie in una battaglia politica su molti fronti ed in molti ambiti, al fine di poter realizzare in concreto la loro visione ideale di società. Rincresce però constatare come tale battaglia raramente si sia svolta dentro i giusti e moderni canoni del confronto democratico, del coinvolgimento popolare e soprattutto nell'interesse generale. Molto più spesso la lotta politico-ideologica è stata condotta da "elite illuminate" all'interno di consessi e circoli ristretti, nel tentativo di influenzare quegli ambienti che avrebbero potuto operare scelte politiche ed economiche mirate alla realizzazione della loro visione. Altro fatto che quantomeno sorprende e lascia notevoli perplessità è la completa assenza di basi storiche e scientifiche sulle quali le elite europee hanno preteso di costituire un nuovo modello sociale.

Dal lato più generale, tutti gli esempi storici di sistemi politici sovranazionali, che abbiano teso ad unificare culture, lingue, storie e tradizioni profondamente diverse hanno mostrato nel corso dei millenni l'insostenibilità di tali progetti. La fragilità intrinseca di questi sistemi ha condotto ad un'implosione delle relative forme di governo, lasciando sul campo povertà e sottosviluppo per le popolazioni. Come esempi si potrebbero citare tutte le forme imperiali che si sono succedute nel corso dei secoli, senza trascurare, in un passato più recente, casi come quelli della ex-Jugoslavia o dell'ex-URSS. Potremmo definirli qui "esperimenti" storici, che hanno richiesto però un prezzo altissimo in termini di vite umane e di sviluppo culturale e sociale della civiltà. Dal lato più specifico, quello economico, l'idea di una moneta unica che potesse esprimere contemporaneamente in modo ottimale le condizioni sociali, economiche, industriali, culturali, ecc… di nazioni con profonde differenze era già stata scartata da illustri economisti fin dagli anni '60[1]. Si potrebbe quindi affermare che in sostanza il processo di integrazione europea, così come si è svolto nei decenni trascorsi, ha poggiato su basi democratiche discutibili, in contrasto con le più accreditate teorie economiche e senza un modello storico funzionante da prendere ad esempio. Dall'analisi è stato volutamente escluso ogni giudizio morale o ragionevole dubbio sulla "buona fede" dei promotori del processo di integrazione, poiché convinti che gli elementi "visibili", reali, di inoppugnabile verità storica siano sufficienti ad indurre nel lettore personali riflessioni a riguardo.

Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli ed il sogno europeo.

Il contesto in cui si comincia ad affrontare il tema europeo è quello post-bellico, in cui l'Italia si ritrovò nei consessi internazionali da Paese sconfitto. Questi due elementi (periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale e l'Italia uscente dal conflitto come Paese perdente) sono fattori di rilevante importanza ed indispensabili al fine di capire il clima sociale e politico in cui si tracciarono i primi scenari europei e soprattutto le ragioni sottostanti a talune scelte. Da una parte il ricordo drammatico della recente guerra, l'orrore e le devastazioni lasciate come pesanti eredità fornirono lo slancio "emotivo" e l'urgenza di muoversi in una direzione "europeista". Dall'altra parte l'Italia, in quanto nazione perdente, non poté mai esprimere una posizione chiara e indipendente sulla stipula di molti accordi e trattati. Infine, le immense necessità e bisogni primari impellenti della popolazione italiana, la volontà di integrazione e l'ansia di riscatto agli occhi degli alleati rappresentarono fattori determinanti nelle scelte politiche nazionali e su scala internazionale. Per le ragioni sopra esposte dunque le capacità negoziali e di imposizione su tematiche specifiche, nei confronti delle potenze alleate, risultarono chiaramente minime. Ma nonostante tali sovrastanti condizionamenti, a pochi anni dal termine del conflitto mondiale e dalle barbarie naziste, Alcide De Gasperi non ebbe timore in tutti i consessi nazionali ed internazionali ad utilizzare nei suoi discorsi pubblici parole come nazione, sovranità, patria. Termini che i puristi "democratici" odierni si guardano bene perfino dal pronunciare. «Non corro io il rischio di apparire come uno spirito angusto e perturbatore, che si fa portavoce di egoismi nazionali e di interessi unilaterali?», ebbe a dire De Gasperi durante il famoso e appassionato discorso tenuto alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1946[2]. In quello stesso discorso vengono bene alla luce il sentimento patriottico e l'interesse nazionale dell'allora Primo Ministro, che in un passaggio afferma:


Estratto del cinegiornale "Settimana Incom", proposto dall'Istituto Luce Cinecittà

«Ebbene, permettete che vi dica con la franchezza che un alto senso di responsabilità impone in quest'ora storica a ciascuno di noi, questo trattato è, nei confronti dell'Italia, estremamente duro; ma se esso tuttavia fosse almeno uno strumento ricostruttivo di cooperazione internazionale, il sacrificio nostro avrebbe un compenso: l'Italia che entrasse, sia pure vestita del saio del penitente, nell'ONU, sotto il patrocinio dei Quattro, tutti d'accordo nel proposito di bandire nelle relazioni internazionali l'uso della forza (come proclama l'articolo 2 dello Statuto di San Francisco) in base al "principio della sovrana uguaglianza di tutti i Membri", come è detto allo stesso articolo, tutti impegnati a garantirsi vicendevolmente "l'integrità territoriale e l'indipendenza politica", tutto ciò potrebbe essere uno spettacolo non senza speranza e conforto. L'Italia avrebbe subìto delle sanzioni per il suo passato fascista, ma, messa una pietra tombale sul passato, tutti si ritroverebbero eguali nello spirito della nuova collaborazione internazionale

De Gasperi è considerato, a ragione, uno dei padri fondatori del progetto europeo, ma come si evince da molti suoi scritti, il suo disegno contemplava concetti come: l'Europa dei popoli; l'Europa delle nazioni; l'Europa democratica all'interno di uno schema istituzionale intergovernativo; l'Europa come progetto di cooperazione stabile, duratura e pacifica. Concetti più volte ripresi in occasione dai suoi discorsi[3]: «Resta in ogni caso stabilito che soprattutto, ogni Parlamento nazionale è sovrano e che quindi chi decide, in Italia come altrove, è il Parlamento in piena libertà e autorità, essendo l'Unione Europea per ora semplicemente un corpo consultivo. Ma è comunque evidente che qualunque accordo si potesse sviluppare in avvenire in un organismo centrale europeo, dato il carattere democratico dei paesi partecipanti e la loro posizione europea, non potrà essere che una contro assicurazione di "assistenza difensiva" operante sotto certe condizioni determinate dai Parlamenti».

Durante tutto l'arco della vita politica di De Gasperi si manifestò in lui una tensione all'apertura verso contesti internazionali, anche come strumento di risposta alle gravi emergenze dell'Italia di allora, ma sempre rimarcando elementi fondamentali come l'indipendenza e l'autonomia democratica nazionale[4]: «Badate bene che quando diciamo che non siamo nazionalisti, lo intendiamo in questo senso, che cioè non vogliamo la soluzione di tutti i problemi attraverso la forza della nazione, attraverso l'iniziativa nazionale, e non diciamo qualche cosa che limiti le nostre forze reali, che diminuisca, comprima e deprima il nostro sentimento nazionale italiano: la base di tutte le cooperazioni è la nazione, in un consorzio di nazioni libere. (Vivissimi applausi). […] Chiunque fosse ministro degli affari esteri oggi dovrebbe tener conto di questa situazione dell'Italia - ne ha accennato l'onorevole oratore liberale precedentemente vale a dire mancanza delle materie prime e esuberanza di forze di lavoro: questa è la situazione geopolitica dell'Italia. Questa è la nostra necessità; cioè la collaborazione internazionale, se corrisponde ai nostri intimi, profondi sentimenti, al nostro idealismo, corrisponde anche ad una esigenza pratica, ad una necessità di evoluzione, al dover cercare una soluzione, almeno in parte, di questi problemi. »

De Gasperi sapeva bene, soprattutto alla luce delle condizioni storiche di allora, di cui abbiamo sopra accennato, quali fossero le fragilità e le necessità dell'Italia e per questo puntò alla cooperazione e alla collaborazione internazionale. Anche negli ultimi anni della attività politica di De Gasperi la sua linea politica non cambiò, sempre coerente e chiara, con l'obbiettivo di tracciare una strada ben precisa per le generazioni future che si sarebbero succedute. Durante un suo discorso alla Conferenza Parlamentare Europea, pochi mesi prima della sua morte, egli disse[5]: «Voi sapete che il nostro obiettivo principale è di facilitare i lavori e di provocare l'incontro dei parlamentari delle nostre Assemblee. Le nostre riunioni non sono destinate e prendere decisioni politiche che spettano ai Parlamentari, detentori delle sovranazionalità nazionali, ma sono liberi incontri, colloqui tra le varie tendenze e le varie nazionalità, un foro nel quale possono confrontarsi pareri diversi, ma tutti egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa.»

Troppo spesso, e con troppa superficialità, si invoca oggigiorno lo "spirito dei padri fondatori" dell'Europa, nel tentativo di trovare una base solida a scelte politiche che, come abbiamo accennato sopra non troverebbero giustificazione nei normali e consolidati canoni della democrazia e dell'economia. Scelte politiche che non troverebbero consenso nei Parlamenti europei e nelle popolazioni, come dimostrano le clamorose e ripetute bocciature della costituzione europea. Scelte politiche i cui effetti drammatici sull'economia, sulla libertà e dunque sulla società sono oramai sotto gli occhi di tutti. Non appaiono, invece, nei discorsi di De Gasperi "sogni europei", utopici modelli di convivenza tra popoli, ideologie fumose, bensì traspare realismo, pragmatismo, rispetto per i dettami costituzionali, amore per la propria patria e una buone dose di "Realpolitik"[6]: «[…] il progetto di cui ci occupiamo è nato in Europa e qui è stato alimentato da parecchie ragioni di carattere economico; ma di esse una è stata essenziale e ne ho parlato personalmente con Schuman il quale dette la veste politica al progetto tecnicamente elaborato da un socialista, la ragione cioè di trovare la strada per impedire la minaccia della rinascita del militarismo germanico e rimediare all'errore commesso ai tempi di Poincaré, quando si credette, attraverso un'occupazione della Ruhr, di giungere alla conclusione e non ci si arrivò, e si creò invece la base per il risorgere dell'industria per la seconda guerra mondiale. Perché non voler riconoscere che almeno si è fatto un tentativo serio per non dare mano liberas ai «magnati» tedeschi che hanno interessi investiti nell'acciaio e nel carbone; perché non voler ammettere che questo è un tentativo serio, ragionevole, che merita di essere fatto e non soltanto sospettato? ».

Una visione, quella di De Gasperi, quasi agli antipodi di quella che caratterizzò il pensiero di Altiero Spinelli, un altro "padre nobile" del sogno europeo. Al realismo degasperiano, Spinelli in quegli stessi anni contrappose un disegno utopico, idealistico, basato sulla eliminazione completa degli stati nazionali. Assieme ad Ernesto Rossi, Spinelli elaborò il Manifesto di Ventotene[7], ove si delinearono i principi guida del pensiero federalista europeo. Il documento, che vide la prefazione di Eugenio Colorni, divenne subito un punto di riferimento per gli europeisti di matrice laicista, grazie anche al concentrato di propaganda e retorica anti-nazionale che il manifesto conteneva. Anche Spinelli non poté esimersi dal riconoscere i benefici che lo Stato nazionale apportò alle popolazioni, specialmente nei suoi strati sociali più bassi: «L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l'oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere entro il territorio di ciascun nuovo stato alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili.»[8], ma al contempo in una alternanza che pervade tutto il Manifesto, Rossi e Spinelli attaccarono ferocemente il concetto di stato nazionale, mediante affermazioni estemporanee e perentorie: «Essa (l'indipendenza nazionale – n.d.a.) portava però in sé i germi dell'imperialismo capitalista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali». Ancora: «La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo «spazio vitale» territori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nella egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti»[9], affermazioni queste che non hanno una base ontologica corretta rispetto al concetto di stato nazionale post-westfaliano e quantomeno frutto di analisi storiche approssimative e superficiali. Tali tesi però fecero breccia con estrema facilità all'interno di alcuni circoli di intellettuali della sinistra italiana, soprattutto dopo gli anni del fascismo e durante il periodo del dopoguerra. È molto interessante, anche alla luce degli scenari politici ed economici che si delinearono nei decenni successivi in Italia ed in Europa, notare come il Manifesto di Ventotene contenesse già i germi del liberismo economico poi elemento caratterizzante delle politiche europee:«I più evidenti concetti della scienza economica debbono essere considerati anatemi per presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferri vecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa dell'interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna è tutto il globo» e ancora «imprenditori che, sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche e dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento»[10]. Il messaggio di Rossi e Spinelli, in completa opposizione a quello di De Gasperi, viene alla luce in maniera evidente all'interno del Manifesto rendendo fin troppo chiari la visione ed il modello politico-sociale:« Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. […] in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unità politica dell'intero globo»[11].

Ma quali erano gli strumenti che Spinelli e Rossi suggerivano per il raggiungimento degli obbiettivi prefissati nel Manifesto? Anche qui vale la pena soffermarsi sulle parole degli autori, per riconoscervi l'idealismo radicale del Partito d'Azione di allora, la carica anti-democratica e violenta dell'ideologia rivoluzionaria:«Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei»[12]. Ancora:«[…] vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale. Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre sin d'ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune»[13]. I mezzi per il raggiungimento di tali obiettivi ricordano vagamente taluni movimenti di "democrazia diretta" che disdegnano le forme e le istituzioni democratiche, in nome di una presunta "vera democrazia":«Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimento organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le masse rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell'ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle informi masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia. Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sboccare in un rinnovato dispotismo»[14].

Spinelli fu il Fondatore nel 1943 del Movimento Federalista Europeo e poi co-fondatore dell'Unione dei Federalisti Europei. Ricoprì il ruolo di membro della Commissione Europea dal 1970 al 1976, poi del Parlamento italiano (1976) e quindi del primo Parlamento europeo eletto a suffragio universale nel 1979. Continuò negli anni ad influenzare profondamente la politica nazionale e quella internazionale contribuendo in modo decisivo all'attuale assetto istituzionale dell'Unione Europea. Ebbe un ruolo rilevante anche nella stesura dei vari Trattai europei, in particolare negli accordi di Roma del 1957.

Dello spirito che animava De Gasperi però, a nostro avviso, poco si ritrova nell'attuale architettura istituzionale ed economica della comunità europea. Non occorre dilungarsi molto per rendere evidente questo scollamento enorme tra popoli ed istituzioni europee, basta sfogliare un quotidiano. Vi è stato un lento e progressivo allontanamento tra i centri del potere decisionale e la popolazione, relegando i Parlamenti nazionali a meri strumenti di ratifica delle direttive europee[15]. È questa forse l'Europa sognata da De Gasperi? Crediamo di no. Ma allora perché e come si è giunti dunque ad un tale assetto istituzionale europeo? È una questione a cui chiaramente non è possibile rispondere in maniera sintetica, nei tempi e nei modi disponibili ad un singolo articolo, ma è il tentativo che vorremmo compiere con una serie di scritti come questo.

È certo, come vedremo, che l'utopia (l'idealismo di matrice hegeliana), dietro il "sogno europeo" è stata alimentata in egual misura da "sinistra" (spinelliani) e da "destra" (liberisti), entrambe le correnti unite nell'unico intento comune di distruzione degli stati nazionali[16]. Questo alternarsi di spinte centrifughe e disgregatrici, di "fughe in avanti" e "strappi costituzionali"[17] è riassunto in un percorso storico che ha come snodi fondamentali la firma dei vari trattati e gli eventi, piccoli o grandi, che hanno condotto a questi accordi. Uno di questi snodi fondamentali, nel primo periodo post bellico, è rappresentato dalla Conferenza di Messina, tenutasi nel 1955, a quasi un anno di distanza dalla morte di De Gasperi.

Ed è proprio da qui che continueremo la nostra analisi delle vicende storiche, nel prossimo articolo.

(fine prima parte)


Note:

[1] - Una spiegazione molto chiara e completa è data nell'ottimo testo di A. Bagnai ("Il tramonto dell'euro", Imprimatur Editore, 2012), ove è riportata un'ampia bibliografia di lavori scientifici a supporto delle tesi che anche qui si vogliono sostenere.

[2] - Discorso alla Conferenza di Pace di Parigi, Alcide De Gasperi, 1946. L'intervento integrale può essere trovato ad esempio qui: http://www.historiaweb.net/2010/01/lintervento-integrale-di-de-gasperi-alla-confernza-di-pace-di-parigi/

[3] - "L'Unione Europea vuole la pace" di A. De Gasperi, Discorso pubblicato su «Il Popolo» del 16 febbraio 1949

[4] - "Per l'unione Europea" di A. De Gasperi, Discorso pronunciato al Senato della Repubblica il 15 novembre 1950

[5] - "La nostra patria Europa" di A. De Gasperi, Discorso pronunciato alla Conferenza Parlamentare Europea il 21 aprile 1954

[6] - "Il trattato della CECA" di A. De Gasperi, Discorso pronunciato al Senato il 15 marzo 1952

[7] - "Per un'Europa libera e unita", A. Spinelli; E. Rossi. Prefazione di E. Colorno. 22 Gennaio 1944 (ultima versione del documento).

[8] - "Per un'Europa libera e unita", op. cit.

[9] - "Per un'Europa libera e unita", op. cit.

[10] - "Per un'Europa libera e unita", op. cit.

[11] - "Per un'Europa libera e unita", op. cit.

[12] - "Per un'Europa libera e unita", op. cit. E' impressionante constatare come questo approccio alla geopolitica coincida con il programma RTP (right to protect) di Tony Blair. Programma che ha portato ai più sanguinosi e fallimentari interventi militari degli ultimi decenni: Iraq, Libia, Siria, etc…

[13] - "Per un'Europa libera e unita", op. cit.

[14] - "Per un'Europa libera e unita", op. cit.

[15] - In maniera specifica per l'Italia abbiamo già trattato questo tema, parlando della teoria del "vincolo esterno": "L'Italia in bilico. Tra antipolitica e sfiducia"; di A. Pomozzi - 27 maggio 2012 (MoviSol)

[16] - Le radici culturali di entrambe le correnti di pensiero in realtà hanno una matrice unica, che vede in pensatori come Francis Bacon prima, Thomas Hobbes poi e Adam Smith infine, i propri punti di riferimento. Alcune riflessioni sull'importanza dello stato nazionale e sui processi disgregativi in corso possono essere trovate anche nel seguente articolo: Morire di Sussidiarietà. Modelli economici e civili nell'era della globalizzazione; di A. Pomozzi - 22 luglio 2012 (MoviSol)

[17] - Si veda ad esempio: Il Trattato di Lisbona deve essere respinto,  di Liliana Gorini - 29 Maggio 2008 (MoviSol)

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