ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

  

 



[Solidarietà, anno XII n. 3, dicembre 2004]


Il rigurgito della NSSM 200
prende di mira l’Africa

L’accaparramento delle materie prime, soprattutto il petrolio, passa attraverso la destabilizzazione sistematica del continente nero. Arrivano così i contigenti militari, in teoria impegnati nella “lotta ad Al Qaeda”

di Dean Andromidas

L’ondata di follia speculativa che investe il settore delle materie prime è vista da alcuni esperti di finanza e di intelligence come un ritorno in grande stile alla vecchia direttiva politica del governo USA intitolata National Security Study Memorandum 200 (NSSM-200 – vedi anche https://archive.movisol.org/nuc1.htm). Nonostante l’indirizzo decisamente oligarchico che essa esprime, sembra proprio che l’Europa, la Russia e la Cina abbiano deciso di stare al gioco.
Il documento politico in questione fu stilato una trentina d’anni fa sotto la direzione di Henry Kissinger, allora Consigliere per la sicurezza nazionale USA. Tenuto inizialmente segreto, il documento intitolato “Implicazioni della crescita della popolazione mondiale per la sicurezza e gli interessi all’estero degli USA” fu declassificato nel 1990. In esso si stabilisce che l’aumento della popolazione nei paesi in via di sviluppo costituisce una minaccia agli USA ed all’occidente giacché le risorse che si trovano prevalentemente in quei paesi sarebbero da essi sfruttate per il proprio sviluppo e di conseguenza rese sempre meno accessibili ai paesi industrializzati.
Per chi segue da qualche tempo Lyndon LaRouche e la sua organizzazione questo non è nulla di nuovo. Già dall’inizio degli anni Settanta essi hanno denunciato le guerre per il controllo demografico e per il controllo delle materie prime come l’elemento centrale di tutta la politica strategica anglo-americana, in particolare nei confronti dell’Africa. Nel maggio 1992, ad esempio, l’EIR pubblicò in inglese un rapporto intitolato “Le radici genocide del ‘nuovo ordine mondiale’ di Bush” in cui denunciava le radici malthusiane della politica anglo-americana che portano al genocidio sistematico, come quello che Hitler perpetrò nelle “regioni orientali” del Terzo Reich. Nel rapporto si citava anche un documento politico stilato da Martin Borman, segretario personale di Hitler, che ispirò l’attività pratica delle SS naziste.
Borman proponeva una “politica demografica deliberatamente negativa” nelle “regioni orientali” compresa la Polonia e l’Unione Sovietica. Primo, promuovendo tutte le forme di controllo delle nascite e, secondo, rastrellando le “bocche inutili” da ammassare nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald. Come la politica di Hitler mirava alla preservazione del “lebensraum”, lo spazio vitale per la “razza ariana”, così la NSSM 200 mira a preservare le risorse naturali per il mondo anglosassone. Nella direttiva NSSM 200 si elencavano alcuni paesi da indurre alla “moderazione demografica”: India, Bangladesh, Pakistan, Nigeria, Messico, Indonesia, Brasile, Filippine, Thailandia, Egitto, Turchia, Etiopia e Colombia. Negli ultimi tre decenni alcuni di questi paesi – Etiopia, Nigeria, Bangladesh, Colombia – hanno subito guerre civili o colpi di stato disastrosi gestiti dall’esterno, oppure sono diventati “stati falliti” come conseguenza delle “condizioni” del FMI. La diffusione incontrollabile dell’AIDS ha prodotto uno spopolamento catastrofico in grandi regioni dell’Africa subsahariana, in particolare in Botswana, Zimbabwe e Uganda.

Il primo obiettivo è l’Africa

Da tre decenni la NSSM 200 è applicata inflessibilmente dai quei moderni “cavalieri dell’Apocalisse” che sono le imprese minerarie e petrolifere, i cartelli finanziari e minerari, le imprese mercenarie della “sicurezza” e i mercanti di armi. Molte di queste forze hanno quartier generale negli USA o in Inghilterra, ma anche nell’Europa continentale.
Esemplare è il destino riservato al Sudan, dove il movimento insurrezionale e separatista SLMP di John Garang, che gode del sostegno anglo-americano, dal sud ha esteso le sue operazioni nel Darfur, nell’Ovest del Sudan. Lo scopo è arrivare allo smembramento del Sudan, prendere il controllo sulle risorse petrolifere e idriche per usarle poi come un’arma fatale da rivolgere contro l’Egitto. Più a Sud, nell’Africa centrale e nella regione dei Grandi Laghi – Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Burundi e Uganda – dall’inizio degli anni Novanta imperversano le guerre per il controllo delle risorse naturali. In questi quattro paesi, i moderni “Cavalieri dell’Apocalisse” hanno mietuto qualcosa che va dai due fino ai sei milioni di vite umane. Un caso esemplare è quello della Heritage Oil and Gas che vanta concessioni petrolifere e minerarie in Uganda e nel Congo. Fondatore e direttore dell’impresa è Tony Buckingam, ex ufficiale delle forze speciali britanniche, fondatore della famigerata impresa di sicurezza privata Executive Outcome amministrata e diretta dai suoi stessi uffici a Londra. Sebbene poi l’impresa di sicurezza sia stata formalmente disciolta, in realtà essa si è riciclata in varie compagnie con nomi nuovi come Logo Logistics e Tripple A. Un altro fondatore che fu il direttore di Executive Outcome è Simon Mann, attualmente recluso in un supercarcere dello Zimbabwe dove sconta una condanna a sette anni per traffico illecito di armi nel contesto di un tentativo di innescare un golpe nella Guinea Equatoriale, un paese ricco di petrolio. Del tentativo di golpe se ne parlò alla fine dell’agosto 2004 perché fu finanziato da Mark Thatcher, il figlio dell’ex premier inglese.

Il petrolio del Nord e dell’Ovest

I mezzi d’informazione preferiscono passare sotto silenzio i maneggi frenetici che interessano la vasta regione ricca di petrolio che comprende l’Africa settentrionale e che poi si estende a Sud sulla costa occidentale del continente nero. Da questa regione proviene circa il 20% del petrolio importato dagli USA e il 20% delle importazioni petrolifere dei vari paesi dell’Unione Europea. Attraverso i gasdotti nel Mediterraneo, l’Algeria fornisce all’UE l’11% del suo fabbisogno di gas. Uno dei centri studi più importanti che formula la politica petrolifera anglo-americana è l’Institute for Advanced Strategic and Political Studies che ha uffici a Washington e a Gerusalemme. Nel 2001, poco dopo che il vice presidente USA Dick Cheney ebbe presentato il suo Rapporto per la Politica Energetica Nazionale, in cui si raccomanda che gli USA sfruttino il petrolio dell’Africa occidentale, l’istituto costituì l’African Oil Policy Initiative Group in cui sono raccolti rappresentanti del governo USA, corporation petrolifere, banche e centri studi che fanno opera di lobby presso il governo americano affinché stabilisca le sue basi in Africa Occidentale. Sotto il deserto libico qualche anno fa sono stati scoperti giacimenti di dimensioni tali da poter competere con quelli del Golfo. Nel sottosuolo libico ci sono riserve già accertate di almeno 36 miliardi di barili di petrolio e qualche funzionario libico azzarda stime fino a 100 miliardi. Per questo motivo, negli ultimi anni, Muammar Gheddafi, da “dittatore di uno stato canaglia e sostenitore del terrorismo internazione” che era, è diventato il beniamino delle compagnie petrolifere. Il marzo scorso il Premier britannico Tony Blair ha visitato Tripoli per aiutare la Royal Dutch Schell ad assicurarsi un contratto di centinaia di milioni di dollari per lo sfruttamento del gas. Poco dopo è stata la volta di Berlusconi, e ad ottobre anche il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder è arrivato a Tripoli con 25 capitani dell’industria tedesca. In pellegrinaggio a Tripoli si è recato anche il ministro degli Esteri francese Michel Barnier, che si è anche preoccupato di organizzare una visita di Chirac entro la fine dell’anno. La ressa nella tenda di Gheddafi nel deserto è cominciata dopo gli accordi raggiunti con i governi di Bush e Blair, in cui Gheddafi si è impegnato a rinunciare ai programmi per ottenere armi di distruzione di massa e ad indennizzare le famiglie delle 270 vittime dell’incidente aereo di Lockerbie avvenuto nel 1988. In cambio sono state sospese le sanzioni dell’ONU e adesso la Libia si è associata alla crociata di Bush contro le armi di sterminio.
 


 

Guerra al terrorismo o caccia alle risorse?

Nel contesto della guerra al terrorismo di Bush, il Pentagono ha stabilito un quartier generale a Gibuti, nel Corno d’Africa, stazionandovi un contingente di 2000 soldati che avrebbero il compito di dare la caccia ai terroristi di Al Qaeda in una vasta regione che si estende dall’Eritrea, all’Etiopia, alla Somalia, al Sudan, allo Yemen, all’Arabia Saudita e nell’Africa orientale. Inoltre, il Pentagono e il dipartimento di Stato hanno lanciato una “Iniziativa Pan Sahel”, nota anche come Iniziativa anti terroristica trans-sahariana che prevede il dispiegamento delle forze speciali USA attraverso il Sahara e il Sahel, in una regione che si estende dal Corno d’Africa al Sahara Occidentale. Si tratta di un programma da 100 milioni di dollari che è già operativo in Mali, Mauritania, Niger e Ciad e dovrebbe presto estendersi al Marocco, alla Tunisia e all’Algeria. La missione consiste nell’addestrare delle forze locali e stabilire una cooperazione multinazionale con l’obiettivo di dare la caccia ad Al Qaeda, la cui presenza effettiva nella regione è alquanto dubbia. Tutti e quattro questi paesi sono ex colonie francesi che hanno mantenuto stretti legami con l’ex padrone coloniale. (Lo stesso dicasi di Gibuti, dove c’è ancora una delle basi principali della Legione Straniera). Mentre Parigi e Washington sulla questione irachena litigano, su quest’altro fronte sembra invece che l’armonia tra le due capitali sia anche troppa. Il motivo di ciò dovrebbe essere soprattutto il lavoro in società svolto dalle compagnie petrolifere dei due paesi nel contesto della globalizzazione. Questi quattro paesi insieme costituiscono la separazione tra il nord Africa ricco di petrolio e gas e gli stati ricchi di minerali dell’Africa centrale e la regione ricca di petrolio dell’Africa occidentale. Il Niger, ad esempio, confina a settentrione con Algeria e Libia ricche di gas e petrolio ed a Sud con la Nigeria ricca di petrolio. Il Niger stesso è il terzo produttore mondiale di uranio. Il Ciad confina a Nord con la Libia e ad Est con il Sudan, dove gli anglo-americani stanno manipolando la crisi del Darfur per arrivare allo smembramento del Sudan e prendere il controllo sulle sue risorse petrolifere. Uno dei paesi più poveri del mondo, il Ciad, adesso è diventato anch’esso un produttore di petrolio. Mauritania e Mali, ambedue confinano a Nord con l’Algeria e a Ovest con la regione costiera africana che potrebbe rivelarsi molto ricca di petrolio. Diversamente dal Mali, che non ha sbocco sul mare, la Mauritania è bagnata dall’Atlantico e al largo delle sue coste si stanno effettuando esplorazioni petrolifere.

Chi sostiene il terrorismo in Africa

La mappa del terrorismo della regione coincide a grandi tratti con quella delle risorse naturali. Ad esempio in Niger il Fronte di liberazione Air e Azawak (FLAA), che con i suoi circa 200 guerriglieri è il più importante del paese, si concentra soprattutto nelle montagne Air e Azawak tra le quali sono ubicate le minere di uranio di Arlit. Un altro esempio è dato dai territori disputati del Sahara Occidentale, sul confine della Mauritania. Quando la Spagna abbandonò la sua colonia del Sahara Occidentale non si premurò di lasciarsi dietro un governo legittimo finendo così per invitare il Marocco a prendersi i territori a Nord. Nei conflitti successivi con il Polisario, i marocchini spinsero i circa 200 mila abitanti della regione a cercare rifugio nei campi profughi in Algeria. Fino allo scorso giugno James Baker III, ex segretario di Stato USA, ha cercato di mediare una soluzione su incarico dell’ONU. Ma, come è noto, lo studio legale di Baker rappresenta alcune delle massime imprese petrolifere USA. Mentre i territori sono ancora disputati le imprese petrolifere operano indisturbatamente nella regione. Nel 2001 l’impresa dell’energia Kerr-McGee ha firmato un contratto con il Marocco per l’esplorazione petrolifera al largo del Sahara Occidentale. Nel consiglio d’amministrazione dell’impresa, che ha la sua base nell’Oklahoma, figura William E. Bradford, ex presidente della Halliburton di Dick Cheney. Un’altra impresa, la londinese Wessex Exploration Limited, ha ottenuto dal Marocco l’esclusiva per le esplorazioni degli idrocarburi in tutta la regione.
Il Fronte Polisario ha firmato un contratto per le esplorazioni con l’anglo-australiana Fusion Oil and Gas PLC e con la londinese Premier Oil PLC. Nel sito internet della Fusion Oil l’accordo è riportato sotto la “Repubblica democratica araba saharawi”. Anche se gode del riconoscimento di molti stati in Asia, America Latina e Africa, questo è il Fronte Polisario autodichiratosi repubblica pur non controllando il territorio. La Fusion Oil controlla le concessioni lungo tutta la Costa Occidentale in Senegal, Guinea Bissau, Camerun, Ghana, Mauritania, Gabon e Gambia. Mentre i negoziati alle Nazioni Unite sono giunti ad uno stallo non si può escludere che il conflitto tra governo marocchino e Polisario si riaccenda in una situazione in cui le compagnie petrolifere finiranno per sostenere ambedue le parti belligeranti. Si ripropone in tal modo una situazione simile a quella degli anni Settanta e Ottanta in cui le imprese petrolifere americane pagavano al governo dell’Angola centinaia di milioni di dollari per il petrolio mentre la CIA finanziava il movimento di guerriglia dell’UNITA impegnato a combattere i cubani che lo stesso governo dell’Angola aveva assoldato con i proventi del petrolio. Lungi dal promuovere la stabilizzazione, questa politica anglo-americana ha portato la destabilizzazione nell’intera regione. Scendendo ancora più a Sud nella costa occidentale, nel nuovo Eldorado del petrolio e del gas si sono verificati diversi tentativi di golpe o cambiamenti di regime in Guinea Equatoriale, Sao Tome, Mauritania, Guinea Bissau, Liberia e Sierra Leone.





Un cartello fisiocratico a quattro

Uno studio intitolato «Strategia: tarme, topi e uomini», rilasciato da Lyndon LaRouche il 13 ottobre 2004, descrive l’attuale crisi economica e strategica mondiale in cinque sviluppi fondamentali, verificatisi dopo la seconda guerra mondiale:
1. Dopo la scomparsa del Presidente Franklin D. Roosevelt e la riemersione della corrente “utopistica” guerrafondaia negli USA, il fattore a lungo termine più distruttivo, sia negli USA che in Europa, è rappresentato dal ruolo svolto dal Congress for Cultural Freedom (vedi pag. 24) nel produrre una decadenza culturale sistemica in occidente, rappresentata in particolare dalla “controcultura giovanile del rock, sesso e droga” a partire dalla metà degli anni Sessanta.
2. L’impantanamento degli USA nelle paludi senza via d’uscita della guerra in Indocina, tra il 1964 ed il 1972, fu una ripetizione della follia asimmetrica della Guerra di Corea, dalla quale il presidente Eisenhower, insieme ad altri, era riuscito a tirarci fuori, ed aprì la strada all’avventura ispirata da Brzezinski in Afghanistan (“il ventre molle dell’Unione Sovietica”) che alimentò la proliferazione dei signori della droga nell’Asia centrale e meridionale, fenomeno in cui rientra la sponsorizzazione anglo-americana della carriera di Osama Bin-Laden.
3. La distruzione delle economie in Europa occidentale e centrale attraverso gli accordi di Maastricht, che furono imposti alla Germania da Thatcher, Mitterrand, Bush padre ed altri.
4. La distruzione dell’economia USA attraverso la “deregulation”, il “liberismo” e la “globalizzazione”.
5. La distruzione, sotto Alan Greenspan alla Federal Reserve, della solvibilità del sistema bancario mondiale attraverso il virus iperinflazionistico dei derivati finanziari a partire dall’indomani del crollo in borsa del 1987.
LaRouche ha ricordato come egli pubblicamente denunciò nel 1971 la distruzione del sistema monetario di Bretton Woods decretata da Nixon tra il 15 ed il 16 agosto di quell’anno, e come in seguito si sia adoperato nel promuovere la proposta di un “giusto ordine economico mondiale”, adottata nell’agosto 1976 alla Conferenza dei paesi non alleati che si tenne a Colombo, nel Sri Lanka. “Divenne chiaro, allora”, scrive LaRouche, “che ciò che io proponevo contrastava esplicitamente la direttiva NSSM 200 di Henry A. Kissinger, secondo la quale le materie prime e altre risorse strategicamente più importanti dovevano essere messe sotto il controllo di potentati facenti capo agli USA, ricorrendo a misure volte ad impedire alle popolazione indigene (ad esempio in Africa) di consumare quelle risorse”. Oggi, come hanno indicato diverse fonti, dovrebbe affermarsi “un sistema a quattro per la ridistribuzione negoziata del controllo delle principali materie prime mondiali, nel quale rientrano Stati Uniti, Europa occidentale e centrale, Russia e Cina. Questo riguarda le materie prime (compreso il petrolio) dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia settentrionale e sud-occidentale, e la Cina”.
Sia chi nega l’esistenza di un tale disegno, che chi lo accetta supinamente, magari pensando che in fin dei conti porterà un po’ d’ordine, sbaglia, avverte LaRouche. Entrambi questi atteggiamenti, tipici del pragmatismo europeo, sono sbagliati. “Non si pensa minimamente al fatto che le principali banche nel mondo sono alla bancarotta e che non hanno prospettive di sorta senza una inversione di rotta rooseveltiana ... Quando si ragiona di grande strategia, solitamente si tende a pensare in base alle regole del gioco definite dalle istituzioni prese in considerazione; si sbaglia, però, quando si mettono i paraocchi per non vedere come un’istituzione di tipo diverso percepisca la stessa realtà”.
“L’errore fatale di coloro che ritengono che una spartizione a quattro del controllo delle risorse primarie possa comportare un superamento dell’ordine finanziario e economico esistente, si colloca nel rifiuto di ammettere l’inevitabile fallimento che è garantito dai loro propositi, da ciò che essi s’illudono di poter raggiungere. Questo, ad esempio, è l’errore terribile che sta commettendo il presidente russo Vladimir Putin, per non parlare del resto dell’Europa e degli stessi Stati Uniti. Ciò nonostante non si perda il buonumore: almeno uno di noi sa quello che sta succedendo davvero”.