ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

 

 

 

La distruzione dello Stato Sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioni-privatizzazioni in Italia

Il costo della disoccupazione

Per rilanciare l’economia, un autentico americanismo

Globalizzazione: come i monopoli sopprimono gli stati nazionali

Alessandro Rossi nella storia universale (in ricordo di Giovanni Cilli)

Hankel: sono gli stati nazionali che debbono sopravvivere e non le unioni monetarie

Il sistema finanziario mondiale entra nella "curva di Weimar"

Economia fisica: il crac dal punto di vista della composizione della forza lavoro

L’economia, è un gioco o la realtà?

Alessandro Rossi: in difesa del protezionismo (in ricordo di Giovanni Cilli)

L'autentico Sistema americano di economia politica contro il libero scambio

Perché il sistema dell’euro è instabile: intervista al prof. Hankel

Riaffermiamo la sovranità sulla moneta e sul credito

Come si determina il valore di una moneta?

Il crac in un colpo d’occhio

Riforma fiscale: togliere ai poveri per dare ai ricchi

Economia e idee: introduzione a "I prossimi cinquant'anni della terra" di Lyndon LaRouche

A proposito di tariffe e commercio

La creazione del credito produttivo

Come finanziare le grandi infrastrutture: l'esempio cinese

Chi è Alberto Giovannini

USA: la grande ripresa che non c'è

Ancora un'altra truffa sulla ripresa USA

Come funziona, davvero l’economia fisica?

Un’america da rifare: 35 anni di sfascio economico

America Latina: Operazione Juarez

Banca centrale o banca nazionale?

Parità aurea: funziona solo come accordo tra stati nazionali

La bomba del debito delle famiglie USA

Economia USA:
Un sistema decotto

No, non è una recessione, è il sistema che crolla

L'eredità di Vladimir Vernadsky

L’oro come antidoto alla febbre del dollaro

Iperinflazione:
crollano le dighe

Bundesbank: new economy
truffa statistica

L'euro travolto dal crac finanziario globale

Il falso mito del boom economico USA

Il test del Quoziente Intellettuale in economia

La distruzione delle ferrovie inglesi paradigma della "terza via" globalista

Il liberismo travolge i settori industriali trainanti

E' diretta da Londra l’operazione Apocalisse

LTCM: quando sono più furbi a sbattere il naso

Le tre curve che segnano il destino della bolla speculativa

Perché occorre abolire il Fondo Monetario

 


Ad un anno dalla scomparsa di Giovanni Cilli, avvenuta il 7 luglio 2005, la moglie Anita, gli amici e colleghi del Movimento Solidarietà lo ricordano pubblicando questo suo scritto su Alessandro Rossi.


Alessandro Rossi
nella storia universale

 

Le idee e le battaglie del padre fondatore dell’Italia industriale rivalutate dalla bancarotta della finanza globalizzata e dalle scoperte dell’economista americano Lyndon LaRouche.

Col presente saggio e con le iniziative che seguiranno, il movimento di LaRouche intende incoraggiare l'idea già accarezzata da alcuni imprenditori vicentini che hanno avvertito la necessità di creare un'associazione per la rifondazione dell'attuale sistema finanziario intitolandola ad Alessandro Rossi, padre fondatore della moderna Italia industriale.

Allegati alla presente memoria mettiamo a disposizione di chi è interessato all'iniziativa il risultato di ricerche storiche senza le quali non sarebbe possibile apprezzare in pieno la vita e le opere di Alessandro Rossi. [Disponibili in formato PDF a destra -- ndr] Si tratta di articoli che riassumono e tracciano le radici storiche del pensiero di F. List, H. Carey e A. Hamilton, esponenti della scuola cosiddetta "americana" contrapposta a quella liberista di A. Smith il cui pensiero è molto affine se non in piena assonanza con quello di Rossi.

Lo studio di M. Liebig su List traccia le radici storiche più remote della scuola economica di List risalendo al movimento "cameralista" che comincia ad affermarsi subito dopo il Rinascimento per impulso delle riforme "dirigiste" e anti oligarchiche introdotte da Luigi XI nella Francia del 1500.

Molto importante è l'articolo della signora Spannaus ( THE ROOT OF THE AMERICAN SYSTEM) che ricostruisce nei tratti essenziali la storia del movimento cameralista precursore della rivoluzionaria politica economica adottata dagli USA subito dopo la rivoluzione americana e sancita dalla costituzione degli Stati Uniti.

 

Dal Cameralismo alla Rivoluzione Americana

Di cruciale importanza per lo sviluppo del movimento cameralista è il contributo (assolutamente ignorato da tutti i testi di economia e di storia del movimento cameralista) di Gottfried Wilhelm Leibniz.

 

Hamilton, Carey e List sono gli esponenti della scuola che lo stesso Hamilton ha definito "sistema americano" per sottolineare la contrapposizione con il sistema britannico del "free trade" predicato e imposto ad altri ma non praticato, dal nemico mortale della Repubblica Americana, l'impero coloniale inglese di allora, oggi semplicemente "Commonwealth".

Il sistema americano troverà la sua più compiuta applicazione nell'America di Lincoln e resusciterà nel novecento, dagli anni trenta fino alla fine degli anni sessanta, grazie alla leadership di F. D. Roosevelt e di John Kennedy.

 

I nostri ricercatori hanno documentato come la prima e la seconda guerra mondiale altro non siano state che il risultato di macchinazioni geopolitiche britanniche e successivamente angloamericane per impedire che la diffusione del sistema americano in tutto il mondo portasse ad un nuovo ordine economico internazionale basato sulla accelerata applicazione degli insostituibili benefici che solo il progresso scientifico e tecnologico applicato alla produttività del lavoro, possono portare al progresso materiale e morale dell'umanità. Lo stesso ordine mondiale oggi prefigurato dalla combinazione di paesi asiatici che si orientano verso il disegno del "Ponte Eurasiatico" o "Nuova via della seta" proposto ed elaborato da LaRouche.

 

Un ordine mondiale nel quale non c'è spazio per i poteri oligarchici.

 

Un ordine mondiale che in modo più o meno consapevole è tendenzialmente perseguito da tutte le forze che nel mondo cosiddetto "avanzato", propendono per la soluzione della "Nuova Bretton Woods".

Anche coloro che con difficoltà si lasciano influenzare o entusiasmare da quel tipo di idee dalle quali dipende la possibilità di "rendere gli uomini migliori e la natura" ma che comunque sono in condizioni mentali clinicamente sane, ammettono che oggi, la "globalizzazione", figlia delle dottrine "liberiste" che nel secolo scorso ci hanno regalato la "questione sociale", potrebbe persino provocare l'estinzione del genere umano scaraventando il mondo nel vortice della stessa dinamica infernale che nel trecento portò al crollo del sistema finanziario di allora innescato dalla bancarotta dei Bardi e dei Peruzzi e di conseguenza all'ecatombe della peste nera.

 

Seguendo il percorso storico e intellettuale che dal Rinascimento attraverso lo sviluppo del movimento cameralista porta alle conquiste dell'America di Lincoln, patrimonio irrinunciabile di tutta l'umanità, emergono almeno tre concetti fondamentali sui quali non può non imperniarsi qualsiasi  politica economica si intenda adottare che sia una effettiva alternativa al pericolo mortale della globalizzazione.

 

1. Il primo ha a che vedere con la crescita demografica.

Una conquista del movimento cameralista fu proprio quella di affermare e dimostrare nei fatti che l'obiettivo di uno stato che voglia effettivamente accrescere la propria potenza economica e politica non è quello di "rubare l'oro o le risorse degli altri", bensì quello di accrescere la popolazione adottando e incoraggiando tutte quelle attività che rendono il territorio  più abitabile o meno ostile agli insediamenti umani. Da qui le misure per promuovere le manifatture, la cruciale importanza attribuita allo sviluppo delle infrastrutture e il forte impulso verso l'urbanizzazione. Corollario della tesi cameralista è per ovvi motivi la necessità assoluta di passare con tutti i mezzi possibili da una economia di mera sussistenza ad una economia che produca un surplus reinvestibile, cioè ad una economia in cui si produca più di quello che si consuma per produrre.

 

2. Il secondo ha a che vedere direttamente con la produttività del lavoro intesa come intensità dell'energia a disposizione di ogni operatore che compie una attività di trasformazione della natura. Su questo secondo sviluppo, lo studio di Leibniz sull'applicazione della forza motrice del vapore alle attività economiche ha avuto un impatto tanto decisivo quanto completamente ignorato dagli storici e dagli economisti. Grazie agli studi di Leibniz sul rapporto che esiste tra densità di applicazione dell'energia e sviluppo di nuove e più avanzate efficienze tecnologiche, fu possibile cominciare a prefigurare la possibilità di una continuità nell'applicazione del progresso scientifico e tecnologico con esiti di portata rivoluzionaria per il futuro dell'umanità.

 

Due corollari della tesi di Leibniz ci portano direttamente ad un soggetto che era particolarmente caro ad Alessandro Rossi, lo studio cioè e l'analisi di quelle trasformazioni sociali che la continua applicazione del progresso tecnologico rende possibile e che implicano una trasformazione rivoluzionaria dei protagonisti dell'attività economico imprenditoriale quale presupposto per un progresso morale della popolazione in generale.

 

A. Si afferma l'idea che non si debba essere obbligati a lavorare perché costretti dalla necessità (come invece afferma Adam Smith nella "Ricchezza delle Nazioni") ma che anzi il vero lavoro, quello effettivamente produttivo, il lavoro che accresce la ricchezza sociale, inizi dove viene a cessare lo stato di necessità. Il lavoratore e la famiglia del lavoratore devono e possono essere liberati dal tormento della miseria e provvisti con adeguati mezzi di acquisto, devono poter acquisire quei beni essenziali che permettono di godere di un decente livello di vita. Si afferma che il lavoratore debba essere liberato dal vuoto della disperazione che spesso lo spinge all'alcolismo e dal quotidiano tormento che gli reca la malizia dei propri colleghi.

 

B. Si evoca la figura di un nuovo imprenditore nettamente distinta da quella del mercante. Non più un  produttore di merci da trafficare che mira esclusivamente al profitto finanziario della propria impresa, bensì un missionario che opera per una giusta e profonda trasformazione sociale, che si preoccupa di fondare accademie in cui si studia l'applicazione delle nuove tecnologie e si sperimentano nuovi principi della fisica, che si preoccupa della maturazione morale culturale e del benessere materiale dei lavoratori perché filosoficamente e cristianamente convinto che la principale risorsa della propria azienda sia il bene comune e che conseguentemente il primo obiettivo della propria azienda debba quindi essere quello di contribuire ad accrescere il bene comune.

 

Coloro che hanno studiato e ammirato l'opera di Alessandro Rossi non dovrebbero privarsi della piacevole ed eccitante esperienza di leggere un saggio di Leibniz sulla necessità di fondare in Germania una Società per la Promozione delle Arti e delle Scienze. Se qualcuno lo leggesse di fronte ad un pubblico qualificato di cittadini scledensi senza citare l'autore e la data dell'opera, sarebbero in molti a credere che si tratti di uno scritto di Alessandro Rossi (inserisco in allegato la sola traduzione in inglese in circolazione che è opera dei nostri ricercatori vedi "On the Establishment of a Society In Germany for the Promotion of The Arts and Sciences").

Il saggio citato e un altro saggio intitolato "Società ed Economia" (anche in questo caso la sola traduzione in inglese in circolazione è opera dei nostri ricercatori vedi file allegata "Leibniz Società ed Economia") sono quanto di più significativo si possa leggere per illustrare il contributo specifico di Leibniz al pensiero economico del cameralismo, un contributo cruciale al quale più tardi, nel mezzo della battaglia per affrancare le colonie americane dal giogo del colonialismo inglese, Alexander Hamilton, primo ministro del Tesoro americano decorato da G. Washington eroe della guerra d'indipendenza, farà riferimento nei suoi scritti con l'espressione "artificial labor".

 

3. Il terzo concetto fondamentale che si deve tenere necessariamente in considerazione se si desidera elaborare una dignitosa via di scampo alla globalizzazione, ha a che vedere con la ricerca di ciò che si può legittimamente considerare "valore" in economia. Tra i meriti della scuola cameralista erroneamente bollata come "mercantilista" e di coloro che come Carey, List e Hamilton hanno contribuito ad arricchire la politica economica del "sistema americano", c'è anche quello fondamentale di aver indicato nella "risorsa umana" e non nella moneta o nel solo scambio delle merci, il valore al quale si deve fare riferimento se si desidera elaborare una teoria dello sviluppo economico che abbia un qualche fondamento scientifico.

Tra coloro che abbiamo preso in esame nel nostro breve excursus storico, colui che si è spinto più avanti di tutti nell'elaborare una teoria del valore in economia coerente con l'importanza prioritaria della "risorsa umana" è il padre della moderna germania industriale, Friedrich List. List parla di capitale intellettuale composto dalla interazione di tutte le grandi scoperte, invenzioni e miglioramenti compiuti dalle generazioni passate e sostiene che ogni nazione può considerarsi produttiva solo nella misura in cui è in grado di assimilare le conquiste delle passate generazioni ed è in condizioni di sapere come arricchire tali conquiste aggiungendo contributi originali.

Il termine esatto usato da List è  "das geistige Kapital der Lebenden Menschheit "cioè "capitale mentale (o intellettuale se si preferisce) dell'umanità vivente" (vol. VI Opere Complete di List pg. 16).

 

 

Ideologia liberista come negazione assoluta della legge naturale

In sostanza l'importanza del movimento cameralista arricchito dai contributi cruciali degli economisti di cui ci stiamo occupando è stato quello di aver strappato dalle tenebre dell'ignoranza e della superstizione il rapporto dell'uomo con la natura e degli uomini con gli altri uomini finalizzato alla trasformazione della natura. La loro scuola ha dimostrato che i rapporti di relazione individuo-natura, natura-società e individuo-società che presiedono alla riproduzione del genere umano non solo sono razionalmente conoscibili e quindi volontaristicamente modificabili ma possono e devono essere orientati in modo tale da divenire il presupposto di una politica economica che permetta di creare governi e stati dove i governanti governano col consenso e l'attiva partecipazione dei governati per raggiungere la finalità del "maggior bene comune possibile" obiettivo che è inconciliabile col "benessere del maggiornumero"  postulato dalla scuola di stampo "fisiocratico - liberista" storicamente contrapposta a quella cameralista.

 

Per quest'ultima scuola i processi che presiedono alla prosperità o alla rovina degli stati e delle popolazioni sono fenomeni occulti che la ragione umana non può penetrare. Per i fisiocratici della scuola di Quesnay per esempio, la prosperità può essere concepita solo in termini agrario-rurali ed è un epifenomeno del titolo nobiliare del feudatario o delle virtù congenite nel titolo aristocratico del latifondista, il risultato cioè dell'influsso di una specie di magica secrezione che solo certi individui "eletti" possono emanare. Per i liberisti della scuola di Adam Smith il successo economico dei popoli e delle nazioni sono il risultato di un magico fenomeno che presiede al costante riequilibrio della domanda e dell'offerta. Smith lo chiama "mano invisibile". Per i seguaci della scuola di Marx ed Engels che può a tutti gli effetti considerarsi una derivazione della scuola  liberista, la ricchezza in economia è un epifenomeno delle "mani callose" (Engels) del lavoratore proletario e della sua guerra di classe contro il capitalismo. Tutte le scuole che si contrappongono a quella che dal cameralismo conduce al "sistema americano" hanno soprattutto questo in comune: sono caratterizzate da un contenuto cognitivo zero, l'unica certezza che ammettono è quella dei sensi e il solo calcolo che ritengono possibile è quello edonistico.

 

L'applicazione delle dottrine liberiste quindi non può che avvenire sul piano dottrinale all'insegna del più bieco fideismo  e sul piano sociale del più cieco edonismo quasi si trattasse, e difatto lo è, di una nuova religione pagana. Il risultato non può essere altro che una violenta lecerazione del tessuto sociale che accompagna fenomeni di impoverimento di grandi masse di persone e il crollo dell'economia fisica delle nazioni. Questa è una regola che in quanto negazione assoluta della legge naturale, potremo definire "universale", valeva ai primordi del processo di industrializzazione del mondo occidentale, ai tempi della prima rivoluzione industriale e vale ancora oggi nel ventunesimo secolo  in presenza di tecnologie che permetterebbero all'uomo di colonizzare il sistema solare.

Il nostro Alessandro Rossi che può essere considerato il pioniere dell'industrializzazione italiana ne era perfettamente consapevole.

Vogliamo riportare di seguito alcune riflessioni polemiche molto ricorrenti nel pensiero di Rossi e spesso rivolte al folto pubblico di "eccellenti" creduloni  irretiti dalle dottrine del " laissez faire" per ingenuità o opportunismo. Le citazioni che riportiamo sono tratte dal saggio del prof. Giuseppe Are che si intitola un pò impropriamente (il pensiero di Rossi è tutt’altro che ideologico) "Alessandro Rossi, fondatore dell’ideologia industriale in Italia" pubblicato negli anni '70:

 

Il difetto fondamentale della politica economica italiana (liberista- ndr) - Scrive Rossi - è stato di aver visto dualismi dove invece uno sguardo meno pre–venuto avrebbe scorto profonde solidarietà e sostanziali conver–genze di forze e d’interessi economici. Come si può vedere nello sviluppo del commercio estero qualcosa di indipendente dalla intensità e vitalità di quello interno, e pensare che possa attuarsi senza ricevere stimoli da questo? Come si possono contrapporre fittiziamente i consumatori (da difendere perché sarebbero la maggioranza) ai produttori (presentati come esigui gruppi egoi–stici), quando in effetti tutti coloro che lavorano sono interes–sati alla stabilità e continuità della produzione nazionale e a che essa non sia schiacciata da quella estera; quando in effetti una comunità nazionale è una comunità di produttori non meno che un insieme di consumatori? E potenziare la produzione, mol–tiplicare le occasioni e le varietà di lavoro in un paese, svilup–pare l’industria accanto all’agricoltura è come moltiplicare le ca–pacità di consumo delle sue popolazioni.

(…)  Non vi è nulla di peggio poi che l’aver, con questo mito della difesa dei lavoratori-consumatori dal cannibalismo dei produttori, mediante la ridu–zione delle tariffe, inculcato e diffuso l’opinione di un contrasto necessario e fatale fra chi presta il proprio lavoro e il proprio braccio e chi rischia il proprio capitale, fra l’operaio e l’impren–ditore; mentre il salariato ha tutto da guadagnare a che questo ultimo non soccomba alla concorrenza estera, estenda e rafforzi la propria azienda, assuma nuovi lavoratori, riduca la disoccu–pazione.

Ed è poi puramente immaginaria la contrapposizione che si fa fra industrie e produzioni naturali e altre

«artificiali». È forse per ogni aspetto naturale l’industria del cotone in In–ghilterra? La verità è che tutte le produzioni economiche, anche quelle che appaiono più connaturate a certi luoghi (come l’olivo, la vite) sono il frutto di acclimatazioni e acquisizioni storiche, poiché l’uomo è sempre e dovunque un agente modificatore del–la natura, e a questa stregua tutto il mondo umano è « artifi–ciale » (enfasi aggiunta)

(…) Ma funesta è fra tutte la contrapposizione che si vuole artificialmente in tutti i modi fomentare fra agricoltura e indu–stria, come se la vita dell’una dovesse essere per forza la morte dell’altra; mentre in realtà  l’industria manifatturiera arresterà il deprezzamento della terra, fornirà ad essa aiuto di capitali con lo scambio sia pure nazio–nale dei prodotti (..) ».

 

Rossi esclude decisamente che "l’operare spontaneo" dei fat-tori economici possa assicurare una uguaglianza delle condizioni produttive e dello sviluppo della ricchezza fra paesi diversi e questo perché l’equilibrio concorrenziale quale fattore di equo progresso non esi-steva più e il mondo economico internazionale di allora come quello di oggi, era dominato da con-solidate e spietate egemonie; come ben sa , spiega Rossi, chiunque abbia avuto a che fare con le speculazioni, i tranelli, il cinico

« cannibalismo commerciale » che sui mercati londinesi dissangua il debole cliente italiano (enfasi aggiunta); e chiunque abbia constatato come gli alti e bassi, i morbi della produzione inglese (sovrapproduzione, etc.) siano la morte di industrie impiantate in altri paesi con tanta fatica ..

 

In Inghilterra non ci sono imprenditori ma "vampiri del capitale"

 

Si capisce perché per Alessandro Rossi l'Inghilterra coloniale e imperialista, Il paese che dimostra ampiamente le conseguenze negative della teoria e della pratica liberista, rappresenti l'esempio probante di tutto quello che si deve evitare di fare.

L’industrializzazione, sostiene Rossi, è avvenuta in Inghilterra sotto la spinta delle « tendenze egoiste ed essenzialmente materiali degli indu–striali ». Lo spirito industriale dell’Inghilterra « non è molto dissimile da quello che vigeva nei primi tempi del genere umano, quando ciascuno stava a viver per sé solo; quando nessuno scambio d’idee vi era fra uomo ed uomo, e non regnava nessuna reciproca dipendenza ». Gli imprenditori inglesi che Rossi definisce «vampiri del ca–pitale» abbattendo le barriere doganali e con la forza delle applicazioni meccaniche, nelle quali tutti precedono, hanno invaso i mercati di altri paesi, sottomettendo questi ultimi alla sudditanza economica e, al loro interno, accumulando capitale con «la più grande speculazione che conduce al monopolio».

Le vittime di tale processo, osserva Rossi,  non sono solamente i pro–duttori ed i lavoratori degli altri paesi; le prime vittime sono gli stessi lavoratori inglesi, «plebe immonda, derelitta e spoglia nonché di ogni dignità, di ogni sentimento umano». In Inghilterra, l’industrializ–zazione ha rappresentato lo sfruttamento del lavoro, la schiacciante e opprimente supremazia degli interessi del capita–le rispetto alle esigenze dei lavoratori, il distacco abissale fra chi utilizza e chi offre lavoro.

In questa situazione non potevano non svilupparsi l’op-posizione degli operai e le cattive dottrine:

«in sulle pri-me la ignoranza e la miseria, nella schiavitù del lavoro, si ribellarono contro la inumanità e la ingordigia; e vi si ag-giunse poi l’istinto legittimo della difesa e della resisten-za, che condussero alle associazioni e agli scioperi. Alle coalizioni degli operai si contrapposero le leghe degl’indu-striali, fino a misurare tra loro le forze dei muscoli e delle braccia... ma in quelle lotte ogni senso morale era scom-parso; il seme del socialismo era gittato»

Ora l’Inghilterra, sostiene Rossi, assieme ai suoi prodotti, esporta anche i suoi mali:

da oltre manica raggiungono l’Europa la «piaga» del socia–lismo e coloro che la professano, la «lebbra» degli scio–peri, il gusto della rivoluzione, delle strane utopie, delle passioni politiche. Il «freddo calcolo inglese» avanza verso il continente come la «grandine che, formata altro–ve, piomba sulla campagna».

All'abberrante cannibalistica folosofia dell'industrialismo inglese all'insegna dell'"homo homini lupus" Alessandro Rossi sviluppa una "nuova filosofia dell'industrializzazione" basata sull'economia cristiana

all'insegna dell'"homo homini fratres". Una nuova « filosofia » dell’industrializzazione basata sulla  difesa del lavoro e della produzione nazionale dalla concorrenza straniera, difesa non meno solenne e vincolante della salvaguardia del suolo della patria,  "sull’agglomerazione dei capi–tali e delle vite umane" (enfasi aggiunta) e sulla costante preoccupa-zione che tutte le classi si accordino per esaltare i benefici dell’industria e per ridurre al minimo i mali, specie quelli inerenti ai rapporti sociali: "solo il cristianesimo può dare un valore morale alla economia politica; su esso soltanto potremo apprendere... l’amore e il rispetto reciproco, pri-ma radice di vera libertà politica». Per Rossi come vedremo meglio in seguito, il modello al quale ispirarsi per realizzare la "nuova filosofia dell'industrializzazione", era rappresentato dagli Stati Uniti d'America. 

 

Il contributo rivoluzionario di Lyndon LaRouche

 

In tempi più recenti l'economista americano Lyndon LaRouche con l'apporto di sue originali scoperte ha conferito alla validità della tesi cognitiva della scuola che si contrappone a quella liberista e che ha avuto in Alessandro Rossi un suo prestigioso esponente,  una nuova e rivoluzionaria conferma. Grazie a LaRouche i processi che presiedono alla riproduzione del genere umano mediante la trasformazione della natura sono meglio conoscibili, ovvero, sono divenuti meglio conoscibili perché ora sono anche misurabili.

 

Già negli anni ' 50 quando non era ancora affermato come uomo politico ed economista di fama mondiale

LaRouche è stato in grado di operare una più compiuta elaborazione dei tre concetti fondamentali che abbiamo fin qui esaminato  e che per brevità e chiarezza da ora in poi chiameremo 1. sviluppo demografico,  2 . densità dell'energia e 3. capitale cognitivo.

Sin dai primi scritti di economia elaborati da LaRouche ci si imbatte nella nozione di densità relativa potenziale della popolazione. Per misurare l'effettiva ricchezza di un paese di un continente o anche la capacità di riproduzione della specie umana, sostiene LaRouche, bisogna considerare, raggiunto un dato livello tecnologico, il numero di abitanti per unità di territorio (densità), il numero di abitanti che le risorse naturali e tecnologiche di una certa unità territoriale potrebbero sostenete oltre quelli che la popolano in un determinato momento (densità relativa - basandosi sull'assunto che ogni tecnologia ha un potenziale demografico superiore a quello che viene effettivamente esplicato)  e infine la riproduzione e l'accrescimento del potenziale cognitivo insito nella cultura di una certa popolazione che permette una serie di fondamentali salti tecnologici e l'incremento demografico consentito e reso necessario dal succedersi di nuove rivoluzioni industriali (densità relativa potenziale).

 

Impegnato a ricercare come gli economisti della scuola di Alessandro Rossi la vera fonte del valore in economia, LaRouche ha identificato nell'aumento della densità relativa potenziale della popolazione la misura più appropriata ed ha riconosciuto che la sola base per un tale incremento, altrimenti noto come progresso economico, consiste nella capacità della mente umana di scoprire principi universali. LaRouche ha dimostrato che la natura di tali scoperte è affine al procedimento col quale si introduce un cambiamento premeditato negli assiomi, definizioni e postulati di un sistema geometrico euclideo.

 

A tali scoperte rivoluzionarie non si arriva mediante un processo di deduzione che poggia su un determinato sistema di assiomi, definizioni e postulati e che rimane all'interno di un tale sistema. Piuttosto, le scoperte di nuovi principi universali sono affini ai concetti della geometria non euclidea.

In più LaRouche ha compiuto la fondamentale scoperta che gli stessi principi che stanno alla base della creatività umana e che conducono a scoperte fondamentali non si applicano solo alla fisica ma anche all'arte classica.

 

Per meglio comprendere che cosa intendiamo, sono necessarie alcune precisazioni. 

 

Contrariamente a quello che si insegna in quasi tutte le università  la scienza non è statistica. `E un metodo con cui si compiono le scoperte fondamentali che LaRouche intende ed altre scoperte utili. La scienza non è matematica ma l'insieme delle condizioni che limitano l'attuale conoscenza della matematica.

 Il fatto che sistemi logico formali basati sull'algebra,  sull'estensione di grandezze scalari e sul secondo principio della termodinamica non siano in grado di spiegare le leggi della fisica e quelle della geometria è stato ripetutamente dimostrato non dai libri di testo ma dalla storia della scienza.

 Già  nella seconda metà  del 1400, Nicolò Cusano, risolvendo il paradosso della quadratura del cerchio, dimostrò che l'apparente convergenza dei valori numerici (tra i perimetri dei poligoni inscritto e circoscritto) non costituisce un presupposto sufficiente per costruire col metodo impiegato da Archimede (Esaustivo di Eudosso - Geometria euclidea), un perimetro circolare. Per la semplice ragione, dimostra Cusano, che ci si trova di fronte a valori quasi uguali ma giammai congruenti.

 Il grande merito di LaRouche è proprio quello di aver dimostrato la inadeguatezza epistemologica dei sistemi logico-formali sviluppando la scienza dell'economia fisica.

 LaRouche ha dimostrato con le sue scoperte che l'essenza dell'economia non è la produzione e il consumo degli oggetti ma piuttosto la trasformazione migliorativa del ciclo di consumo e produzione dei mezzi atti a migliorare l'esistenza umana. Grazie al progresso scientifico e tecnologico possiamo (in termini di investimenti) intensificare il capitale e intensificare l'energia senza che si riduca il tasso di crescita (l'utile netto, la differenza tra tutti i beni che si producono e tutti quelli che si consumano per produrre). LaRouche dimostra come ad ogni variazione del tasso di crescita corrisponda la possibilità  di mantenere una popolazione con determinate caratteristiche demografiche (tenore di vita delle famiglie, condizioni di vita generali della popolazione, composizione della forza lavoro, livelli di produttività ).

 

 Da ciò consegue una verità  fondamentale, con la quale molti scritti polemici di Alessandro Rossi rivolti ad un certo modo troppo "catechistico" di considerarsi cattolici sembrano essere in piena sintonia:

il comportamento umano non va giudicato secondo astratti criteri etici. La condotta dell’uomo, se è veramente efficace, se è veramente morale, se asseconda la volontà  del Signore, è premiata dall'aumento della densità  relativa potenziale (potenziale di riproduzione) della popolazione.

 

 LaRouche prova scientificamente che l'incremento della densità  relativa potenziale della popolazione appare, nel processo del suo divenire, cioè come conseguenza di una serie ordinata di scoperte scientifiche assiomaticamente rivoluzionarie applicate alla produttività  del lavoro, la legge fondamentale, vale a dire la legge che tiene insieme l'universo come una sola entità  coerente. 

 

Quello che LaRouche identifica come "economia fisica" è un processo che contraddice la seconda legge della termodinamica (non entropico) e non può essere descritto da nessun sistema di diseguaglianze a somma zero come ad esempio l'analisi dei sistemi. 

 Una descrizione matematica diventa possibile solo ricorrendo ad una matematica di specie superiore che mantiene il principio della cardinalità  ma non quello dell'ordinalità. Che rende cioè possibile adottare l'efficienza come misura.

 Stiamo toccando la famosa questione del paradosso continuo che è il vero punto nodale della storia della scienza (e anche del capitalismo industriale).

 Le scoperte di LaRouche consistono nell'aver reso applicabili all'economia fisica due grandi scoperte (o soluzioni del paradosso continuo) già  compiute in passato nel campo della fisica (il molteplice continuo dello scienziato tedesco Bernhard Riemann) e della matematica (Il transfinito del matematico George Cantor), risolvendo così l'apparente paradosso dello sviluppo economico (continuità  nella discontinuità  dello sviluppo - salti tecnologici). E` da qui che trae origine la definizione di modello econometrico o  più semplicemente metodo "LaRouche - Riemann".

 Oggi possiamo quindi scientificamente dimostrare che ostinarsi ad applicare i metodi della matematica attuariale ai problemi inerenti alla pianificazione economica e alla gestione dei bilanci macroeconomici ‚ quella matematica dei banchieri che è stata applicata su scala planetaria dalla globalizzazione, non solo è incompetente ma conduce alla rovina economica e finanziaria di intere nazioni e continenti e in ultima analisi del genere umano. 

 Oggi si continua ostinatamente a rigettare progetti di sviluppo, interventi di risanamento economico che potrebbero essere rimedi risolutivi e spesso addirittura la nozione medesima di sviluppo, opponendo una pretesa e dogmatica "oggettività  scientifica" dell'andamento statistico dei fenomeni.

 Ci si scontra con una condizione psicologica (o psicopatologica) chiamata empirismo che viene spesso indotta attraverso vari tipi di demagogia populista.

 Ci troviamo alle prese con un tipo clinico di deformazione mentale. Diffuso e consolidato fino a diventare la piaga della cultura occidentale, un male insidioso, divenuto "luogo comune" attraverso una serie di abili camuffamenti.

* Locke ce lo propone come teologia o filosofia politica;

* Hume come metodo scientifico;

* Adam Smith come economia politica;

* Jeremy Bentham come legislazione sociale ma soprattutto come apologia dell'usura e della omosessualità.

 

LaRouche avverte che l'empirismo è il "dogma immorale del fatto concreto"‚ la filosofia esistenzialista che potrebbe degradare chi ne cade vittima in una immorale bestia predatoria hobbesiana con tanto di "specializzazione professionale".

 

Il controllo oligarchico della società è possibile perchè la nozione del fatto autoevidente è diventata il modo comune di pensare dell'uomo di oggi.

Questa considerazione deve essere oggetto di un'adeguata riflessione se si vuole ben comprendere la vera natura dei fenomeni  di corruzione.

Il poeta e storico tedesco Friederich Schiller nella sua "Legislazione di Licurgo e Solone", spiega che in una società  oligarchica dominata da una casta chiusa che tende a perpetuarsi sopprimendo la creatività  umana, l'individuo, considerato di proprietà  dell'oligarchia, viene "autorizzato" e incoraggiato a comportarsi come un animale da preda fin quando non è "scoperto", fin quando cioè la sua esistenza non è più utile alla perpetuazione del sistema oligarchico. Allora interviene un'apposita legislazione (la legislazione sociale di cui parla Jeremy Bentham o legge positiva) che non serve a fare giustizia ma a "disciplinare" la corruzione negli interessi di quella stessa oligarchia la cui perpetuazione è oggi divenuta incompatibile con quella del genere umano.

 

Se si desidera veramente fare giustizia ed evitare il ripetersi delle più grandi tragedie della storia, è arrivato il momento di abbandonare il metodo della certezza dei sensi e dell'immediatezza delle emozioni per sviluppare il metodo della riflessione filosofica,  il metodo dell'economia cristiana.

Oggi è una questione di vitale importanza per le sorti dell'umanità.

 

La soluzione di LaRouche: la vita dopo la morte del sistema monetario

 

Nel momento in cui scriviamo si sta rapidamente consumando la fase terminale del processo di disintegrazione dell’attuale sistema monetario internazionale che è inziato nel 1996 con la “crisi messicana”. Alla crisi deflativa  del 1998 provocata dal crollo dei mercati asiatici il governo americano ha risposto con una politica iperinflattiva ad oltranza cercando di contrapporre al “contagio” della crisi asiatica, (sono parole di Greenspan) “un muro di carta moneta” (a Wall of paper).

 

Ma è vana impresa.

 

Dal 1971 ad oggi, da quando cioè con lo sganciamento del dollaro dall’oro sono stati di fatto aboliti gli accordi di Bretton Woods, si è verificata, grazie soprattutto ai più recenti "prodigi" della globalizzazione, una crescita incontrollata degli aggregati finanziari (in gran parte titoli derivati) che hanno raggiunto l’astronomica cifra di 400 mila miliardi di dollari contro i miseri 41 mila miliardi di dollari di un PIL  mondiale in continua erosione. Per tenere in riflazione una tale sbalorditiva massa di capitale speculativo che richiede profitti a breve anche del 300% , gli USA hanno bisogno di convogliare verso Wall Street capitali esteri nell’ordine di due miliardi di dollari al giorno a spese dell’euro, dello yen e dell’intera economia mondiale. Coloro che speculano con i titoli cosiddetti "tecnologici" che sono compresi nell’indice NASDAQ sono debitori nei confronti delle banche di cifre che superano del 10 – 20% i profitti che traggono dalla contrattazione dei titoli e continuano ad indebitarsi sempre di più nella vana speranza che con una presunta continua levitazione del valore dei titoli i futuri profitti possano ripianare i debiti.

Con un  deficit commerciale che tra non molto raggiungerà il mezzo trilione di dollari gli USA sono debitori con l'estero di cifre astronomiche. Con che risorse le ripagheranno se il preteso boom economico americano si basa su una gigantesca bolla speculativa fatta di titoli iperinflazionati e di crescente indebitamento? 

 

Se si esamina lo stato dell'economia USA quella reale e non quella di carta, la storia dei fondamentali sani dell'economia americana così tanto strombazzata dalla propaganda della globalizzazione appare una tragica beffa.

 

Secondo le stime del ministero del Commercio americano a partire dalla crisi dell'LTCM, in 15 mesi gli USA hanno perso 376 mila posti di lavoro nell'industria. Dal marzo del 1998 al marzo del 1999 la produzione dell'acciaio è scesa del 10%. Considerando che per tutto il 1999 l'importazione dell'acciaio non è affatto cresciuta ci troviamo di fronte ad un vero e proprio collasso. Nel 1999 la Boeing ha licenziato il 20% della forza lavoro (48 mila addetti). Dal 1990 al 1995 gli USA hanno perso complessivamente 500 mila posti di lavoro nell'aereospaziale. In un solo mese, (nell'aprile del 1999) si è verificata una contrazione del 50% nel settore dell'estrazione. Le raffinerie di petrolio del Texas e dell' Oklahoma hanno licenziato 50 mila addetti e per giunta in aree come quella di El Paso, afflitte da una estrema povertà e tormentate dall'insorgenza della tubercolosi. A El Paso il 25% dei bambini in età scolare ha l'epatite A. Tra il 1998 e il 1999 la produzione delle macchine utensili é crollata del 51%, nel 1999 si è ridotta definitivamente e permanentemente di un terzo rispetto a quella del 1979, quale era prima che la FED inaugurasse la politica degli "alti di interesse".

 

Tra il 1998 e il 1999 negli USA si é verificato un crollo della vendita di trattori a due ruote motrici e 100 cavalli di potenza del 37,5%. Le vendite di trattori a quattro ruote motrici della stessa potenza é crollata del 45%, le vendite delle trebbiatrici del 45%. In nessun altro paese al mondo si sono registrati casi di crollo della produzione industriale così rapidi e cosí drammatici. Da non dimenticare che gli USA producono un terzo dell’attrezzatura agricola mondiale ed esportano un quarto di quella che producono.

 

C'è poi la tragicommedia della disoccupazione.

 

Negli USA ci sono ufficialmente 6.13 milioni di disoccupati. Ma i disoccupati che non accettano lavori scarsamente retribuiti, che non accettano cioè di friggere hamburger per McDonald a 5 $ l'ora quando con la qualifica di operaio specializzato potrebbero guadagnarne 19 l'ora, vengono letteralmete messi in naftalina. L'ufficio di collocamento li inserisce nella categoria "troppo scoraggiati per cercare lavoro" e per il dipartimento di statistiche del ministero del Lavoro chi appartiene a questa categoria è immediatamente classificato come "non facente parte della forza lavoro" e quindi seppellito nell'oblio.  

Se questi malcapitati fossero conteggiati come forza lavoro in cerca di occupazione, la disoccupazione "ufficiale" in America salirebbe a 14.34 milioni di persone cioè al 10%.

 

Agghiaccianti sono le cifre della povertà.

Una povertà di mezzi propri e di capitale sociale.

Come è noto più di 40 milioni di americani non hanno l'assistenza medica e non c'è da meravigliarsene visto che dal 1985 al 1996 negli ospedali (quelli che sono rimasti aperti) è stato eliminato il 14% dei posti letto. È però meno noto che in alcuni stati come nel Texas dell'aspirante presidente degli Stati Uniti G. Bush, il 30% dei bambini non ha assistenza medica.

Per avere un livello di vita decente una famiglia americana di 4 persone ha bisogno di guadagnare tasse escluse, 55 mila - 60 mila $ l'anno. Per il governo americano una famiglia povera al 100% è una famiglia di 4 persone che guadagna 16.400 $ l'anno. In America una famiglia di 4 persone con quella cifra non campa neanche sei mesi.

Se classifichiamo come "povere" anche le famiglie con un reddito di 24 mila dollari l'anno (per il governo americano sono povere al 50%), un reddito che è la metà di quello minimo decente, viene fuori che negli USA più di 60 milioni di persone,  cioè un quarto della popolazione americana, vivono al disotto della soglia di povertà.

 In America poi esistono anche gli "estremamente poveri" cioè coloro che vivono con un reddito che è pari al 50% del livello ufficiale di povertà cioè 16.400 $ l'anno diviso per due.

Siamo al di sotto della morte per fame, siamo ai livelli calorici da campo di concentramento.

Eppure gli estremamente poveri in America sono il 5,4% cioè 1 americano su 20.

 

E questo lo chiamano boom economico?

 

È una situazione da paese del Terzo Mondo non da nazione industrializzata.

 

Ma l'aspetto più sconcertante della situazione economica e sociale degli USA è la distribuzione del reddito.

 

Trent'anni di crescita esponenziale e globalizzata (senza limiti) della speculazione hanno provocato l'estremo arricchimento di una minoranza e il continuo impoverimento della maggioranza. 

Oggi più del 50% del reddito nazionale si concentra nelle mani di un 20% di eccezionalmente ricchi, mentre il rimanente 80% di americani si divide stentatamente l'altro 50%.

In realtà gli straricchi in America non costituiscono più del 2% di quel 20% di privilegiati, il rimanente 18% vive di NASDAQ, cioè di una ricchezza effimera che come abbiamo visto il 14 aprile scorso, può andare in fumo da un momento all'altro lasciando gli ex nuovi ricchi in mezzo alla strada  con una montagna di debiti da pagare.

 

È una situazione che non è destinata a durare e la certezza che durerà poco ci viene dal fatto che dall'inizio di quest'anno, l'inflazione dei titoli speculativi si sta trasferendo sul prezzo dei beni al consumo come petrolio, generi alimentari, prezzi delle abitazioni, generando una spirale iperinflativa che ha un solo precedente nella storia, quello che portò nel 1923 alla disintegrazione del "Raich mark", la valuta  della Repubblica di Weimar . Date le premesse ben pochi sono disposti a credere che l'aumento del prezzo del petrolio sia colpa dei paesi produttori che ne producono troppo poco. La verità è che le compagnie petrolifere stanno scaricando sul prezzo del barile di greggio i costi esorbitanti delle fusioni e acquisizioni portate a termine per mezzo dell'indebitamento e speculando sui titoli derivati. Lo stesso discorso vale per l'aumento del prezzo dei generi alimentari, dell'elettricità e delle abitazioni. Di questo passo il crollo del dollaro, il 30% di disoccupazione e la paralisi del sistema bancario sono una prospettiva certa per gli USA e questo potrebbe accadere prima delle elezioni presidenziali di novembre. 

 

La recente iniziativa congiunta (Chan Mai) dei paesi del sud est asiatico della Cina, del Giappone e della Corea del Sud finalizzata alla creazione di un "Fondo Monetario Asiatico", la decisione di Putin di sottoporre alle esigenza di ricostruzione economica della Russia le pretese del FMI, le aspre critiche del governo francese all'unilateralismo americano, la Bundesbank che allestisce un comitato di crisi per fronteggiare la disintegrazione finanziaria e accusa Greenspan di truccare le statistiche per attirare capitali stranieri  negli USA,  stanno ad indicare che gran parte del mondo non accetta più l'egemonismo angloamericano e tende già a muoversi nella prospettiva di un crollo del dollaro e della bolla speculativa su cui poggiano tali pretese di egemonia mondiale. 

 

La sola speranza di evitare una catastrofe su scala planetaria sta nella soluzione proposta da LaRouche di rifondare il sistema finanziario internazionale prendendo come modello gli aspetti migliori della prima Bretton Woods, una proposta che più recentemente è stata rielaborata e adattata all'attuale situazione strategica in due saggi pubblicati tra luglio e agosto.

Nello saggio,  intitolato On a Basket of Hard Commodities -- Trade without Currency (Commercio senza valuta, sulla base di un paniere di merci), LaRouche delinea una strategia a due fasi verso l'urgente riforma globale del sistema finanziario.

LaRouche nota che in ambienti influenti di tutto il mondo si discute "come sostituire l'attuale sistema globale, e con che cosa". Al contempo, in particolare dalla conferenza monetaria che si è tenuta nell'ottobre 1998 a Washington, "la fonte di resistenza più cospicuamente ottusa" contro la creazione di un nuovo sistema monetario stabile con tassi di cambio fissi viene proprio dagli Stati Uniti. Per questo motivo, una riforma fattibile, se ci sarà mai, "verrà in due fasi successive, una regionale e l'altra globale". Questo processo potrebbe iniziare con "l'emergere di sistemi regionali di cooperazione economica" che in seguito diventino il "perno" di un nuovo sistema globale.

"Il primo stadio -- scrive LaRouche --, esemplificato dalle discussioni attualmente in corso tra i rappresentanti dell'associazione ASEAN Più Tre (ovvero Giappone, Cina e Corea, NdR) è quello di far rivivere la proposta dell'allora ministro del Tesoro giapponese E. Sakakibara nel 1997, per la creazione di un Fondo Monetario Asiatico. Questo servirebbe non soltanto a difendere dagli attacchi finanziari condotti da hedge funds ed altri speculatori, ma anche a promuovere misure urgenti per rilanciare il commercio e gli investimenti capitali tra le nazioni asiatiche. Durante questo primo stadio, possiamo prevedere la creazione di raggruppamenti regionali, talvolta interscambiabili, in varie regioni del pianeta. Il secondo stadio sarebbe la ricostituzione di un'organizzazione monetaria globale efficace, che torni a tassi di cambio fissi e superi l'attuale sistema del Fondo Monetario ormai in bancarotta. Questo secondo stadio sarebbe un nuovo sistema monetario, creato anche su iniziativa dei gruppi regionali di nazioni che vi partecipano".

La forza del sistema di Bretton Woods del 1945-65, aggiunge LaRouche, stava in effetti nella "forza fisica dell'economia americana" una forza "espressa da alti tassi di accumulazione di capitale in forma di beni reali". Questa forza consentì all'economia americana di fornire beni agricoli e macchine utensili all'Europa ancora dilaniata dalla guerra, il che permise all'Europa di far fronte ai propri impegni nei confronti degli Stati Uniti. Questo stesso orientamento politico, stavolta su scala mondiale, dovrebbe costituire la missione del nuovo sistema monetario basato su tassi di cambio fissi.

Oggi l'economia americana non possiede più la forza e la produttività richieste perché sia al centro dell'economia mondiale. Quindi, un nuovo ordine monetario mondiale non può più basarsi sul dollaro USA, come invece accadde negli anni Quaranta e Cinquanta. Anche ancorare il nuovo sistema monetario ad un paniere di diverse valute non è un'alternativa, in quanto la sostanza economica fisica di tali valute è deteriorata.

L'unica possibilità è quella di costruire "un'unità sintetica di conto". Ma, a differenza dell'ECU del Sistema Monetario Europeo dopo il 1979 e dei Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario, tale unità sintetica di conto deve basarsi questa volta su un "paniere di merci", che indichino la capacità di un'economia di produrre ed esportare beni capitali ad alta qualità ed a tecnologia avanzata.

Tale unità sintetica "potrebbe fungere da sistema di contabilità di un organismo creditizio" che conceda prestiti a medio e lungo termine per investimenti capitali. Lo scopo dovrebbe essere la massima espansione della produzione e della capacità produttiva dell'economia mondiale nel periodo di tempo più breve. Per ottenere ciò, "il valore della moneta sarà stabilito prendendo il paniere di merci come punto di riferimento". I prestiti saranno concessi in tali unità di conto, e non in valuta. "All'esportatore saranno accreditate un certo numero di unità sintetiche nel momento in cui fornirà il prodotto, ed il ripagamento del prestito sarà determinato dal prezzo della valuta rilevante in tali unità, al momento in cui scade il pagamento". Questo sistema di baratto nei prestiti a medio e lungo termine è la migliore approssimazione del "sistema di riserva aurea più paniere di merci che funzionò nei rapporti transatlantici tra il 1945 ed il 1965, sulla base di un sistema di cambi fissi".

Nel saggio intitolato "L'arte dimenticata della gestione economica", LaRouche pone in rilievo l'incapacità degli economisti e dei manager di oggi di afferrare i principi dello sviluppo agro-industriale, gli stessi principi altrimenti compresi e messi in pratica con successo nell'immediato dopoguerra, fino alla prima erosione degli accordi di Bretton Woods che si verificò verso la metà degli anni Sessanta.
LaRouche espone i principi per definire competentemente il "valore economico" nel contesto di una ricostruzione industriale ed infrastrutturale globale. Propone una politica che si fondi sugli accordi degli stati nazionali sovrani per ripristinare ciò che nel linguaggio moderno viene chiamato un "sistema totale", ovvero un sistema di cooperazione "di azioni disparate e distinte attorno ad un comune obiettivo unificatore". Questi accordi, scrive LaRouche, definiranno i cambiamenti strutturali nella composizione della forza lavoro di nazioni particolari entro un orizzonte economico di un quarto di secolo. Ciò necessita una definizione appropriata del valore economico, per comparare le economie nazionali, che si fondi sui valori fisici piuttosto che su quelli monetari, il che, a sua volta, richiede il ripristino di misurazioni competenti della pratica produttiva, fondata sulle "liste dei procedimenti" e sulle "liste di materiali".

È dunque una questione di vitale importanza per il futuro del genere umano non solo che le idee di LaRouche finiscano col prevalere ma soprattutto che il patrimonio cognitivo sviluppato dalla scuola di economisti di cui Alessandro Rossi fu un seguace e arricchito dalle scoperte fondamentali di LaRouche possa giungere alla portata di tutti.

 

 

Alessandro Rossi malgiudicato dagli storici

 

Per questo è di fondamentale importanza correggere errori di interpretazione che inficiano anche le più prestigiose ricerche storiografiche sulla vita e le opere del grande industriale e patriota italiano.

Vogliamo riportare a mò di esempio il giudizio del noto storico cattolico Gabriele De Rosa pronunciato nel corso di un convegno di studi in onore di Alessandro Rossi che si è tenuto a Schio dal 14 al 16 dicembre del 1979. Gli atti del convegno sono stati riprodotti nella monografia Schio e Alessandro Rossi, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1985 a cura di G.L. Fontana.

Commentando precedenti interventi il massimo storico cattolico afferma:

 

(...) Rossi aveva vivo orrore per lo Stato interventista. Voleva le tariffe per contenere la concorrenza estera, ma non voleva che lo Stato intervenisse con le sue leggi nel sociale e nell’economico. Sono, agli occhi nostri, le sue contraddizioni, come anche contraddittorio è il suo atteggiamento nei confronti dell’America, di cui esalta la religione del lavoro e il pragmatismo, ma sembra ignorare che tutta la realtà americana si muove secondo le regole della libera concorrenza (...)

 

Si tratta di una affermazione che non trova un riscontro nella storia.

Rossi insisteva sulla necessità che lo stato non si limitasse ad imporre dazi e tariffe ma provvedesse a fornire "tutto quel contorno materiale e morale" cioè istruzione e infrastrutture da cui dipende la produttività del lavoro. Sostenere poi che l'America si muovesse secondo le leggi della libera concorrenza non è giusto.

Anche se in mezzo ad alterne vicende, fino all'assassinio di Lincoln, negli USA ha prevalso la scuola americana dirigista di cui Rossi era ammiratore.

E` nel 1876 con l'introduzione della "Specie Resumption Act", cioè con la legge che abolisce la Banca Nazionale di Hamilton e rientroduce il sistema a parità aurea di tipo britannico che in America si può parlare del tentativo di imporre una svolta liberista propugnata dalle quinte colonne inglesi cioè i banchieri della costa dell'est e i trafficanti di oppio di Boston associati alla Compagnia delle Indie Orientali.

Sta di fatto però che solo nel 1901 con l'assassinio del presidente McKinley, prende il sopravvento in America il partito liberista filobritannico che con Wilson e Teddy Roosevelt trascinerà gli USA nella prima guerra mondiale a fianco dell'Inghilterra. Rossi che citava spesso McKinley nei suoi discorsi, fu appassionato ammiratore dell'America di Lincoln e  oppositore del sistema a parità aureo.

Il sistema economico americano e con esso la missione di estenderne i benefici a tutta l'umanità rinacque a nuova vita grazie alla leadership di F. D. Roosevelt ed è stato poi sopraffatto solo in seguito alla morte prematura di Roosevelt e all'assassinio di John Kennedy che lo rilanciò con il progetto Apollo e i suoi rivoluzionari effetti di ricaduta sull'ecomia americana e su quella mondiale.

Sia ben chiaro che non ci interessa ingaggiare alcuna disputa accademica, alcun contraddittorio, riteniamo indispensabile che si renda nota la verità storica su Alessandro Rossi perché la presenza del movimento di LaRouche in America e il seguito che le idee dell'economista americano hanno nel partito democratico ci autorizzano a sperare che gli USA abbiano tutt'altro che esaurita la propria missione storica. Ed è una fortuna perché se così non fosse non avremo alcuna speranza di costruire un nuovo sistema finanziario internazionale per ricostruire l'economia mondiale. 

 

Alessandro Rossi e la missione degli Stati Uniti

 

Con la vittoria di Lincoln contro le quinte colonne inglesi della Confederazione gli USA diventano la più potente nazione industriale del pianeta e i prodigiosi risultati del sistema americano cominciano a condizionare in modo decisivo l’economia mondiale. Alessandro Rossi fu il primo in Italia se non l’unico ad avvertire la necessità di richiamare in modo rigorosamente scientifico l’attenzione sul fenomeno della “concorrenza transatlantica” e dell’ ”americanismo” sull’economia mondiale, fenomeno generalmente o ignorato o erroneamente ritenuto nocivo per gli interessi dell’Europa.  Per dare ai ceti dirigenti di allora una corretta informazione sul fenomeno americano Rossi invia negli USA il suo segretario Egisto Rossi per un lungo soggiorno di studio. I risultati del sopralloguo sul territorio americano che Egisto Rossi gira in lungo e in largo sono raccolti in un libro edito nel 1884 che si intitola “Gli Stati Uniti e la concorrenza americana”. Il libro fornisce l’esatta valutazione delle risorse del suolo e degli straordinari progressi compiuti  dall’agricoltura statunitense, sottolinea i benefici effetti di un sistema tributario meno gravoso e più largo di incentivi di quelli vigenti in Europa e evidenzia l’incessante progresso e la razionalizzazione dell’apparato produttivo rigorosamente assoggettati a quel principio del “labor saving” che abbiamo già incontrato negli scritti di Leibniz ed Alexander Hamilton.

Sul fenomeno della concorrenza transatlantica la classe dirigente di allora era divisa in tre distinti orientamenti. C’era chi si illudeva che la spinta produttiva transatlantica si sarebbe presto affievolita per esaurimento della colonizzazione di terre. In omaggio fideista alla legge della “produttività decrescente” di Stuart Mill, lo stesso Depretis, il celebre Luigi Luzzatti e l’economista Lampertico che si occuparono di compilare  la relazione sull’agricoltura per la revi–sione dei trattati di commercio sostenevano ancora fra l’82 e l’85 che la concorrenza transatlantica e i suoi effetti ritenuti dannosi alla produzione agricola del vecchio continente erano un fatto prov-visorio e non preoccupante o comunque non tale da costringere a una revisione radicale dei criteri della politica commer-ciale italiana.

 

C’erano poi coloro che sostenevano la necessità di combattere la concorrenza americana che tra le altre cose aveva provocato in Europa un crollo nei valori della rendita fondiaria, riducendo ulteriormente il già misero compenso percepito da una gran massa di contadini immiseriti. 

C’erano infine coloro che consigliavano di “imitare” gli americani solo in parte adottando dazi protettivi e introducendo la meccanizzazione della produzione agricola ma senza intervenire sul problema della proprietà della terra.

 

Rossi contestava tutti e tre i punti di vista

 

Considerava «da riporre fra i sogni di una mente infer-ma » le tesi dei sostenitori della legge della produttività decrescente tra i quali c’era, schierato in prima linea, anche il massimo economista di allora Francesco Ferrara  e aggiungeva sarcastico: «desta il riso» l’idea del Luzzatti che la produzione agricola degli Stati Uniti possa aver raggiunto il suo apogeo col 1880.

Riteneva moralmente inaccettabili e incompetenti le proposte di competere con i prodotti americani diminuendi i compensi ed accrescendo la miseria dei contadini e riteneva insufficiente l’idea di imitare gli americani solo con i dazi e la meccanizzazione.

Rossi vedeva il successo del sistema americano nella valorizzazione della persona umana e nel rispetto del diritto fondamentale di ogni essere umano di sviluppare ed esercitare il proprio talento e una propria creatività. In America non esistevano contadini costretti ancora  a lavorare come servi della gleba.

Esistevano i “farmers” soggetti indipendenti ai quali il governo americano accordava proprietà, crediti e mezzi meccanici in misura sufficiente non solo a garantire la propria sussistenza ma ad accrescere la produttività dell’intera economia americana grazie al vantaggio enorme che le attività manifatturiere concentrate nelle città traevano dal costo sempre più ridotto dei generi alimentari.

L’estrema vitalità che caratterizzava la società americana in contrasto con il ristagno economico e l’immobilità sociale che allora dominava in una Europea ancora per molti versi feudale, era per Rossi il riflesso di un ammirabile processo di divisione del lavoro finalizzato al bene comune che per l’industriale italiano giustamente consisteva nel “self-government” della società americana.

 

Il quarto capitolo dell'opera “Gli Stati Uniti e la concorrenza americana” personalmente curato da Alessandro Rossi contiene una critica devastante di tutti e tre gli orientamenti che prevalevano allora sul fenomeno dell'americanismo economico e sulle misure da adottare per affrontarlo. Qui di seguito riportiamo i passaggi più significativi:

 

 

La lotta essendosi impegnata tra due mondi agricoli in condizioni sociali affatto diverse, fa d’uopo por mente a questa diversità, prima di credere che le sole dogane possano avere a lungo andare efficacia bastevole. Non è lotta solo di aratri e di vanghe, di terreni vergini contro terreni esausti, di contadini pellagrosi e pezzenti contro eserciti robusti di free-holders, ma è lotta anche di istitu–zioni contro istituzioni. Il campo agricolo non è tal cosa che stia da sè, ma si alimenta e fortifica con gli elementi più o meno vitali di tutte le istituzioni politico-sociali di una nazione. Esso è troppo intimamente connesso con tutto l’ organismo sociale per potere arrogarci il diritto di cercare le cause del presente marasma esclusivamente in–torno alle case coloniche, nelle terre mal concimate, nella povertà dei capitali d’esercizio, nella mancanza del credito e via dicendo. (...)

Se in vero la crisi ha i suoi effetti manifesti più che altrove intorno all’aia del contadino, le sue radici sono assai lontane da essa. Altrettanto si dica della evoluzione agricola dei paesi d’ oltre mare. Non la studiamo soltanto nella feracità delle terre abbondanti e poco costose, o nell’ energia ed intra–prendenza dei coltivatori, ma altresì in molte altre cause che direttamente stimolano, sorreggono e corroborano i progressi dell’ agricoltura di quei paesi, le quali nella vecchia Europa fanno assoluto difetto, prevalendo in essa un’ organizzazione economica tuttora in gran parte me–dioevale, della quale le correnti della civiltà del nuovo mondo affretteranno indubitabilmente il tramonto.

Tale sarà senza dubbio il risultato finale della lotta economica tra i due continenti. L’ Europa non potrà so–stenerla se non alla condizione di fare sparire dal suo seno gli ultimi avanzi del medio evo ( enfasi aggiunta)(…).

Agli Stati Uniti la vita politica, economica, amministrativa, basata su quella gran molla che è il self-government, si espande da tutti i centri con moto perenne, salutare, vivificante tutte le membra della nazione, la quale è perciò anche la più attiva, la più ener–gica e intraprendente che si conosca. Alle sue classi ope–raie non turba l’ avvenire lo spettro della miseria e della pellagra come alle nostre, ma sorride dolcemente la spe–ranza di scuotere il giogo della servitù sociale. Ivi capi–tale e lavoro sono più amici, perchè non hanno così spesso motivo di guardarsi in cagnesco come in Europa dove il primo, oppresso dalle esigenze fiscali, diviene alla sua volta, e spesso per necessità di cose, oppressore del lavoro che ne dipende: di guisa che siamo in un circolo di oppressioni fatali. Infatti il Governo opprime il capitale, sentendosi esso stesso oppresso dalle ingenti spese dei bilanci; e il capitale scarica il fardello dei suoi pesi sul lavoro e lo opprime; e il lavoro, come capro espiatorio della si–tuazione, soffre e tace, seppure non preferisce di scegliere tra il cospirare coi socialisti ‘contro l’ attuale ordine di cose, e l’ emigrare in cerca di paesi dove ci sieno meno oppressori e meno oppressi.

 (…) I salari bassi sono sinonimi di povertà e miseria nazionale, perchè nel più dei casi sono sinonimi

d’ ingiustizia sociale. Tenendo oppresso il lavoro, si priva la nazione delle sue vere fonti di consumo, il cui al–largamento non può derivare che dalle classi meno agiate e quindi più numerose, che è quanto dire dai lavoratori; tenendo oppresso il lavoro, si creano le crisi e il ristagno nella circolazione delle ricchezze sociali; così sorge lo spet–tacolo di eserciti di pezzenti in mezzo all’ abbondanza di ricchezze sociali. Così ha luogo quell’ assurdità che ci farrebbe credere che produciamo troppo dal fatto che non sap–piamo o non possiamo esitare i prodotti, mentre centinaia di migliaia mancano del necessario per vivere, e col benes–sere dei quali si allontanerebbe la causa del male di tutti.

L’ oppressione del lavoro si ritorce non di rado con–tro l’ oppressore stesso prima colle crisi, il ristagno delle vendite, i fallimenti delle fabbriche; quindi col malessere generale della società.

La crisi che attraversa l’ agricoltura in Europa, è di quelle che covano in sè i germi di una grande evoluzione sociale.

(…) Il nuovo mondo agricolo (americano - ndr) coll'investire il colono del possesso della terra, ha gettato all’ Europa un guanto di sfida, che essa non potrà raccogliere e tenere in pugno, se non al duro patto di mettere i propri coltivatori nelle stesse condizioni degli avversari. E non è punto difficile che a ciò possa essere costretta più che da misure legislative, dall’ incalzare rapido degli eventi; principal–mente dal progressivo ribasso della rendita fondiaria, ciò che sarà il risultato finale della lotta colle nuove regioni agricole, e quindi dal conseguente deprezzamento del ca–pitale terra, il cui reddito, assottigliandosi col tempo sem–pre più, non permetterà le divisioni degli utili, nel modo usato fin qui. La somma dei privilegi di cui è investito il proprietario dalla moderna legislazione, andrà adagio adagio eliminandosi da sè per necessità di cose, di mano in mano che la concorrenza transatlantica ridurrà il red–dito della nostra proprietà fondiaria. E deve venire an–che il giorno in cui quei reddito sarà così stremato da non remunerare che le fatiche del colono, ossia di chi lavora la terra colle proprie mani, e la innaffia col pro–prio sudore. Allora il regno dei beati possidentes, di tutti coloro che come piante parassitiche hanno vissuto e vi–vono alle spalle di chi lavora, soffre e geme, sarà vicino al suo tramonto. Esso sparirà tanto più presto quanto più rapidamente andranno colonizzandosi le sconfinate re–gioni del nuovo mondo agricolo dove, come dell’ antico, si potrebbe dire:

Nec signare quidem aut partiri limite campum

Fas erat.

Le interminabili discordie, le liti sempre più compli–cate a cui danno luogo in Europa da qualche tempo i rapporti fra proprietari e fittaiuoli, e fra questi e i con–tadini, si possono considerare come un sintomo foriero della metamorfosi, a cui ho accennato più sopra. E per quanto la legislazione possa venire in loro aiuto; per quanto anche si riesca a creare, come alcuni vorrebbero un nuovo  codice rurale, con cui stremare e ridurre i pri–vilegi del proprietario e del fittaiuolo aumentando in vece i diritti e vantaggi di chi lavora la terra, non si arri–verà mai a porre quei rapporti sovra un fondamento sta–bile. La concorrenza, stringendo di continuo il margine degli utili, mina incessantemente quel fondamento che dovrà perciò rinnovarsi ad ogni sua nuova fase, finchè non resterà altro modo di tregua che fare del coltivatore tutt’ una cosa col proprietario (enfasi aggiunta) . Ciò non avverrà certa–mente nè oggi nè domani, ma dal presente arguendo il futuro, si ha ben motivo di credere che la necessità di una tale metamorfosi non si farà molto aspettare. Il nuovo mondo coloniale, a chi ben lo studia, si presenta quindi con una missione eminentemente civile, e direi provvi–denziale verso la vecchia Europa (enfasi aggiunta). Non turbiamo il suo fatale andare con misure che potrebbero essere un ri–medio peggiore del male.

L’ azione del Governo e del Parlamento sarà efficace e legittima, se si limiterà sol–tanto a trattenere e dirigere l' evoluzione agricola, che c’impongono i nuovi tempi, nei limiti del progresso, rimovendo tutte le cause che potrebbero accelerarne di troppo il moto e convertirla in una bancarotta generale, seguita da una disastrosa rovina delle nostre più impor–tanti istituzioni politiche (...).

 

Gli storici riconoscono che l'aver puntato sull'esempio degli Stati Uniti e in particolare sulla diffusione del libro dal quale abbiamo tratto le precedenti citazioni fu l'elemento decisivo che permise a Rossi di vincere la sua eroica battaglia per l'adozione di misure protezioniste per lo sviluppo solidale dell'industria e dell'agricoltura. Gli storici riconoscono  che "la voce di Rossi  è fortemente presente nel preparare la tariffa doganale del 1878" e che, riuscito a guadagnare sempre maggiori consensi nella classe politica e fra gli operatori economici, "il suo apporto risulta determinante per raggiungere la tariffa nettamente protezionistica dell’87", tappa conclusi–va di un processo di battaglie politiche che consentirà di creare in Italia una moderna industria siderurgico meccanica.

 

Gli storici non sono però disposti a riconoscere la vera ragione del successo di Alessandro Rossi.

Il grande industriale italiano era perfettamente consapevole della missione storica assegnata agli USA dai padri fondatori: dimostrare che sulla faccia della terra sono possibili stati nazionali sovrani liberi dalla tirannide oligarchica e basati sul contributo creativo della persona umana.

 

Con l'esempio delle sue battaglie politiche  Rossi seppe comunicare al vastissimo pubblico che lo seguiva, che parlasse o no degli Stati Uniti e del modello americano,  il senso e l'importanza di quella missione. La nuova Italia che potè nascere e affermarsi grazie alle battaglie che Rossi ha combattuto, l'Italia che si è fatta ammirare nel mondo per la genialità e la bellezza dei prodotti del proprio lavoro, quell'Italia che il fascismo ha cercato di umiliare, ha contribuito più di quanto non si sia disposti a riconoscere al compimento di quella missione.

È di quell'Italia che il mondo e gli USA in particolare, hanno  oggi disperatamente bisogno.

È esattamente questo l’insegnamento che bisogna trarre dalla vita e dalle opere di Alessandro Rossi.

 

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Il Documento
di Cilli su Rossi
(in italiano)
Friedrich List
and the
American
System
(In inglese)
The Roots
of the American
System
(In inglese)