ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

  

 


[ Solidarietà, anno VI n. 4, settembre 1998]
La Londra delle cospirazioni

Gli insabbiamenti sul caso Diana non reggono. In Inghilterra le rivelazioni dell'EIR finiscono al centro dei "litigi in famiglia"

Dietro l'"industria delle cospirazioni sul conto di Diana" c'è Lyndon LaRouche, ha scritto il 4 giugno il Daily Telegraph, la testata inglese di proprietà della Hollinger Corp più vicina alla monarchia, in un articolo intitolato: "Setta USA è la fonte delle teorie", dove la setta sarebbe la rivista EIR.

L'articolo di calunnie contro LaRouche accompagnava un lungo articolo che cercava di screditare un sensazionale documentario mandato in onda la sera precedente dalla British Independent Television (ITV), intitolato: "Diana, il segreto dietro l'incidente". Al documentario ha fatto subito seguito un dibattito con la partecipazione di Jeffrey Steinberg, autore degli articoli dell'EIR sul caso Diana. La trasmissione della ITV è stata seguita da 12,5 milioni di telespettatori inglesi e successivamente è stata ritrasmessa da altre emittenti europee ed anche spesso citata da articoli apparsi su diversi giornali. Il documentario evidenzia i troppi punti interrogativi che circondano la morte di Diana e avanza diverse ipotesi ben documentate su come l'incidente possa essere stato deliberatamente provocato. Alcune di queste ipotesi erano già state formulate dall'EIR, non ultima quella del probabile accecamento dell'autista con un potente laser portatile.

Il Daily Telegraph non è stato l'unico a "fare quadrato" attorno alla Corona inglese, che è la prima sospettata tra i possibili mandanti, ma altre trasmissioni televisive e altre testate si sono precipitate a ridicolizzare "le teorie cospiratorie". In realtà, lo stesso Mirror ha pubblicato il 7 giugno un sondaggio da cui risulta che la stragrande maggioranza degli inglesi sia convinta che c'è molto di più di un fortuito incidente stradale dietro la morte di Diana.

In due articoli dedicati in passato all'argomento, (novembre 1997 e gennaio 1998) Solidarietà ha indicato nella tragedia di Diana un sintomo della crisi che scuote al vertice l'intero regime oligarchico, il quale si ritiene capace di "pilotare" un processo di disintegrazione del sistema economico e finanziario mondiale che invece si rivela sempre più incontrollabile.

Calunnia firmata

Il nervosismo provocato dall'iniziativa dalla rete televisiva ITV è rivelato dal fatto che a firmare la calunnia del Telegraph contro LaRouche sia stato Ambrose Evans-Pritchard, personaggio metà agente dell'MI-6 e metà giornalista, che tra il 1992 ed il 1997, in veste di corrispondente del Telegraph a Washington, ha guidato le principali campagne di calunnie e scandali contro il Presidente Clinton. Quando se ne andò dagli USA, coperto ormai dal discredito, il corrispondente del Telegraph scrisse un addio in cui attribuiva a Clinton le più sordide cospirazioni del mondo. Nell'articolo del 4 giugno scorso invece si è esercitato a ridicolizzare le accuse che l'EIR rivolge alla Corona inglese. Ha tirato fuori dal surgelatore anche la calunnia secondo cui LaRouche affermerebbe che "la regina spaccia la droga". Questa risale alla fine degli anni Settanta, quando, con il libro Droga SpA, LaRouche denunciò il fatto innegabile che, storicamente, nel meccanismo internazionale del riciclaggio dei narcodollari, un volume d'affari che oggi supera gli 800 miliardi di dollari, la parte del leone è fatta dalle banche e finanziarie più legate alla Corona inglese.

Ospite conteso

Alla tavola rotonda della ITV, Jeffrey Steinberg dell'EIR ha avuto modo di spiegare come gli attriti tra Diana e la famiglia reale avevano raggiunto il culmine nell'intervista di Diana alla trasmissione "Panorama" della BBC andata in onda nel novembre del 1995 e che fu accolta da numerose e poco velate minacce di morte da parte dei notabili dell'establishment monarchico. Steinberg ha anche parlato dei retroscena dello scontro tra Mohamad Al Fayed e Tiny Rowland, presidente, da poco deceduto, della Lonrho, impresa anglo-sudafricana di importanza strategica nel settore delle materie prime. Il giorno successivo Jeffrey Steinberg è stato intervistato per due ore da un'altra rete televisiva inglese, il Channel 4, che ha in serata mandato in onda la trasmissione "Dispatches" in cui tentava di screditare e dissipare i seri dubbi sollevati dalla ITV. Di tutta l'intervista di Steinberg è andata in onda solo una frase, quando su insistenze dell'intervistatore il giornalista dell'EIR ha riposto di "non poter escludere" che l'ordine di assassinare Diana sia partito da Filippo d'Edimburgo, anche se non si dispone di concrete prove fattuali. Sebbene le sfuriate di Filippo contro Diana, quando questa iniziò la sua relazione con Dodi al Fayed, hanno riempito le cronache della stampa inglese, l'affermazione di Steinberg è bastata per riscaldare tutta la serie di vecchie calunnie sulle teorie cospiratorie attribuite a LaRouche.

La stessa filza di teorie bislacche attribuite a LaRouche è stata ripresentata dal Guardian in un articolo del 10 giugno firmato da Francis Wheen: "La regina spaccia la droga", "Kissinger è un comunista" e "il duca di Kent ha assassinato Roberto Calvi" ecc. Wheen dice anche: "LaRouche e Steinberg hanno proposto anche un'altra teoria singolare secondo cui il terrorismo internazionale sarebbe diretto nientepopodimenoche da lord William Rees-Mogg e dal giornalista del Daily Telegraph Ambrose Evans-Pritchard (...) essi sarebbero parte di un `potente apparato che fa capo a Londra' che ha dichiarato guerra agli Stati Uniti subito dopo l'inaugurazione del Presidente Clinton' (...) Il Mr. Big [il boss dei boss] a cui obbediscono è il Principe Filippo (...) l'intenzione, secondo LaRouche, è destabilizzare gli USA costringendoli a tornare ad essere una colonia britannica, un passo considerevole della Casa di Windsor verso il dominio mondiale". Tono e forzature a parte, la realtà del terrorismo internazionale controllato da Londra è un fatto documentato ufficialmente dal Dipartimento di Stato USA e dalla CIA, come riferito da Solidarietà nel numero del gennaio scorso.

Il messaggio

In chiusura però il tono canzonatorio di Wheen vacilla di colpo quando arriva a dire: "Quest'alleanza tra Al Fayed e LaRouche sembra, a dir poco, rischiosa". Eccola finalmente una teoria cospiratoria che si rispetti: un giuramento di sangue tra Al Fayed e LaRouche! Il tono di Wheen si fa quindi intimidatorio: "Perché una nota figura pubblica deve aiutare e sostenere uno spregiudicato mercante di fantasie? Se LaRouche non vuole macchiare la sua reputazione, deve sconfessare immediatamente Al Fayed". Ma come, dopo la caterva di calunnie alla fine si preoccupa della reputazione di LaRouche? Tipica filantropia britannica.

 


[Solidarietà, anno V n. 5, novembre 1997]

 

Lady Diana vittima dell'"Impero Invisibile"

 

Un assassinio che può essere paragonato a quello di John F. Kennedy. Lo sfoggio di meschinità della famiglia reale

 
 
 

LA CASA DEI WINDSOR, quale punto di riferimento dell'intero consesso oligarchico mondiale, è ormai alla fine. La sua caduta, analizzata da qualche anno dalle pubblicazioni dello statista americano Lyndon LaRouche, è entrata nella fase terminale con l'assassinio di lady Diana Spencer, un episodio che ha svelato al grande pubblico la vera natura dei reali inglesi.

I sondaggi d'opinione condotti nei giorni successivi al funerale della principessa e la straordinaria partecipazione popolare a quell'avvenimento confermano che la rigida meschinità di Elisabetta, le balordaggini del principe Filippo, la mancanza di personalità di Carlo, hanno eroso ogni popolarità su cui la monarchia inglese poteva ancora contare.

La degenerazione complessiva della "struttura di potere" ha dato vita a quel tragico episodio in maniera pressoché inevitabile. È la tragica dinamica del "Riccardo III" di Shakespeare in una riedizione che si verifica in altra epoca, con altri personaggi ed altri fatti, ma segue la stessa logica del collasso di un regime oligarchico.

La scomparsa di lady Diana ha suscitato diversi paragoni -- dal "Nuovo 1989", ovvero la caduta del muro di Berlino, all'assassinio di John F. Kennedy nel 1963, che vale soprattutto per le mille contraddizioni dei fatti e delle circostanze dell'incidente costato la vita a lady Diana, a Dodi al Fayed e a Henry Paul. La difficoltà in un attentato del genere, camuffato da incidente, non è tanto quella operativa, che richiede specialisti di prim'ordine dei servizi segreti, quanto piuttosto quella del successivo insabbiamento delle indagini, che ha bisogno del consenso di "tutte le parti in causa", che di conseguenza bisogna ritenere già legate tra loro a doppio filo in partenza. Questo aspetto è evidente sebbene l'operazione sia stata "commissionata" in Francia, dove il governo ha avallato le spiegazioni più spettacolarmente incredibili sulla dinamica del cosiddetto incidente.

L'ipotesi su chi sia il mandante non può limitarsi alla famiglia Windsor. Essa presiede soltanto come primus inter pares una struttura oligarchica vasta e articolata.

Quello che sappiamo con certezza è che i Windsor e Diana erano da tempo in rotta di collisione per ragioni ben diverse dai pettegolezzi e dalle questioni di stile. Le iniziative politiche della principessa finivano il più delle volte col mettere in risalto l'augusta grettezza che regna a corte. L'irriconciliabilità delle rispettive vedute è riassunta da fatti ben noti: il principe Filippo vaneggia di decimare l'umanità, sperando di reincarnarsi, come ha detto, "in virus mortale per risolvere il problema della sovrappopolazione", mentre Diana si è spesso sforzata di accogliere gli aspetti più profondi e difficili della vita, anche avvicinandosi alle grandi iniziative di Madre Teresa.

La contraddizione esasperante può essere stata condotta alle fatali conseguenze, in quel tunnel senza uscita, da altri, da forze che seguono la filosofia del Gattopardo. Costoro credono che adesso, per mantenere salde le redini del potere, sia giunto il momento di cambiare tutte le apparenze di come questo potere viene esercitato. Rimescolano le carte per giocare un'altra partita truccata. Credono che in tal modo si possano prevenire o imbrigliare i veri cambiamenti epocali.

Se non fosse stata uccisa, proprio alla fine di agosto lady Diana avrebbe sicuramente apprezzato la lettura del numero speciale della rivista americana Executive Intelligence Review (EIR), (fondata dall'economista Lyndon LaRouche) dedicato appunto a questo "Impero Invisibile", un servizio che Solidarietà ripropone in maniera riassuntiva nel numero di novembre di cui qui presentiamo qualche estratto.

In due occasioni precedenti, nel giugno 1996 e nel febbraio 1997, la principessa del Galles fece pervenire all'EIR lettere di ringraziamento per il lavoro di documentazione sul conto del mondo oligarchico dei Windsor.

Altri apprezzamenti sono stati fatti pervenire alla rivista di LaRouche tramite conversazioni telefoniche con la segreteria della principessa.

L'importanza di questa corrispondenza non si colloca tanto nel contenuto delle lettere quanto nel contesto. Mentre l'EIR ha semplicemente spedito la documentazione sui Windsor a molte personalità in Inghilterra, e quindi anche alla principessa, è stata Diana personalmente a decidere di prendere l'iniziativa e di far inviare un riscontro, un segno di apprezzamento che rivela la sua normalità, la sua disponibilità a ricercare soluzioni vere ai problemi veri. Un fatto che da solo contraddice le frottole inventate sul suo conto dalla stampa, istruita a presentarla come una sintetica stellina hollywoodiana.

Il servizio pubblicato da Solidarietà mette pertanto in luce le forze "Invisibili" che gestiscono le grandi trasformazioni -- dai mercati finanzari globali ai campi della guerriglia in Africa e in Sud America, ai tunnel parigini.

 


 

La guerra di Diana contro i Windsor

 

Negli ultimi due anni, mentre il suo matrimonio è andato a rotoli, la principessa Diana è diventata la figura centrale nella lotta di potere sul futuro della Casa di Windsor, non tanto come monarchia inglese, ma come chiave di volta del sistema oligarchico mondiale: "Non mi farò silenziosamente da parte. Questo è il punto, io combatterò perché ritengo di avere un ruolo da assolvere nell'educazione dei miei due figli", aveva detto Diana in una famosa intervista alla BBC del 19 novembre 1995.

Pochi giorni prima della sua morte, la principessa aveva dato un'intervista a Le Monde, pubblicata il 27 agosto, in cui parlava dei suoi scontri con i "pezzi grossi" dell'establishment. "Dal giorno in cui sono diventata membro della famiglia non sono più stata in grado, in nessun modo, di comportarmi naturalmente. Mi sento vicina alla gente, a prescindere da chi essa sia. Mi sento sul suo stesso piano, sulla stessa lunghezza d'onda. È per questo motivo che ho fatto infuriare certi circoli. Perché sono molto più vicina alla gente che sta in basso che a quella che sta in alto, e questi ultimi non me la perdonano. Perché ho una vera relazione con i più umili. Nessuno può dettarmi quale dev'essere il mio comportamento. Ho una comprensione istintiva e questa è la mia migliore consigliera".

Nella già citata intervista del 1995 alla trasmissione Panorama della BBC, Diana arrivò a mettere in discussione la capacità della famiglia reale di rappresentare la monarchia. L'intervista fu seguita dal più vasto pubblico mai ottenuto da un programma di documentazione della BBC. Secondo fonti attendibili, le parti più polemiche dell'intervista, ben due ore di registrazione, furono censurate dalla BBC.

La principessa parlò di "loro", riferendosi ai Windsor e coorte nell'establishment. "Loro" le tengono i telefoni sotto controllo, mentre dalla posta stranamente "spariscono" le lettere, e le sue visite all'estero sono "bloccate". Diana disse che "loro" erano impegnati in una campagna per farla apparire come una persona debole, mentalmente instabile, e d'intelligenza mediocre. Il "loro" scopo è che "io debbo essere distrutta". Diana ammise apertamente le sue debolezze, ma sottolineò che la vendetta della famiglia reale nei suoi confronti non le lasciava altra scelta se non quella di "diventare forte" e rinsaldare la propria identità.

Nella stessa intervista Diana disse che Carlo, l'ex marito, non è all'altezza di diventare re e che i Windsor hanno perso il contatto con la popolazione.

Dovrebbe essere evidente che l'intervista riflette una profonda spaccatura nell'establishment e che Diana non avrebbe potuto sfidare apertamente i Windsor senza il sostegno discreto di fazioni potenti nella stessa oligarchia.

L'intensità dello scontro che era in corso negli anfratti del Palazzo può essere intuito dalle risposte -- i messaggi mafiosi -- che l'intervista di Diana suscitò da certi elementi dell'establishment. Riportiamo solo i più rappresentativi:

Lord Soames, obeso discendente di Winston Churchill, consigliere di Carlo ed ex ministro del governo Major, accusò Diana di aver esibito nell'intervista "uno stadio avanzato di paranoia".

Lord Rees-Mogg scrisse sul Times  che Diana brilla come molti dei suoi antenati, gli Stuart, ma il loro fulgore "finisce quasi sempre nella tragedia personale". Diana, spiegava allora l'aristocratico giornalista, ha l'ascendente per diventare più famosa della regina Vittoria, ma potrebbe fare la fine di Maria di Scozia nel XVI secolo: decapitata.

Sul Daily Telegraph  lo storico militare John Keegan disse che Diana "deve porre dei limiti alle sue ambizioni" e ha intimato: "non vada troppo oltre", perché altrimenti "sarà lei a diventare la vittima, non la monarchia".

Sul New York Times, l'intervista di Diana fu definita da A.N. Wilson "un attacco sapientemente calcolato contro lo stesso istituto della monarchia". "Quando si arriva -- proseguiva l'articolo -- a combattere una guerra, l'establishment può diventare davvero perfido, e nonostante tutta la sua indubbia popolarità, se lei continuerà a voler capovolgere la barca, l'establishment semplicemente si sbarazzerà di lei".


 [Solidarietà, anno V n. 5, novembre 1997]

Caso Diana:
un fatale pasticcio alla francese

 


L'hanno uccisa aspettando un'ora e tre quarti prima di ricoverarla all'ospedale sbagliato. Casa Windsor trascina nella sua caduta gli eredi politici di Mitterrand
 
 
Da alcune indagini che l'Executive Intelligence Review  ha condotto indipendentemente sulla scomparsa di lady Diana [EIR  nn. 47, 48, 51 -- nov. dic. 1997] è ormai certo che settori del governo francese non hanno soltanto accettato che i servizi inglesi effettuassero quell'esecuzione a Parigi, facendosi soltanto carico di insabbiare ogni indagine seria e mantenendo la spiegazione dell'incidente. Hanno fatto molto di più. Per questo l'eliminazione di lady Diana, commissionata dal consesso oligarchico presieduto dalla Casa dei Windsor, potrebbe ben presto portare alla caduta del governo socialista francese che rischia di trovarsi di fronte ad un vero e proprio nuovo caso Dreyfuss.

Ad uccidere lady Diana non è stato l'urto del veicolo in cui viaggiava la notte del 31 agosto ma una somma calcolata di errori premeditati a cui i soccorritori furono indotti sotto la direzione personale di esponenti del governo francese che si sono tenuti in stretto contatto tra loro: il capo della Polizia di Parigi Philippe Massoni ed il ministro degli Interni Jean-Pierre Chevènement. Il primo ha diretto le operazioni nel tunnel de l'Alma, il secondo quelle presso l'ospedale La Pitié Salpetrière.

Condizioni tutt'altro che disperate

Subito dopo l'urto Diana è stata assistita dal medico Frédéric Maillez, che si è trovato casualmente sul luogo e ha chiamato dalla sua auto i soccorsi. Maillez ha dichiarato al giornale scozzese The Scotsman  del 29 settembre e a un giornale medico francese di essere convinto che Diana se la sarebbe potuta cavare benissimo, che non correva grossi rischi. Il medico vanta una notevole esperienza nel sistema di pronto soccorso pubblico francese SAMU e attualmente lavora al pronto soccorso privato SOS Médicin.

Fattore tempo

L'autoambulanza che doveva raccogliere la vittima è arrivata ben 14 minuti dopo la prima notifica di Maillez alla polizia, 8 minuti dopo le troupe televisive, fatto inspiegabile persino per un incidente in cui fosse rimasto coinvolto un malcapitato qualsiasi, ha detto all'EIR un medico parigino che ha una notevole esperienza nel settore. Il ritardo si è verificato sebbene polizia, vigili del fuoco e pronto soccorso sapessero, dalle radio di servizio tutte sulla stessa frequenza, che la vittima era Diana.

L'autoambulanza ha quindi atteso un'ora prima di rimettersi in moto verso l'ospedale. La polizia pretende di spiegare quest'incredibile perdita di tempo con difficoltà incontrate nell'estrarre la vittima dall'auto.

Il dott. Maillez dice di non aver avuto alcuna difficoltà a muovere Diana, nel prestarle i primi soccorsi, ed è comunque visibile dalle foto che le portiere posteriori erano apribili.

L'autoambulanza ha impiegato la bellezza di 43 minuti per giungere al La Pitié Salpetrière, che è a meno di 6 km di distanza, e ha fatto anche un'ultima sosta di 10 minuti a qualche centinaio di metri dall'entrata dell'ospedale.

 

L'ospedale giusto era lì

La decisione di portare Diana a quell'ospedale è la più sbagliata possibile e le responsabilità ricadono quasi certamente su Massoni. Infatti, sostiene l'esperto medico francese consultato dall'EIR, "io l'avrei portata a Val de Grâce in meno di un quarto d'ora. È più vicino ed è un ospedale militare. Ogni personalità politica che ha un incidente d'auto o rimane ferita viene portata lì. I vigili del fuoco che si sono recati sul luogo dell'incidente sono parte dell'Esercito e non c'è dubbio che sapessero benissimo che al Val de Grâce c'è di guardia, ventiquattr'ore su ventiquattro, la migliore équipe di specialisti anti trauma.

"Avrei persino chiamato un elicottero e l'avrei fatta entrare in sala operatoria solo qualche minuto dopo averla stabilizzata sul luogo dell'incidente". Chi ha fatto questa dichiarazione vanta un'esperienza ultradecennale nel servizio di autoambulanza e spiega che il tempo, in casi del genere, è il fattore assolutamente decisivo.

Chi ha vietato ai vigili del fuoco di far trasportare la vittima al Val de Grâce ha anche evitato altri ospedali più attrezzati e soprattutto più vicini: Cochin, Hotel Dieu, Lariboisière. Il tutto per ritardare l'entrata in sala operatoria di un'ora e tre quarti. A quel punto i chirurghi si sono trovati di fronte alle conseguenze irreparabili delle emorragie interne. Non c'era più niente da fare.

 

Le spie e i testimoni

D'altra parte è ormai certo che l'operazione di caccia all'uomo sia stata condotta dai servizi inglesi, che si sono schermati dietro il nugulo di fotografi scalmanati. Il settimanale inglese The People  (2 milioni di lettori) ha citato fonti anonime vicine alla polizia francese secondo cui l'operazione è stata condotta da "ex" agenti dei servizi inglesi MI-6 (quelli che operano nelle imprese di sicurezza "private" denunciate sul numero 5 di Solidarietà  del novembre 1997). Da altre fonti l'EIR  ha potuto ricostruire come all'Hotel Ritz ci fossero almeno cinque personaggi sospetti che seguivano gli spostamenti di Diana e Dodi Al Fayed. Uno di questi osservava l'uscita posteriore dell'Hotel, e ha fatto una telefonata col suo cellulare quando ha visto uscire l'auto con Diana a bordo, dopodiché si sarebbero messi in moto non solo i fotografi, che si presumeva fossero stati depistati, ma anche le due automobili che avrebbero causato l'incidente.

Per proteggere questi personaggi, e soprattutto le due auto, la polizia francese di Massoni ha letteralmente scacciato testimoni scomodi come Gary Hunter che, accorso alla finestra del suo Hotel dopo aver udito il fragore nel tunnel, aveva potuto vedere le due auto uscire dal tunnel ed allontarsi precipitosamente, evidentemente insieme. La polizia francese è riuscita a respingere una sua deposizione fino alla fine di ottobre. E lui non è l'unico testimone ad essere stato scoraggiato dalla polizia a fornire elementi concreti per l'inchiesta.

L'indagine è resa ancora più oscura e confusa da una serie di testimonianze apertamente discordanti e contrastanti.

 

Il caso di Henry Paul

L'altra protezione offerta dalla polizia francese ai criminali riguarda Henry Paul, l'autista su cui sono state scaricate le responsabilità dell'incidente.

La polizia ha avallato le storie del suo alcolismo e del fatto che non fosse autorizzato a guidare l'automobile. Dagli esami medici compiuti due giorni prima dell'incidente -- per confermare il suo brevetto di pilota -- Paul è risultato con il fegato perfettamente sano e senza alcun segno riconducibile ad alcolismo. Nessuna farmacia di Francia riesce a rintracciare la ricetta dei famosi psicofarmaci che Paul avrebbe ingerito. In terzo luogo, alla Mercedes risulta che Henry Paul avesse superato, con i voti migliori, due diversi esami per essere abilitato come autista specializzato dei veicoli della casa tedesca. L'EIR  documenta che ogni altra diceria sul conto di Paul risulta falsa.

La famiglia di Henry Paul è riuscita ad ottenere la consegna della salma del congiunto, per l'inumazione, a condizione che rinunciasse esplicitamente a far eseguire un'autopsia indipendente. Ad un riesame degli atti delle precedenti autopsie, dalle quali risulta l'eccesso di alcool e di medicinali, il prof. Peter Vanezis, primario della cattedra di medicina legale dell'Università di Glasgow famoso tra l'altro per le consulenze all'ONU nei massacri in Bosnia e Ruanda e anche per aver scoperto la truffa di una presunta erede dei Romanov ha detto che le procedure delle autopsie sono piene di irregolarità, a partire dal sangue prelevato negli organi sbagliati. L'unica cosa che Vanezis ha potuto accertare da quei referti è che il fegato della vittima fosse sanissimo.

Uno "sport di classe"

L'accanimento contro Henry Paul si spiega non solo con la necessità di presentare l'assassinio come un incidente, ma anche come un pretesto per aizzare le ire popolari contro la famiglia di Al Fayed, per la quale lavorava Paul. Il 27 ottobre il New York Post, giornale americano di proprietà del cartello dell'informazione inglese di Rupert Murdoch, ha dato il segnale con un articolo intitolato "Aperta la caccia contro il padre di Dodi", in cui dice: "Il lutto è finito e l'establishment si toglie i guanti per regolare i conti con Mohammed Al Fayed, padre del playboy che comandava l'auto in cui due mesi fa è morta la principessa Diana". Il giornale assicura che Mohammed è inondato di lettere che lo accusano: "Tu e tuo figlio avete ammazzato la nostra principessa". Ma poi finisce col dire una mezza verità citando un personaggio vicinissimo alla monarchia inglese: "L'establishment coglie l'opportunità offerta da questo terribile incidente per cacciare Mohammed Al Fayed dall'Inghilterra. Diana non c'entra. È solo uno sport sanguinario in cui gli inglesi riescono benissimo".