ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

  

 
[Solidarietà, anno X n. 1, aprile 2002]


Oslo: chi ha rovinato tutto

La Banca Mondiale ha sabotato la parte economica dell'accordo di Oslo del 1993. Le accuse di filoterrorismo rivolte ad Arafat sono propaganda di guerra

Mentre infuriavano le devastazioni di città, paesi e campi di rifugiati palestinesi, il Presidente Bush ha detto che la situazione in cui il Presidente dell’Autorità Palestinese Yasser Arafat si è venuto a trovare è “in gran parte colpa sua” perché “ha infranto ogni promessa fatta ad Oslo”, ed è per questo che è scoppiata la crisi mediorientale.

I portavoce israeliani un po’ in tutto il mondo ripropongono il ritornello in questi termini: Arafat aveva l’opportunità di costruire la pace ed invece ha scelto il terrorismo. Aggiungono che a Camp David, nell’estate 2000, Arafat aveva ricevuto da Clinton e dal Premier israeliano Ehud Barak un’offerta irrifiutabile che gli avrebbe consentito di costruire uno stato palestinese sovrano, ma a lui non bastò, pretendeva troppo. Dopo aver respinto questo piano di pace, dicono, è tornato a Ramallah ed ha scatenato l’Intifada, rendendola sempre più efferata con i commando suicidi, tanto da non lasciare ad Israele altra scelta se non quella di rioccupare i territori palestinesi ed “eliminare le infrastrutture del terrorismo”.

E’ stato spesso detto e ripetuto che la prima vittima delle guerre è la verità. Storie di questo tipo ne sono l’ennesima conferma.

L’accordo di pace di Oslo del settembre 1993 fallì come conseguenza della decisione da parte di interessi congiunti sovrannazionali, americani e israeliani di farlo fallire. In quello stesso settembre 1993 Lyndon LaRouche spiegò, nel corso di un’intervista, che se non fossero stati immediatamente compiuti progressi concreti negli aspetti economici di quegli accordi di pace “i nemici del progresso e dell’umanità, gente come Henry Kissinger ed i suoi pari, riusciranno, insieme a quelli del gruppo di Ariel Sharon, ad affogare questo accordo nel caos e nel sangue”.

Purtroppo aveva ragione. Facendo in modo che gli aspetti economici del trattato di Oslo fossero affidati alla Banca Mondiale, quegli amici di Kissinger riuscirono ad impedire la realizzazione delle grandi infrastrutture indispensabili, per cui, invece di godere dei frutti che la pace doveva portare, e cioè un generale miglioramento delle condizioni di vita, i palestinesi hanno subito un deterioramento delle condizioni economiche che erano già disastrose. Da qui è nata la demoralizzazione e la rabbia, che sono gli ingredienti principali della radicalizzazione, che hanno colpito in particolare i giovani, rendendoli facile preda delle organizzazioni estremistiche come Hamas e la Jihad Islamica, anch’esse funzionali ai piani per affossare il processo di pace.

L’assassinio di Yitzhak Rabin, il 4 novembre 1995, perpetrato da ambienti del fondamentalismo israeliano, rappresentò la svolta decisiva, poiché Rabin era stato il più attivo promotore della pace in Israele. Shimon Peres non seppe reagire e lasciò le redini in mano a Benjiamin Nethanyhu che varò una politica di infrazione sistematica degli accordi di Oslo, in particolare con la promozione degli insediamenti illeciti. Anche Ehud Barak, subentrato a Nethanyahu, continuò una politica contraria allo spirito di Oslo. Con la sua tanto decantata “offerta” a Camp David Barak pretendeva di stabilire la sovranità assoluta di Israele su Gerusalemme, compresi i luoghi più sacri dell’Islam. Sapeva bene che nessun leader arabo o musulmano avrebbe potuto accettare un’”offerta” del genere. A questo punto entrò di scena Ariel Sharon: si fece accompagnare da mille poliziotti a fare una passeggiatina ad Al Haram Al Sharif. Dalle reazioni infuocate che sapeva di scatenare si capisce bene perché Arafat non aveva potuto accettare “l’offerta”, inoltre, Sharon sapeva bene che con quell’espediente avrebbe scatenato l’Intifada. Nei resoconti di parte americana o israeliana solitamente si preferisce sorvolare su quell’avvenimento. In quel modo Sharon lanciò anche la sua campagna elettorale, sicuro di aver facile gioco nel raccogliere i consensi di una popolazione ormai in preda al panico.

 

Che cosa fu deciso a Oslo

L’accordo firmato ad Oslo il 13 settembre 1993 si articolava in una parte politica ed una economica. Prevedeva che un’autorità palestinese governasse Cisgiodania e Gaza per cinque anni, in vista di un accordo finale in cui si rispettassero le risoluzioni 242 e 338 dell’ONU che chiedevano “il ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati” nella guerra del 1967, e promettevano confini sicuri e riconosciuti, e una “giusta soluzione al problema dei rifugiati”, che oggi si stimano attorno ai 5 milioni.

Una seconda fase dell’accordo fu raggiunta nel 1995 con la stipulazione degli accordi per l’elezione di una Autorità Nazionale Palestinese, un ritiro graduale delle forze israeliane e il trasferimento dell’autorità all’ANP nei territori occupati, la “proibizione di qualsiasi cambiamento dello status della Cisgiordania e Gaza fino a quando non saranno prese decisioni nei negoziati definitivi”. La Cisgiordania doveva essere suddivisa in tre settori A, B e C, rispettivamente sotto il controllo dell’ANP, un controllo congiunto e il controllo israeliano.

Il secondo aspetto dell’accordo, il più importante, era quello economico. Si riconosceva espressamente che una pace non poteva durare se le parti non avessero cooperato nello sviluppo economico di cui beneficiare vicendevolmente. Si prospettò la costituzione di varie istituzioni palestinesi per la supervisione dell’acqua, dell’energia, dei trasporti, delle finanze, ecc. Due allegati degli accordi di Oslo prospettavano le possibilità di cooperazione per lo sviluppo economico regionale elencando concretamente una serie di grandi progetti: porto marittimo a Gaza, il canale dal Mediterraneo al Mar Morto, dissalazione e altri progetti per l’acqua, e vari progetti per l’energia, l’agricoltura e l’industria.

La Banca Mondiale

L’accordo di Oslo fu aggredito proprio su questo fianco economico. Appena firmato l’accordo la Banca Mondiale produsse un rapporto in cui diceva espressamente che la priorità sarebbe andata ai progetti ad alta intensità di manodopera (senza contenuto tecnologico), mentre le grandi infrastrutture proposte nell’alleagato venivano relegate in fondo alla lista, nel dimenticatoio. Quella della Banca Mondiale non era “un’opinione”, ma “la dottrina” che regolava gli stanziamenti provenienti dai paesi donatori. Si parlava così di “riparare le infrastrutture esistenti a Gaza”, in quello che è il colmo del cinismo, perché a Gaza le infrastrutture non ci sono. Solo gli sforzi diretti dell’Unione Europea hanno consentito di costruire qualcosa a Gaza, come il porto e l’aeroporto, qualche opera per l’acqua e delle stazioni radiotelevisive. Non meraviglierà quindi che Sharon abbia poi messo queste opere in cima alla lista degli obiettivi delle devastazioni dei suoi militari.

Il veto che la Banca Mondiale pose alla realizzazione delle grandi infrastrutture fu accompagnato dalla politica di Netanyahu di imporre il blocco ad intere città a seguito di episodi di violenza da parte palestinese. I palestinesi che lavoravano in Israele videro vietarsi il diritto di recarsi al lavoro, con conseguenze economiche devastanti. Dal 1993 questa politica ha comportato un aumento costante della disoccupazione che ha raggiunto il 50% tra il marzo e l’aprile del 1996. Ad ogni aggravamento della situazione politica corrisponde una riduzione dei livelli di vita della popolazione palestinese, ridotta a condizioni spesso disumane.

Gli accordi di Oslo, dove si legge che è proibito “ogni cambiamento nello status di Cisgiordania, ecc.”, sono violati sistematicamente dalla politica dei nuovi insediamenti sollecitamente seguita da ogni governo israeliano. Dal luglio 1999 sono stati concessi 3499 permessi edilizi nei territori occupati e le nuove abitazioni già in costruzione sono 2270. Dal 1996 sono stati creati 27 insediamenti nuovi, (separati e distanti da quelli esistenti), 15 approvati dal governo di Sharon. Questi insediamenti sono collegati tra di loro da un’apposita rete stradale, mentre nei confronti di paesi e città palestinesi viene seguita la politica dell’isolamento. Anche la strada promessa dall’accordo di Oslo per collegare Gaza alla Cisgiordania non è stata costruita. Ai palestinesi non è concesso l’uso delle strade degli insediamenti abusivamente costruiti sul loro territorio in violazione dell’accordo.

Anche il controllo militare nei tre settori A, B, e C si risolve in una farsa: fatto sta che Israele controlla tutti i confini dei territori palestinesi, tutte le strade, con l’unica eccezione di quelle della Zona A, e controlla l’80% di tutta l’acqua, compresa tutta l’acqua di Gaza.

La violazione degli accordi di Oslo ai danni dei palestinesi si ricapitola in questi termini: cooperazione economica negata, sviluppo delle infrastrutture proibito, sabotaggio di trasporti e comunicazioni, attività economiche soffocate, autorità politica negata, ecc.

 

La truffa della lotta al terrorismo

Specialmente dopo i fatti dell’11 settembre, le autorità israeliane hanno giustificato le loro aggressioni contro i palestinesi con la “guerra contro il terrorismo”. Ripetono, come fa Bush, che Arafat ha “violato” gli accordi di Oslo perché “non fa abbastanaza” per smantellare le organizzazioni terroristiche.

L’accordo di Oslo accordava all’ANP il diritto di costituire forze di polizia per il mantenimento dell’ordine, cosa che l’ANP ha fatto. Le violenze che cominciarono a verificarsi soprattutto sotto il governo di Netanyahu furono opera dell’organizzazione radicale palestinese Hamas e della Jihad islamica. Si tratta di due organizzazioni che sin dalla loro fondazione hanno espressamente dichiarato l’ANP di Arafat il loro nemico. Hamas, in particolare, fu promosso e favorito alla fine degli anni Ottanta dalle reti israeliane, come forza da contrapporre all’OLP di Arafat (vedi scheda in fondo). Sharon si occupò personalmente di favorire la crescita di Hamas.

Le continue stragi di civili israeliani compiute dagli attentatori suicidi sono state rivendicate più o meno sistematicamente da Hamas o dalla Jihad Islamica. Il governo di Sharon, però, non si è affatto preoccupato di snidare e perseguitare queste formazioni, ma ha deciso di dedicarsi esclusivamente ad una guerra totale contro l’ANP, ed in particolare contro le sue forze di polizia e di sicurezza, fino agli uomini della scorta di Arafat, cioè proprio le forze che l’accordo di Oslo ha incaricato di prevenire e combattere il terrorismo. Privato di tutte queste sue forze di polizia, Arafat è accusato di “non fare abbastanza”.

L’analista russo Pavel Felgenhauer ha fatto notare sul giornale on line “strana.ru” che ce n’è abbastanza per ricavare la netta impressione che Sharon e Hamas operino di comune accordo. Infatti, sebbene Sharon abbia ordinato l’invasione di ogni villaggio e città di qualche importanza in Cisgiordania, stranamente ha finora risparmiato il territorio di Gaza, che è notoriamente la roccaforte di Hamas. E’ risaputo che i militari israeliani hanno principalmente dato la caccia a polizia e forze di sicurezza dell’ANP.

Per quelli che, come Bush, cercano di spiegare tutto con la “guerra al terrorismo”, ci sono due domande: chi fu il primo terrorista kamikaze che il 25 febbraio 1994 aprì il fuoco contro un gruppo di pellegrini nella Moschea di Ebron, uccidendone cinquanta? Fu Baruch Goldstein, fanatico del movimento israeliano dei coloni Kach, che scatenò la reazione dei suicidi palestinesi due mesi più tardi. Chi assassinò il Presidente Yitzak Rabin, che sulla scorta della sua grande esperienza nelle questioni militari e di sicurezza aveva fatto la scelta storica di costruire la pace? Non fu Ygal Amir, appartenente ai "guerrieri d'Israele", armato del benestare di tutte le forze decise ad affossare Oslo una volta per tutte?


Le radici israeliane di Hamas

Daniel Kurtzer ha affermato, in un discorso pubblico tenuto a Gerusalemme, che la crescita di Hamas e della Jihad islamica è un risultato diretto della politica seguita da Israele.

Secondo il quotidiano israeliano Ha’aretz del 21 dicembre 2001, Kurtzer ha detto che la crescita del “movimento islamico” – come qualcosa che si contrappone all’OLP di Yasser Arafat – è avvenuta “con il tacito sostegno di Israele”.

Kurtzer ha anche spiegato come negli anni Ottanta “gli israeliani fossero convinti che era meglio che la gente si rivolgesse alla religione invece che ad una causa nazionalistica” nei territori palestinesi. Come conseguenza della promozione dell’elemento religioso alle spese dell’istruzione popolare, adesso ci sono palestinesi “che sono terroristi decisi, che usano la religione in maniera perversa per sobillare le masse”. Si tratta di una dichiarazione straordinaria anche perché Kurtzer è un diplomatico di grande esperienza e di fatto indica il riconoscimento ufficiale di un ruolo israeliano nella promozione di Hamas, al contempo costituendo un sostegno ufficiale alle dichiarazioni dello stesso Arafat che, in un’intervista al Corriere della Sera dell’11 dicembre, affermava che Israele finanziava Hamas già all’epoca del Primo ministro Shamir, cosa che fu ammessa persino dal Premier Rabin quando Arafat sollevò il problema in presenza del Presidente egiziano Mubarak. In un’altra intervista a L’Espresso, Arafat ha spiegato che lo scopo di Israele è quello di creare un’organizzazione rivale dell’OLP, che finanzia e di cui ne addestra i quadri, “una cosa che lo stesso Rabin definì un errore fatale”.