ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

  

     
    [Solidarietà, anno X n. 1, aprile 2002]


    Dove si vuole arrivare?

    Dichiarazione di Paolo Raimondi, presidente del Movimento Solidarietà. Un appello simile è stato diffuso dalle organizzazioni di LaRouche negli altri paesi d’Europa

    Lo stesso 4 aprile in cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvava, con il voto favorevole degli USA, una risoluzione che esigeva da Israele il ritiro immediato delle sue truppe da Ramallah e dai territori nuovamente occupati, il Presidente Bush si è apertamente schierato senza mezzi termini con il partito della guerra di Ariel Sharon. È l’ennesimo pasticcio, un’assurdità che denota bene il clima che purtroppo regna a Washington. Bush ha praticamente legittimato l’aggressione israeliana ai danni del popolo palestinese, anche se a parole vuole far apparire il contrario.

    Intanto a Washington ci si vanta in maniera sempre più sfrontata e temeraria del fatto che gli USA sono ora a capo di un impero mondiale anglofono. Abbagliato da questo trionfo autotributato, l’establishment americano non riesce più a vedere che cosa sta effettivamente accadendo nel mondo. In Medio Oriente le violenze che furono messe in moto dalla famosa visita di Ariel Sharon alla Spianata del Tempio, alla Mosca Al-Haram-al-Sharif, nell’ottobre 2000, sono da allora continuamente aumentate. I militari israeliani sono apertamente impegnati ad ottenere che il Presidente Arafat finisca per essere spedito in esilio e, con brutalità ben mirata, a scacciare dai territori occupati la popolazione palestinese che deve fare spazio al Grande Israele.

    Persino sulla stampa israeliana è stato riferito che la dirigenza militare ha studiato il modus operandi dei nazisti nel Ghetto di Varsavia come modello da applicare contro i palestinesi. Da dove proviene altrimenti l’idea di marcare i palestinesi nei campi profughi col numero sul braccio? E quale spirito vuole evocare Sharon quando parla di “guerra totale”? Il 9 marzo il Los Angeles Times ha pubblicato un “piano segreto” del Pentagono che prevede il ricorso alle armi nucleari contro Iraq, Iran, Siria, Libia, Corea del Nord, e poi Russia e Cina. La diffusione di queste notizie fa parte di una guerra psicologica calcolata, mirante a preparare tanto i nemici che gli amici ad una prossima aggressione contro l’Iraq. La decisione di questa nuova guerra è stata praticamente presa, resta solo da vedere il come e il quando.

    Nell’evenienza di questo conflitto è molto probabile che i governi più moderati della regione — Giordania, Egitto e Arabia Saudita — finiranno per essere spazzati via dalle proteste popolari contro le atrocità di Sharon che già hanno cominciato a destabilizzare questi paesi. Cosa accadrà quando un’aggressione contro l’Iraq si rivelerà tutt’altro che la “guerra lampo” vagheggiata a Washington? Non avevano già parlato troppo presto di “guerra lampo” e di “vittoria” in Afghanistan? Che cosa faranno allora, ricorreranno alle armi nucleari? Verrà messa a ferro e fuoco tutta la regione che dal Medio Oriente si estende fino al Sudest asiatico?

    Non imparano nulla dalla storia

    La vera dinamica dietro questa crisi strategica è dettata dalla realtà economica: il sistema finanziario globale versa in una crisi terminale. Nel governo USA si afferma la fazione dei falchi votata allo “scontro di civiltà”, che crede di trovare nell’economia di guerra e nell’autoritarismo che questo comporta le soluzioni, non importa quanto barbare, alla crisi economica. E questo ci porta a riconsiderare la domanda: chi sono i veri responsabili di quanto è accaduto l’11 settembre?

    Questa gente non ha davvero appreso nulla dalla storia? Dalla crisi non se ne esce con l’economia di guerra né le guerre imperiali contro altre culture si possono vincere in maniera definitiva e in poco tempo. E’ evidente che il Presidente Bush non riesce ormai a rendersi più conto di quali processi ha finito per mettere in moto. Si sbandierano apertamente proposte che fino a poco tempo fa erano semplicemente inconcepibili: dall’idea americana di occupare i campi petroliferi sauditi all’impiego “chirurgico” di armi atomiche a raggio d’azione ridotto.

    Di fronte alle tragedie di Ramallah, Betlemme, Jenin e Nablus, ed al crescente pericolo di nuove guerre, è sempre più evidentente l’impotenza dei paesi europei. I partiti politici non sono in grado di scrollarsi di dosso i propri riti per affrontare questa realtà. Questo non è il momento di trasformare ancora una volta la gravissima crisi mediorientale in una bega tra destra e sinistra, una contrapposizione di schiramenti pro palestinesi o pro israeliani. La guerra in Medio Oriente non è un referendum d’opinione.

    Il senso di responsabilità 

    Che cosa possiamo fare in Europa? La realtà è che gli USA sono l’unico paese che dispone della forza per indurre Israele a capire che deve attenersi alle risoluzioni dell’ONU ritirando le proprie truppe dai territori palestinesi che ha nuovamente rioccupato. Per questo occorre dire in tutta chiarezza che noi europei riteniamo il Presidente Bush il primo responsabile: deve tenere a bada Sharon e impedire una nuova spirale di violenza in Medio Oriente che minaccia di provocare la terza guerra mondiale.

    Per meglio comprendere come pacificare la regione mediorientale occorre apprendere dalla storia la lezione della Pace di Westfalia del 1648, con la quale si riuscì a porre fine ad una atroce guerra di religione che si protraeva da oltre trent’anni in tutt’Europa. Oggi, per pacificare la regione mediorientale occorre innanzitutto che le parti in causa e la comunità internazionale si impegnino esplicitamente in un grande piano di sviluppo economico regionale, grazie al quale Israele riuscirà a superare la sua grave crisi economica dando spazio al tempo stesso alla costituzione di uno stato palestinese la cui integrità sarà garantita dalla comunità internazionale. Questo grande piano di sviluppo come soluzione ai problemi mediorientali è stato proposto sin dal 1975 dallo statista americano Lyndon LaRouche sotto il nome di “Piano Oasi”. Il piano prevede la realizzazione di infrastrutture regionali, soprattutto quelle per risolvere l’emergenza acqua con grandi progetti di dissalazione e di irrigazione, in uno sforzo comune per inverdire i deserti.

    Chi non è oppresso dai paraocchi ideologici si renderà facilmente conto che gli sviluppi attuali ci stanno conducendo dritti alla catastrofe: depressione economica, guerra e caos sociale.

    Occorre pertanto un’effettiva prospettiva di sviluppo mondiale che consenta a tutti i popoli e le nazioni di comprendere concretamente che c’è una speranza, che la sopravvivenza e lo sviluppo sono concretamente possibili. In tale prospettiva occorre liquidare definitivamente il sistema finanziario mondiale che versa in una bancarotta senza speranza, e con esso liquidare anche le istituzioni della globalizzazione come il Fondo Monetario Internazionale. Al loro posto occorre dare vita ad un sistema nuovo, secondo le proposte da tempo formulate dal nostro Movimento sotto il nome di Nuova Bretton Woods.