ECONOMIA

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    La scuola viennese fisiocratico-liberista

    Nato in Austria, e formatosi alla scuola aristotelica di Carl Popper, Friedrich von Hayek insegnò alla London School of Economics tra il 1931 ed il 1950 diventando il capofila della versione più intransigente del liberismo. Nel 1974 ottenne il Nobel per l’economia.

    Nel La via della servitù, del 1944, von Hayek riassume il pensiero di Karl Menger, il fondatore della "scuola austriaca" che si definiva fisiocratico-utilitarista. La spinta dell’Europa verso l’industrializzazione, alla fine del secolo scorso, fu bollata da Menger come "socialismo". Le idee economiche tipiche del sistema americano, formulate da Alexander Hamilton, Henry e Mathew Carey, sono accusate di "statismo", che lui poi usa come sinonimo di "totalitarismo".

    In quell’opera, scritta in Inghilterra, von Hayek parte da una condanna strumentale del Nazional Socialismo, definendolo un’espressione classica del socialismo totalitario e statalista. Detto questo passa a generalizzare: ogni forma di intervento dirigistico del governo opprime la libertà, stritola il libero mercato e conduce inevitabilmente al totalitarismo di stampo hitleriano.

    La critica al nazismo è solo una scusa propagandistica. In realtà intende arrivare a colpire i fondatori del "Sistema Americano di Economia politica", i cui principi, ripristinati da Roosevelt, consentirono di sconfiggere il nazismo.

    Von Hayek infatti mette nella lista degli economisti proto-hitleriani Friedrich List, l’economista tedesco che siede a pieno titolo tra i fondatori del sistema americano di Hamilton e Lincoln. List sarebbe il colpevole autore della "tesi tedesca" secondo cui "il libero mercato è una politica dettata esclusivamente dagli interessi speciali dell’Inghilterra nel XIX secolo, e si adatta solo ad essi". Nella stessa lista nera finisce anche Walter Rathenau, il ministro degli Esteri della Germania di Weimar che promosse una energica strategia di industrializzazione, particolarmente rivolta alla Russia e mirante a rinsaldare una coesione produttiva al centro dell’Europa. L’assassinio di Rathenau, avvenuto nel 1922, sgombrò la strada all’ascesa del Führer al potere. Rathenau sarebbe colpevole di non aver riconosciuto l’assoluta supremazia dell’individualismo: "Idee molto simili a queste — scrive Hayek, riferendosi a quello che lui definisce anti-individualismo — erano in auge negli uffici del dittatore delle materie prime tedesco, Walter Rathenau, il quale, anche se sarebbe impallidito al rendersi conto delle conseguenze della sua politica economica totalitaria, merita ciò nonostante un posto importante in ogni storia completa di come si svilupparono le idee del nazismo".

    Le proposte di von Hayek si riducono essenzialmente a tre punti: monetarismo puro, deregolamentazione pressoché universale, federalismo pan-europeo. "Non dobbiamo costruire la civiltà su ampia scala" scrive Hayek, perché "non è un caso che si scopre di solito più bellezza e dignità nella vita dei popoli poco numerosi e che, tra quelli più numerosi, c’era più felicità e soddisfazione nella misura in cui era stato evitato l’inaridimento mortale della centralizzazione".

    Un altro luminare della scuola austriaca che spicca tra i fondatori della Mont Pelerin è Ludwig von Mieses, autore delle principali teorie economiche monetaristiche. Secondo Mises le risorse produttive sarebbero gestite dalla sfera monetaria a cui sono supinamente subordinate. Così come von Hayek, von Mises e gli economisti della loro cordata ingaggiarono una polemica contro la cosiddetta economia socialista, o socialisteggiante, come quella di Keynes. Scopo delle polemiche era quello di alimentare nel dopoguerra gli scenari contrapposti tra "destra" e "sinistra" promossi ad arte in ogni disciplina (dove la "sinistra" è prodotta dalla Scuola di Francoforte). Dal vivaio della scuola viennese presso l’Università di Chicago proviene Milton Friedman, anche lui un partecipante all’incontro di fondazione della Mont Pelerin in Svizzera.

    Friedman è noto, tra l’altro, come il padre del modello economico cileno degli anni Settanta, la dittatura di Pinochet, dove non si contano quelli che hanno dovuto pagare con la vita l’essere stati d’intralcio alla "libertà economica". Nei primi tre anni i "Chicago boys" di Friedman nel governo cileno dimezzarono la produzione industriale (non mineraria) e portarono l’inflazione dal 270 al 340 per cento. Due terzi dell’export era devoluto al servizio sui debiti. Per fare questo i consumi della popolazione furono ridotti al di sotto delle 1200 calorie giornaliere. Fatta la porcheria, Friedman si dissociò: "Allora e oggi non ho mai giustificato il regime cileno. Non ho mai avuto contatti con persone in Cile prima della mia visita e non ne ho avuto da allora", disse Friedman l’11 gennaio 1976 a Business Week. Mentì: il ministro dell’economia Dergio de Castro e il presidente della banca centrale Barahona avevano studiato direttamente sotto Friedman a Chicago. Che il "liberismo" di Friedman ha bisogno della dittatura fu addirittura riconosciuto dal liberista conservatore William F. Buckley Jr.:"Forse le politiche di Milton Friedman soffrono del grosso svantaggio di non poter essere applicate come si deve nelle democrazie".

    Accanito sostenitore della droga libera, negli anni Ottanta Friedman propagandava il modello di Hong Kong. "Nel mondo di oggi i governi accentratori sono ovunque. Ci possiamo chiedere se esiste un esempio attuale di società che faccia essenzialmente affidamento sullo scambio volontario attraverso il mercato per organizzare l’attività economica e in cui il governo abbia un ruolo limitato ... Forse l’esempio migliore è Hong Kong — un lembo di terra vicino alla Cina continentale ... non ha tariffe o altre barriere al commercio internazionale ... Il governo non esercita una direzione dell’attività economica, non c’è una legge sul salario minimo ... C’è una certa ironia nel fatto che Hong Kong, Colonia della Corona inglese, debba essere il moderno esempio di libero mercato e di governo ridotto".

    Più che ironia doveva dire cinismo: di Hong Kong la corona inglese aveva fatto allora la capitale dei traffici di droga. I proventi del narcotraffico si stimavano a 10 miliardi di dollari l’anno, i tossicodipendenti erano un quinto della popolazione e la corruzione della polizia era valutata sul milione di dollari al giorno — più di quello che pagava il governo per le forze dell’ordine. Prostituzione, furti, delinquenza e spaccio di droga erano fenomeni tanto macroscopici da non trovare paragone in qualsiasi altra città del mondo.

    Nel 1976 Friedman ha ottenuto il Premio Nobel per l’economia. Questo riconoscimento accademico è diventato una sorta di appannaggio della Mont Pelerin. Viene conferito quasi sempre ai suoi membri oppure a gente indottrinata dai suoi guru. Tra questi George Stigler (1982), James Buchanan (1987) e Gary Becker (1992).

    Occorre rilevare che la "scuola austriaca" in realtà non è altro che l’espressione accademica degli interessi dei latifondisti europei che vantano alcuni dei blasoni più ingombranti d’Europa. Alla fondazione della Mont Pelerin non mancavano Ottone d’Asburgo e Max von Thurn und Taxis, della famiglia bavarese di origine italiana (Torre e Tasso). Carl Menger, ad esempio, prima della guerra era un amministratore delle case reali degli Asburgo e dei Wittelsbach. Teorizzazioni a parte, nella demonizzazione dello "statismo" fatta dalla scuola viennese si ravvisa, alla radice, la tipica insofferenza dei latifondisti nei confronti di qualsiasi autorità che si presenta sulle loro terre.