ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

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[Executive Intelligence Review – n. 34, 25 agosto 2006]


Il principio di Westfalia:
da Madrid a Oslo

di Harley Schlanger

Recentemente l'ex ministro israeliano Yossi Beilin ha lanciato un appello, sostenuto vigorosamente da Lyndon LaRouche, affinché si convochi urgentemente una conferenza “Madrid II” sul Medio Oriente (vedi qui). Inquadriamo brevemente la prima conferenza di Madrid, che fu convocata il 30 ottobre 1991.
Quella conferenza voluta dagli Stati Uniti in effetti si concluse nel dicembre dello stesso anno senza risultati concreti. L'insuccesso fu dovuto soprattutto all'atteggiamento intransigente dell'allora premier israeliano Yitzhak Shamir, il quale, come lui stesso disse apertamente in apertura dei lavori, non aveva alcuna intenzione di raggiungere accordi di sorta con nessuno dei partecipanti alla conferenza. Alle parole aggiunse i fatti, continuando a promuovere e sostenere l'invio coloni nei territori occupati da Israele.
A motivare quella conferenza fu allora il rapido deterioramento dei rapporti tra Israele e i Palestinesi, a motivo della Intifada, la rivolta dei giovani palestinesi, che era iniziata nel dicembre 1987, contro il protrarsi dell'occupazione israeliana. Shamir rispose all'Intifada imponendo coprifuoco, arresti di massa, misure economiche punitive, deportazioni, percosse e assassinii.

  Baker Shamir   
James Baker convince Shamir ad accettare i negoziati di Madrid
  

Al contempo, insieme ad Ariel Sharon, che allora era ministro dell'Edilizia, Shamir stava alacremente spingendo i coloni israeliani ad insediarsi nei territori occupati. Arrivò a definire quegli insediamenti i “fatti irreversibili sul suolo” che avrebbero ridotto decisamente la possibilità di stabilire in futuro uno stato palestinese in Cisgiordania.
Quando il Presidente George Bush senior, tramite il suo segretario di Stato James Baker III, minacciò di ritirare la linea di credito di 10 miliardi di dollari che gli USA avevano concesso ad Israele, Shamir dovette accettare due condizioni: moderare la politica degli insediamenti e prendere posto al tavolo dei colloqui. Ma, mentre i coloni continuavano comunque ad occupare i territori, Shamir non poté negare una partecipazione israeliana alla conferenza di pace di Madrid.

Sharmir a Madrid

In gioventù Shamir fu un seguace devoto di Vladimir Jabotinsky, l'ammiratore di Hitler che fondò il movimento Revisionista del Sionismo, e negli anni Quaranta fu dirigente della Stern Gang, l'ala militare più fanatica del Revisionismo. Col passare degli anni Shamir rimase purtroppo attaccato all'idea di un “Grande Israele” di Jabotinsky, che, come corollario all'espansione del territorio nazionale, prevede che i palestinesi siano sfrattati o, se proprio vogliono restare, debbano accettare la completa sottomissione.
Per andare a Madrid però Shamir pose le sue condizioni: Siria, Giordania e Libano potevano essere rappresentati, ma l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina non era assolutamente ammessa e i Palestinesi potevano essere presenti solo come parte della delegazione giordana.
L'OLP fu costretto ad accettare, giacché si trattava di un'occasione unica di intavolare un dialogo con Israele. Haidar Abdel Shafi, in rappresentanza dei palestinesi, pronunciò un discorso che dimostrò eloquentemente una concezione del mondo ben diversa da quella di Shamir, che invece fu solo capace di comunicare ostilità e livore. Riflettendo i principi di fondo del Trattato di Westfalia, il dott. Shafi disse: “In nome del popolo Palestinese, noi intendiamo rivolgerci direttamente al popolo di Israele con il quale troppo a lungo abbiamo scambiato solo dolore: passiamo invece a condividere la speranza. Siamo disposti a vivere l'uno vicino all'altro nella terra e nella promessa del futuro. Condividere però significa essere in due e di considerarsi alla pari. Per una genuina riconciliazione e coesistenza, mutualità e reciprocità debbono subentrare al dominio ed all'ostilità ... La vostra sicurezza e la nostra dipendono l'una dall'altra e sono tanto inestricabilmente legate tra loro quanto lo sono le paure e gli incubi dei nostri bambini”. Shamir non si lasciò smuovere e i negoziati di Madrid non approdarono a nulla. Ad essi seguirono poi dei colloqui bilaterali a Washington, ma neanche in tale sede furono compiuti dei passi in avanti. Poco dopo questo fallimento però, la coalizione governativa di Shamir crollò e in Israele furono indette elezioni anticipate, che si tennero il 23 giugno 1992.
L'elettorato israeliano bocciò solennemente Shamir e la sua linea politica. Solo due giorni prima del voto il leader del Likud ribadì il suo categorico rifiuto di ogni negoziato. In un discorso pronunciato di fronte ai suoi vecchi commilitoni della Stern Gang affermò: “Ancora oggi abbiamo bisogno della verità, la verità della forza della guerra, o dobbiamo almeno accettare che la guerra sia inevitabile, perché senza questo, la vita dell'individuo non ha scopo e la nazione non ha possibilità di sopravvivere”. Dopo la sconfitta elettorale Shamir ammise che se fosse restato al potere avrebbe “continuato per un decennio i colloqui sull'autonomia e intanto avremmo raggiunto il mezzo milione di abitanti in Giudea e Samaria”, cioè i coloni ebrei che si stabilivano nei territori occupati, quelli che lui chiamava “i fatti irreversibili sul suolo”.

Rabin, Beilin e Oslo

Il nuovo governo che emerse dalle elezioni fu guidato dal laburista Yitzhak Rabin, che nel frattempo era stato capace di riunificare il partito a seguito dei dissidi con Shimon Peres. Rabin presentò un programma così essenziale da poter essere enunciato in tre punti: 1) concordare l'autogoverno dei palestinesi entro un periodo di sei-dodici mesi, 2) ammettere i residenti della Gerusalemme orientale, (i palestinesi esclusi dai negoziati di Madrid), ad entrare a far parte della delegazione palestinese; 3) stop agli insediamenti.
Lasua fu una vittoria che per la storia elettorale israeliana può essere definita travolgente: i seggi laburisti al Senato passarono da 39 a 44 mentre quelli del Likud di Shamir passarono da 40 a 32.
Rabin cercò il ripristino dei colloqui di Madrid, dimostrando di avere un approccio ben diverso dal suo predecessore: “Abbiamo ereditato l'impostazione della conferenza di Madrid ... c'è però un cambiamento significativo: il precedente governo ha creato degli strumenti, ma non ha mai avuto intenzione di usarli per far progredire la pace”.
Quando poi la sesta tornata dei negoziati bilaterali, che si stavano tenendo a Washington, si arenò irrimediabilmente, nell'agosto del 1992, Rabin riconobbe che ciò che occorreva a quel punto era un modo di pensare nuovo. Come prima cosa, quindi, nel dicembre 1992 ripudiò la legge approvata da Shamir che vietava contatti tra cittadini israeliani ed esponenti dell'OLP, consentendo così che si svolgessero dei negoziati diretti.
In secondo luogo, nel gennaio 1993, Rabin autorizzò i negoziati segreti di Oslo - affidandone la coordinazione a Yossi Beilin e la direzione a Uri Savir - con una delegazione dell'OLP capeggiata da Ahmad Qurei (Abu Ala), un banchiere che operava in diretto contatto con Abu Mazen (Mahmoud Abbas), oggi presidente dell'Autorità Palestinese.
La Dichiarazione di Principio congiuntamente elaborata dalle due squadre fu poi presentata al governo israeliano, il 30 agosto 1993. Si articolava in due parti: la prima riguardava l'accordo politico, che poggiava sul riconoscimento palestinese del diritto all'esistenza di Israele e, reciprocamente, sull'accettazione da parte di Israele di uno stato palestinese (questo implicava questioni spinose, come il diritto al rientro dei palestinesi e lo status di Gerusalemme, che furono rimandate a negoziati futuri). La seconda parte era composta da una serie di protocolli economici di vasta portata, che comprendevano la cooperazione per l'acqua, l'elettricità, l'agricoltura, la scienza e la tecnologia.
Savir notò successivamente di essere rimasto “sorpreso dal notevole interesse dei palestinesi ad allacciare rapporti economici con Israele. Consideravano la cooperazione non solo utile ai propri interessi economici, ma come un ponte verso lo sviluppo regionale”.

Il coraggio di cambiare gli assiomi

La natura storica degli Accordi di Oslo è stata posta in risalto dallo storico Avi Shlaim nel libro “Il muro di ferro”. Prima di Oslo, scrive Shlaim, i “movimenti nazionali, Ebreo e Palestinese, si negavano vicendevolmente il diritto all'autodeterminazione in Palestina. La loro storia era fatta di negazione e di rifiuto reciproci. Adesso la negazione stava lasciando il posto al riconoscimento reciproco, sebbene a denti stretti”.
In passato Rabin era stato un deciso oppositore della nascita dello stato palestinese e in un precedente governo di coalizione, capeggiato da Shamir, era stato ministro della Difesa e si era occupato di reprimere ed eliminare l'Intifada. Quell'esperienza, però, lo convinse che non c'erano alternative: occorreva ricercare ad ogni costo un accordo di pace con Arafat e l'OLP.
A proposito di questa trasformazione sua moglie Leah ha scritto: “L'Intifada convinse in maniera definitiva Yitzhak che Israele non poteva governare un altro popolo”. Verso il 1989 “si stava gradualmente orientando ad assecondare l'autonomia e l'autodeterminazione palestinesi”. Si attirò numerose critiche, come quelle di Benjamin Netanyahu che lo accusò di considerare Arafat “un partner nella pace”. Begin allora cercò di calmarlo con una battuta: “la pace la fai con i nemici, mica con gli amici”.

     
Rabin e Arafat sugellano l'accordo di Oslo il 13 sttembre 1993
 

Lo stesso spirito di Westfalia ispirò la firma dell'Accordo di Oslo, che avvenne alla Casa Bianca, il 13 settembre 1993. Alla presenza di Clinton, Rabin strinse la mano al vecchio nemico Arafat e dichiarò: “Noi che veniamo da una terra dove i genitori debbono sotterrare i figli, noi che abbiamo combattuto contro di voi, i Plaestinesi, noi oggi diciamo chiaro e forte: troppo sangue e troppe lacrime, ora basta!”. Nel successivo ricevimento alla Casa Bianca Rabin invitò a brindare “a coloro che hanno il coraggio di cambiare gli assiomi”. Che lui stesso avesse dimostrato il grande coraggio di cambiare gli assiomi fu riconosciuto dal Presidente Clinton nel discorso che tenne al suo funerale, quando nel 1995 Rabin cadde assassinato, vittima di un estremista della destra ebraica. “Il vostro primo ministro”, disse Clinton in quell'occasione, “è stato un martire della pace ma è una vittima dell'odio. Sicuramente dobbiamo apprendere dal suo martirio che chi non riesce a liberarsi dall'odio verso i propri nemici rischia di seminare l'odio tra i propri stessi ranghi”.

Il fattore LaRouche a Oslo

Lyndon LaRouche ha sostenuto la recente proposta di Yossi Beilin di convocare una seconda conferenza di Madrid, confermando così tre decenni di deciso impegno a favore della pace nella regione, nel corso dei quali ha ribadito in ogni occasione decisiva l'idea che questa pace può essere raggiunta solo attraverso lo sviluppo economico cooperativo, come riflesso concreto del cambiamento degli assiomi.
Nell'agosto 1977 l'influente newsletter «Israel and Palestine Political Report», pubblicata da Maxim Ghilan, ospitò un articolo di LaRouche intitolato “Un futuro per il Medio Oriente” nel quale lo statista americano affermava: “Avere dei poveri arabi palestinesi che sprofondano nella miseria lungo il confine di Israele non è una soluzione. Ciò che si dovrebbe volere è una nazione sovrana che conosca un effettivo sviluppo economico interno.
“Se Israele, Libano e uno stato Arabo Palestinese seguono politiche oggettivamente uguali e hanno gli stessi interessi di fondo, sono cioè interessate a mobilitare le rispettive popolazioni in un processo di sviluppo economico capace di dare loro motivazioni, queste saranno le basi di un accordo duraturo, che non potrà essere ottenuto in altro modo”. LaRouche aggiunse: “Lo sviluppo economico, come base oggettiva per risolvere la crisi in Medio Oriente avrà successo nelle misura in cui questa soluzione sarà vista come un importante passo in avanti dell'umanità, come uno sforzo deliberato e concertato di sradicare arretratezze e irrazionalità, creando un ambiente reale e concreto di sviluppo scientifico e tecnologico. Occorre dunque ignorare quella gente che parla a vanvera, presentandosi come 'politici pratici'. Essi sono screditati completamente a motivo dei loro stessi fallimenti”.
In un promemoria del 23 marzo 1986, scritto a seguito della proposta di “Un nuovo piano Marshall” che fu allora lanciata dal Primo Ministro Shimon Peres, LaRouche delineò un piano di sviluppo economico, che chiamò “Piano Oasi”, e che nella sostanza fu poi ricalcato dagli allegati economici dell'Accordo di Oslo del 1993. (vedi qui) Dopo aver presentato piani per lo sviluppo infrastrutturale congiunto, che condurrà ad un miglioramento dei livelli di vita, grazie all'aumento della produttività, sia per Israele che per gli stati sovrani circonvicini, LaRouche presentò le radici filosofiche del suo approccio, che è la stessa filosofia alla radice del Trattato di Westfalia.
“Nei rapporti tra Arabi ed Ebrei in Medio Oriente” scrisse LaRouche “si vedono due movimenti culturali contrapposti da ogni parte. Da una parte c'è l'eredità del Rinascimento Arabo ma c'è anche il Sufismo, che distrusse quel Rinascimento dall'interno. Il giudaismo, nel periodo successivo ad Hitler, ha due prospettive: una si fonda ottimisticamente sulla capacità di sopravvivere per 2000 anni sotto la diaspora, l'altra invece parte da una visione pessimistica, come conseguenza dell'olocausto.
“La base culturale per la pace tra Arabi ed Ebrei sta nella coerenza tra lo spirito del Rinascimento Arabo ed i principi dei 2000 anni di sopravvivenza degli Ebrei in Europa. Lo scopo dello sviluppo economico regionale è mettere in moto un rinascimento culturale sia tra gli Arabi sia tra gli Ebrei nella regione, così da fondare un movimento che in ciascuna nazione alimenti la stabilità, e che promuova tra le nazioni un'idea comune della dignità dell'individuo, così che la vita della persona di ciascuna nazione sia considerata sacra da tutte le nazioni.
“Lo sviluppo economico di per sé non basterà a dare vita a questo rinascimento tanto desiderato, ma il rinascimento non può partire senza disporre di una base di vigoroso sviluppo economico”.


Sul trattato di Wesfalia vedi:

Sul trattato di Oslo vedi anche: