Il fallimento economico e politico
della globalizzazione in Africa
Discorso di Uwe Friesecke, EIR
Khartoum, 14-17 gennaio 2001
LA SITUAZIONE in cui versa il continente africano dimostra chiaramente il fallimento completo delle prescrizioni che FMI e Banca Mondiale impongono da oltre ventanni: le cosiddette riforme di mercato e gli aggiustamenti strutturali. La globalizzazione ha rovinato indistintamente tutte le economie africane. Le sofferenze che ciò ha comportato per la stragrande maggioranza delle popolazioni africane come conseguenza di ciò sono una inequivocabile condanna dellincompetenza e dellingiustizia che caratterizzano il sistema mondiale così come è andato degenerando dopo il 1971, un sistema che i governi del G7 vorrebbero mantenere comunque ad ogni costo.
Secondo lultimo rapporto dellUNCTAD sui paesi meno sviluppati (LDC), il numero dei paesi estremamente poveri è quasi raddoppiato tra il 1974 ed il 1998, passando da 25 a 48. Di questi 33 su 48 sono paesi africani. Il rapporto del 2000 dellUNICEF riferisce che dei 60 paesi in cui nel 1998 è stato registrato il più alto tasso di mortalità infantile (sotto i cinque anni), 41 paesi sono africani.
Se queste cifre sono la conseguenza degli indirizzi generali delleconomia mondiale, chi dobbiamo ritenere responsabile di questa situazione?
Le trasformazioni nelleconomia mondiale degli ultimi 25 anni sono forse state decise nel Lagos, a Nairobi, a Khartoum o ad Adis Abeba? In quale sede sono stati fissati i tassi dinteresse, le condizioni di prestito e i prezzi delle materie prime sui mercati mondiali? Non certo in Africa, ma piuttosto a Londra, a Washington e a Parigi, mentre gli altri paesi del G7 hanno sempre finito per mettersi in riga.
La mancanza di sviluppo, i livelli di vita sempre più miseri in molti paesi, lo sfascio crescente del sistema sanitario e di quello educativo, e il dilagare apparentemente incontrollabile di malattie vecchie e nuove, come la malaria e lAIDS, sono il risultato di unausterità brutale che la politica del FMI e della Banca Mondiale hanno imposto ai paesi africani dalla metà degli anni Settanta.
I paesi africani hanno ottenuto lindipendenza formale nel corso degli anni Cinquanta, ma per quanto riguarda le loro economie non hanno mai potuto raggiungere lindipendenza e la sovranità effettive. Il vecchio sistema coloniale, che ha condannato lAfrica ad esportare materie prime al prezzo più basso possibile sui mercati mondiali, che ha ostacolato la costruzione delle infrastrutture per leconomia della regione e la creazione di unagricoltura e unindustria africane, è continuato anche sotto il regno del FMI e della Banca Mondiale, fino ad oggi. Gli anni Ottanta sono stati giustamente definiti il decennio perduto.
Ma chi sperava che allinizio degli anni Novanta, con la fine della Guerra Fredda e con la fine dellApartheid in Sud Africa, si determinassero finalmente delle condizioni più favorevoli per lo sviluppo africano, ha dovuto purtroppo ricredersi. Lo sfruttamento economico dellAfrica è continuato a pieno ritmo, mentre i paesi africani sono stati colpiti da un altro aspetto della politica strategica occidentale: la strategia della tensione a scopo geopolitico. Sono stati fomentati conflitti politici insolubili, spesso con una dimensione etnica, che hanno messo gli africani gli uni contro gli altri. Questo ha trascinato il Congo e gran parte dei suoi vicini in ciò che il Financial Times e lex segretario di stato USA Albright hanno definito, compiacendosene, la prima guerra mondiale dellAfrica.
È possibile dimostrare con la massima esattezza che lo scopo di questa strategia della tensione è quello di garantire la perpetuazione del saccheggio delle materie prime africane dimportanza strategica, e al tempo stesso di impedire che i governi africani possano usarle essi stessi per sviluppare le proprie economie. Questa è la politica della globalizzazione spinta alle sue conseguenze estreme: i governi e gli stati scompaiono, il potere passa nelle mani dei signori della guerra e dei loro mercenari, mentre il petrolio, i diamanti, loro, il legno ed i metalli strategici continuano a fluire copiosamente verso i mercati mondiali.
Consapevoli di questi processi strategici, siamo convinti che sia necessario formulare un nuovo approccio pan-africano ad una politica economica e di sicurezza veramente sovrana per lintero continente. Le strategie per lo sviluppo interno dei paesi e delle regioni continentali debbono essere abbinate ad iniziative capaci di trarre vantaggio dallattuale disintegrazione del sistema finanziario mondiale. Il concetto di un nuovo ordine economico mondiale giusto, che fu così intensamente dibattuto negli anni del Movimento dei Paesi non Allineati, deve tornare al centro delle discussioni.
Il fallimento delleconomia politica verso lAfrica
I dati pubblicati di recente dalla Banca Mondiale nel rapporto Can Africa claim the 21st Century presentano un quadro della miseria generata dalle misure imposte dal FMI e dalla Banca Mondiale nel corso degli ultimi 25 anni.
NellAfrica Sub-Sahariana il 40% della popolazione di 630 milioni, più di 250 milioni di persone, vive al di sotto del livello di povertà, che è fissato a livello mondiale con un reddito di un dollaro al giorno. Il rapporto riferisce che il numero dei poveri è aumentato costantemente, per cui la percentuale africana del totale mondiale dei poveri è passata dal 25% al 30% nel corso degli anni Novanta.
Più di 250 milioni di persone non usufruiscono di acqua potabile. Più di 200 milioni non possono disporre di servizi medico-sanitari. Più di 2 milioni di bambini muoiono ogni anno prima di aver compiuto un anno di vita. In 39 dei 52 paesi africani, il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei cinquue anni è superiore ai 100 per mille. 1,1 milioni di persone, di cui tre su quattro sono bambini, muoiono di malaria, 1,5 milioni di tubercolosi, mentre altri 8 milioni vengono contagiati ogni anno dalla seconda di queste infezioni.
La diffusione della malaria, come pure quella di altre malattie, era stata notevolmente ridotta negli anni Sessanta, ma recentemente è tornata a dilagare paurosamente. Allinizio del secolo il tasso era di 223 per 100.000 abitanti, nel 1970 era sceso a 107, ma oggi è risalito a 165.
Si calcola che gli africani contagiati dallAIDS siano circa 23 milioni. I decessi dovuti a questa infezione si aggirano intorno agli 11 milioni. Si ritiene inoltre che questa cifra rappresenti solo il 10% del totale delle perdite che lAIDS finirà per infliggere al continente. Sono già 21 i paesi in cui più del 7% della popolazione ha contratto lAIDS. Sono 8 milioni i bambini rimasti orfani a causa del morbo. Specialmente nei paesi dellAfrica meridionale, si teme che a causa dellAIDS la vita media si accorci anche di 20 anni. E la minaccia si va allargando anche ai paesi come la Nigeria e lEtiopia. In Africa lAIDS ha assunto le dimensioni di una vera pandemia. I suoi effetti sono paragonabili a quelli della Grande Peste nellEuropa medievale.
Come si è giunti a questo disastro economico e sociale?
Dallinizio degli anni Ottanta, sotto le pressioni del FMI e della Banca Mondiale, la maggior parte dei paesi africani ha dovuto accettare la politica degli aggiustamenti strutturali, le cui misure sono state inasprite a più riprese nel corso degli anni Novanta. Di conseguenza i governi africani sono stati costretti a pagare i debiti tagliando sui bilanci dei servizi sanitari e scolastici, a svalutare le proprie monete per esportare più materie prime, a tutto discapito dellimportazione di beni capitali, che erano della massima urgenza. Sono stati inoltre costretti a ridimensionare i servizi pubblici, ciò che ha comportato un incremento della disoccupazione, a privatizzare i beni nazionali, venduti a prezzi stracciati sul mercato deregolamentato, lasciando lindustria locale senza alcuna difesa. Questa politica delle cosiddette riforme liberiste ha aggravato la crisi del debito, ha reso impossibile gli investimenti per la realizzazione di grandi infrastrutture, ed ha prodotto limpoverimento terribile che vediamo dilagare in tutto il continente.
Specialmente quei paesi che FMI e Banca Mondiale elogiano maggiormente, presentandoli come success story, forniscono la prova più eloquente del fallimento della politica da questi dettata.
Nello Zambia, dopo nove anni di democrazia e manovre economiche, l80% dei 9,7 milioni di abitanti vive al di sotto del livello di povertà. La vita media è scesa dai 49 anni del 1992 ai 37 del 2000; tra il 1980 ed il 1998 la mortalità infantile è più che raddoppiata, passando dal 97 al 202 per mille. Lo Zambia paga più di 250 milioni di dollari lanno di interessi, per un debito estero del totale di 7 miliardi di dollari.
In Mozambico, dopo otto anni di riforme, il 70% della popolazione, in cifre 18 milioni di persone, si trova a vivere al di sotto della soglia di povertà, che corrisponde ad un reddito di appena un dollaro al giorno. Solo raramente operai ed impiegati arrivano a guadagnare il salario minimo, fissato per legge a 30 dollari mensili. Secondo la pubblicazione dellONU Africa Recovery, la popolazione rurale del Mozambico deve fare in media 46 chilometri a piedi per poter consultare un medico e 66 chilometri per raggiungere una scuola media. Le riforme hanno portato allabolizione dellassistenza sociale nelle città ed hanno causato la perdita di migliaia di posti di lavoro. Il Mozambico ha un debito estero di oltre 6 miliardi di dollari, su cui paga 125 milioni di dollari lanno. Però se si dà retta agli indicatori macroeconomici, che segnalano una crescita annua del PIL di 10-12% dal 1997, il paese sarebbe in pieno boom economico. La Banca Mondiale, al colmo del cinismo, caratterizza il fenomeno come crescita con la povertà.
I governi che hanno seguito le riforme del FMI sono stati anche costretti ad abolire lassistenza medico-sanitaria e listruzione gratuite. Come era prevedibile il numero delle iscrizioni a scuola e delle cure ospedaliere è calato rapidamente.
Dopo anni di questo trattamento infame, ci si chiede con quale faccia i funzionari del FMI e della Banca Mondiale possano ancora affermare che la loro priorità è ridurre la povertà e investire nella gente. Prima hanno appiccato il fuoco alla casa e adesso fanno finta di chiamare i pompieri.
Il caso del Ghana
Gli ultimi ventanni della storia del Ghana dimostrano chiaramente che lapplicazione delle dottrine neo-liberiste non soltanto aggrava le condizioni di povertà, ma provoca dei cambiamenti strutturali che a lungo termine si rivelano ancora più nocivi e distruttivi.
Dallanalisi dellevoluzione dei settori economici, applicata rispettivamente ai periodi 1970-1975 e 1991-1995, risulta che le attività industriali sono retrocesse dal 19% al 14%, quelle agricole dal 52% al 42%, in favore dellespansione dei servizi, passati dal 29% al 44%. Leconomia del Ghana ha perso la capacità fisica di produrre. Daltra parte, il crollo della moneta (nel 1983, quando il governo di Rawlings assunse il controllo del paese con un golpe non proprio democratico, un dollaro costava 2,75 Cedi, oggi ne costa 6856) rende del tutto proibitiva limportazione dei beni capitali necessari alla produzione. Così il Ghana viene a dipendere esclusivamente dalle sue esportazioni di oro, di legno e di cacao, nè arriva mai a produrre qualcosa in proprio, e a sviluppare i mercati interni, specialmente in anni come questi, in cui i prezzi delle materie sui mercati mondiali non fanno che calare. Come per molti altri paesi africani, il volume delle esportazioni è aumentato notevolmente, ma non è stato accompagnato da un corrispondente aumento degli incassi. In altre parole, il saccheggio è aumentato paurosamente.
La trappola del debito
Il debito dellAfrica Sub-Sahariana ammonta oggi a più di 220 miliardi di dollari. Se a questo aggiungiamo lAfrica settentrionale, il debito totale sale a 300 miliardi. Nel 1980 queste due voci erano rispettivamente di 60 e di 112 miliardi di dollari. Nel corso degli anni Novanta i paesi sub-sahariani hanno pagato in media 11 miliardi di dollari allanno, e quelli dellAfrica settentrionale altri 13,4 miliardi di dollari. In un decennio lAfrica ha pagato circa 250 miliardi sul suo debito estero, ma alla fine si è ritrovata ancora più indebitata di quanto non lo fosse in partenza. Questo meccanismo del debito è la forma peggiore di schiavismo e costituisce un crimine contro lumanità, poiché, come illustra questo esempio, i paesi africani sono costretti a pagare il debito con la vita delle loro popolazioni.
Oggi le istituzioni finanziarie parlano tanto dellurgenza di mitigare e ridurre il fardello del debito. Liniziativa è chiamata HICP. Ma a che potrà giovare, se un paese che riceve questo sgravio finisce poi col pagare più di prima? Un caso concreto di questo è lo Zambia. Nel 1999 ha pagato 136 milioni di dollari, questanno dovrebbe pagarne 225 e lanno prossimo, dopo gli sgravi, 235 milioni di dollari. Ritengo opportuno dare a questa faccenda il nome che si merita, e cioè quello di una gigantesca truffa. Non cè un briciolo di onestà nelle intenzioni dichiarate dalle istituzioni sopranazionali di voler far qualcosa per ridurre la povertà.
Il disastro economico africano viene indicato con lespressione eufemistica di marginalizzazione. Gli effetti congiunti dellonere del debito, dei programmi di aggiustamento strutturale e del continuo peggioramento delle condizioni commerciali per le principali voci di esportazione hanno vanificato tutte le speranze accese dai leader dellindipendenza africana con la fondazione delle loro nazioni, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Invece di assurgere a partner commerciale del mondo sviluppato, aumentando la sua porzione nella produzione mondiale totale, lAfrica ha visto persino quel minuscolo 3% del commercio mondiale detenuto negli anni Cinquanta calare al 2% nel corso degli anni Novanta, ed oggi questa percentuale è scesa addirittura all1,2, con la sola eccezione del Sud Africa.
Dopo aver presentato questi dati sul problema africano nel rapporto sopra citato, la Banca Mondiale giunge ad una sorprendente conclusione: Se non si interviene, i problemi dellAfrica peggioreranno, e scopre anche che investire nella popolazione è anche essenziale per accelerare la riduzione della povertà.
Se gli economisti della Banca Mondiale hanno bisogno di più di cinquantanni per scoprire una cosa così semplice dopo aver promosso per 25 anni spietate politiche di disinvestimento ai danni della popolazione come si fa a prendere sul serio lintenzione da essi dichiarata di voler dimezzare il numero assoluto dei poveri in Africa entro il 2015? Secondo le loro statistiche, occorre un tasso di crescita del 5% in tutta lAfrica soltanto per impedire un aumento della povertà, e di almeno il 7% per dimezzare il numero dei poveri. Questo è tre volte il tasso di crescita media conseguito dal 1973 ad oggi. Per raggiungere lobiettivo indicato la Banca Mondiale propone di seguire proprio quelle stesse misure economiche neo-liberiste a cui già si deve il disastro degli ultimi ventanni, ma in maniera ancora più radicale!
Cè da concludere che senza la compassione della Banca Mondiale e del FMI i problemi dellAfrica non possono che migliorare!
La strategia della tensione
Il collasso economico e la disintegrazione sociale di cui furono vittima diversi paesi africani nel solo corso degli anni Ottanta sarebbero già di per sè sufficienti ad alimentare violenti conflitti, tanto tra nazione e nazione quanto allinterno di ciascuna di esse. Ma a peggiorare le cose si è aggiunto lintervento della geopolitica occidentale. Mentre lattenzione mondiale era focalizzata sulla serie di eventi che sfociò nella Guerra del Golfo, lo sfortunato presidente dellUganda, ex colonia britannica, con assistenza e aiuto dallesterno, aggredì il vicino Ruanda, mascherando loperazione come una ribellione. Ruanda e Burundi furono travolti da una spirale di violenze che condusse ai tragici eventi del 1993-1994. Altre due ribellioni esplosero nuovamente nel Congo, rispettivamente nel 1996 e nel 1998, e precipitarono il paese nella guerra. Questa guerra ha distrutto le prospettive di pace in Angola e ha destabilizzato tutta lAfrica meridionale.
Quante sono state le vittime di quella carneficina? Non si riesce nemmeno a contarle. Forse cinque milioni sono le vittime dirette della guerra, e svariati altri milioni sono le vittime delle malattie e degli stenti provocati dalla guerra.
Alle guerre nella regione dei Grandi Laghi e in Congo si aggiunse la crisi e il conflitto nel Sudan meridionale, che alcune forze manipolatrici cercarono di attizzare dallesterno nel corso degli anni Novanta, per creare uno scenario da scontro di civiltà.
Il cuore dellAfrica è devastato dai signori della guerra che si pongono al servizio dei nuovi colonialisti. Come mai le capitali di paesi che non hanno miniere né doro né di diamanti, né riserve di legno, sono diventate grandi esportatrici di questi beni?
Quando gli stati, i governi e i confini scompaiono, e lautorità sui territori è solo quella esercitata dalla forza militare, compresa quella dei mercenari, si raggiunge ila massimo della deregulation e della liberizzazione dei mercati. Così, chi dispone di quella forza può imporre il ribasso dei prezzi di un certo prodotto, o più semplicemente fa man bassa e consegna tutto ai suoi sostenitori stranieri.
Questo è un processo di saccheggio: materie prime come petrolio, minerali, metalli e pietre preziose, e prodotti agricoli, vengono sottratte ad un continente le cui popolazioni muoiono di fame o di malattie. Al tempo stesso, la strategia della tensione conduce al perpetuarsi dei conflitti, di modo che le nazioni e i governi africani non arrivano mai ad afferrare lopportunità di impiegare le risorse naturali di cui dispongono per il proprio sviluppo.
Prendiamo in esame un documento molto interessante intitolato: Tendenze globali 2015: un dialogo sul futuro con esperti non governativi. È stato prodotto dal National Foreign Intelligence Board, con lapprovazione del direttore della Central Intelligence Agency del governo USA lo scorso novembre a Washington. Questo ci riporta direttamente al fenomeno che Lyndon LaRouche ha caratterizzato, durante la sessione del mattino, come la politica di disintegrazione controllata e neo-malthusiana promossa da Kissinger e Brzezinski, risalente ai primi anni Settanta e tuttora vigente nei raggruppamenti di potere anglo-americani, in particolare nella nuova amministrazione Bush. Alcuni ministri di questo nuovo governo, come Donald Rumsfeld, detenevano già da allora importanti incarichi di governo. Il documento mette in luce tutta la brutalità delle discussioni in corso a Washington sul futuro dellAfrica.
Allo stesso tempo si cerca di ingannare lopinione pubblica con le parole sdolcinate della Banca Mondiale sulla riduzione della povertà. Il FMI, compreso il suo nuovo Segretario Generale Horst Koehler e gli altri funzionari, e la Banca Mondiale, sotto il fuoco delle critiche internazionali, dichiararano di essere preoccupati per la povertà dilagante, ma non hanno alcuna intenzione di dar seguito ai loro presunti buoni propositi.
Questo è confermato dalle citazioni che seguono, tratte dal documento Tendenze globali 2015, che è di pubblico dominio e reperibile sul sito web della CIA. Dopo il sottotitolo Africa Sub-Sahariana, tendenze regionali, si legge:
Linterazione di fattori demografici e malattie oltre al malgoverno costituirà la determinante principale della crescente marginalizzazione dellAfrica nel 2015. La maggior parte degli stati africani non riusciranno ad agganciarsi alla crescita economica generata in altre regioni dalla globalizzazione e dal progresso scientifico e tecnologico. Solo pochi paesi se la caveranno un po meglio, mentre molti altri riusciranno a malapena ad avere alcun peso sulla vita dei loro cittadini. Mentre si accumulano i problemi multipli e interconnessi dellAfrica Sub-Sahariana, le tensioni etniche e interne si intensificheranno, sfociando periodicamente in nuovi conflitti, diffondendosi sovente oltre i confini, fomentando talvolta stati secessionistici.
"LA DIFFUSIONE ATTUALE DELLHIV
Se non si assisterà ad un grande passo avanti nella medicina, linarrestabile dilagare dellAIDS e di altre malattie decimerà la popolazione adulta economicamente produttiva, accentuerà la già notevole componente giovanile del paese, e produrrà una vasta schiera di bambini orfani. È una situazione che metterà a dura prova la capacità del sistema familiare allargato di far fronte al problema, contribuendo ad aggravare linsoddisfazione, il crimine e linstabilità politica. Povertà e malgoverno daranno ulteriormente fondo alle risorse naturali, conducendo ad un rapida urbanizzazione. Siccome le popolazioni impoverite abbandonano le campagne improduttive, molte città raddoppieranno di numero entro il 2015, ma le risorse saranno insufficienti per provvedere alla necessaria espansione delle reti idriche, delle infrastrutture igieniche, e delle strutture medico-sanitarie. Le città diventeranno fonte di crimine e di instabilità mentre le differenze etniche e religiose inaspriranno la concorrenza per i posti di lavoro e le risorse in continuo calo. Il numero dei malnutriti aumenterà di oltre il 20% ed il potenziale per le carestie persisterà ovunque i conflitti e i disastri naturali ricorrenti impediscono o limitano gli sforzi umanitari.
PROSPETTIVE ECONOMICHE
Le condizioni per lo sviluppo economico nellAfrica Sud-Sahariana sono limitate dal persistere dei conflitti, dallinadeguata leadership politica e dalla corruzione endemica, e da condizioni atmosferiche imprevedibili. Gli africani più dotati eviteranno il settore pubblico o saranno attirati allestero dalla prospettiva di un reddito migliore e di una sicurezza maggiore. Leader capaci e coscienziosi difficilmente possono emergere da società non democratiche e corrotte. La maggior parte degli avanzamenti tecnologici dei prossimi quindici anni con la possibile eccezione di sementi geneticamente modificate non produrrà alcun effetto positivo sulle economie africane. Sebbene lAfrica Occidentale svolgerà un ruolo crescente nei mercati globali dellenergia, fornendo il 25% delle importazioni petrolifere del Nord America nel 2015, cè da aspettarsi il permanere della situazione presente, in cui i proventi del petrolio alimentano la corruzione piuttosto che lo sviluppo economico. Vi saranno eccezioni a questa panoramica desolata. La qualità del governo, piuttosto che la disponibilità di risorse, costituirà laspetto decisivo dello sviluppo e della differenziazione degli stati africani. Sud Africa e Nigeria, che sono le maggiori economie del continente, rimarranno le potenze dominanti nella regione. Ma la loro capacità di funzionare come locomotive economiche e stabilizzatrici nelle rispettive regioni sarà limitata dalla grande richiesta insoddisfatta di risorse per stimolare loccupazione interna, la crescita e i servizi sociali, compreso il problema dellAIDS. Perfino il robusto Sud Africa non avrà una forte capacità trainante sui partner della Comunità di sviluppo sudafricana (SADC). Il successo economico del Sud Africa sarà dovuto più ai suoi rapporti con leconomia globale, che a quelli con lAfrica sub-sahariana.
CONFLITTI ETNICI, POLITICI E RELIGIOSI
Il ruolo dei soggetti non stato. Latrofia dei rapporti speciali tra le potenze europee e le loro ex colonie africane sarà praticamente completa nel 2015. A riempire il vuoto saranno le organizzazioni internazionali e le formazioni di vario tipo diverse dallo stato: istituzioni religiose transnazionali, organizzazioni internazionali non profit, organizzazioni criminali e di trafficanti di stupefacenti, mercenari stranieri e terroristi internazionali alla ricerca di rifugi sicuri. I movimenti fondamentalisti, specialmente quelli che fanno proselitismo allIslam, troveranno un terreno fertile, giacché gli africani cercano sistemi alternativi di far fronte alle esigenze primarie. I conflitti internazionali attrarranno organizzazioni criminali straniere o mercenari talvolta anche con il benvenuto dei leader che saranno complici nel saccheggio dei patrimoni nazionali, mentre i regimi traballanti cederanno volentieri la loro sovranità in cambio di contante.
Dopo aver letto un resoconto come questo, non credo che si possano nutrire ancora illusioni sullindirizzo generale della nuova amministrazione Bush e delle élite anglo-americane nei confronti dellAfrica.
Lalternativa: la pace attraverso lo sviluppo
Nonostante tutto, cè ancora unalternativa.
Alla fine degli anni Ottanta, il gruppo Bonifica dellIRIItalstat mise a punto uno studio intitolato: Transaqua: unidea per il Sahel, presentato al pubblico nel 1991-1992. Il progetto prevede il trasferimento di 100 miliardi di metri cubi di acqua dal bacino del fiume Congo alla regione del Sahel tra Ciad e Niger. Il quantitativo è solo il 5% dellacqua che il fiume scarica nellAtlantico, ma è più dellacqua immessa dal Nilo nel lago di Assuan. Il progetto prevede un canale navigabile che parte dal lago Kivu risalendo ad arco verso nord-est per 2400 Km, raccoglie le acque pluviali del bacino imbrifero del Congo, raggiunge lo spartiacque Congo-Ciad nella Repubblica Centrale Africana, e scarica le acque alla sorgente del fiume Chari, affluente del lago Ciad.
I benefici che si prospettano per lirrigazione, la produzione idroelettrica e i trasporti per tutti i paesi interessati, dovrebbero essere evidenti. I progetti indotti già anticipati nello studio sono numerosi. I paesi e le popolazioni dellAfrica centrale e della regione dei Grandi Laghi potrebbero concentrarsi a realizzare il Transaqua a beneficio comune.
Se loccidente avesse voluto seguire una strategia responsabile per la pace e lo sviluppo dopo il 1989, avrebbe incoraggiato i leader africani a cercare soluzioni in questa direzione. Invece, Transaqua è rimasto nel cassetto, e i protagonisti della geopolitica occidentale hanno fomentato la guerra nellAfrica Centrale.
Questo dovrebbe eliminare ogni illusione.
Dietro le lacrime di coccodrillo che alcuni leader occidentali versano per lAfrica, insieme alle belle parole, nei consessi internazionali come quelli dellONU, cè la realtà agghiacciante di una pianificazione a tavolino che prevede la continuazione della politica coloniale attraverso la strategia della tensione e la pura e semplice cancellazione delle nazioni africane dalla carta geografica.
Per questo motivo è urgente lanciare un nuovo appello pan-africano, un appello che tragga la sua autorità dai diritti inalienabili delluomo. Il diritto allo sviluppo di ciascuno e di tutti i popoli, a prescindere dal colore della pelle e dal credo religioso. Il pan-africanismo oggi deve riformulare una strategia di pace attraverso lo sviluppo che rivendichi uguali diritti economici per lAfrica rispetto alla comunità delle nazioni degli altri continenti.
Ciò che i padri fondatori dellAfrica si ripromettevano di ottenere cinquantanni fa, ritorna e diventa la missione per il nuovo secolo: costruire, nel giro di una o due generazioni, delle nazioni africane capaci di godere della pace e di raggiungere il benessere economico che è necessario alla dignità delluomo, e goderlo a parità di diritto rispetto al cosiddetto settore avanzato.
Vorrei sottoporre alla discussione delle misure concrete, articolate in cinque punti:
1. Cancellazione del debito estero africano
Ritengo che tutto il debito estero dellAfrica debba essere cancellato in blocco. Non soltanto lAfrica ha già ripagato diverse volte il debito inizialmente contratto, ma tutti sanno bene che i creditori non riuscirebbero mai a riscuotere quel debito, nemmeno a trovare sufficienti leader politici africani disposti a svendere completamente il proprio popolo. Si tratta pertanto di un problema che deve essere eliminato in blocco. Ma questo è un problema di terzordine per lo sviluppo Africano.
2. Ri-regolamentazione del commercio mondiale e ripristino di misure protezionistiche per le economie nazionali
Le due misure più importanti devono consistere nel ribaltare gli effetti devastanti della deregolamentazione del commercio mondiale introdotte nellambito delle riforme GATT e WTO e nel promuovere lo sviluppo dei mercati interni delle economie nazionali africane.
La ri-regolamentazione del commercio mondiale deve comprendere listituzione di un prezzo di parità (parity price) per le materie prime e per i prodotti agricoli. In tal modo le economie africane otterrebbero un reddito ragionevole dalle esportazioni, corrispondente al valore effettivo dei prodotti esportati, mentre ora sono costrette a vendere a costi inferiori a quelli di produzione. Occorre porre fine alla strategia delle grandi multinazionali, volta a ridurre continuamente il prezzo di mercato delle materie prime africane. In tal modo, con la scusa del libero mercato, contadini e lavoratori africani sono stati condannati a lavorare come schiavi per il mercato mondiale.
La campagna a favore del pagamento di riparazioni allAfrica, per le ingiustizie che essa subì a causa della tratta degli schiavi, dovrebbe fare proprio questo aspetto del problema. Per loccidente, il modo migliore di riparare alle ingiustizie del colonialismo è eliminare le ingiustizie del sistema economico presente, che colpiscono specialmente lAfrica ed il settore in via di sviluppo, pagare prezzi di parità per i beni importati e trattare gli africani come partner a pieno titolo del commercio mondiale. In tal modo lAfrica otterrebbe il denaro necessario per il proprio sviluppo, e gran parte degli aiuti allo sviluppo non sarebbero più necessari.
La necessità di tornare a regolamentare il commercio mondiale, con lintroduzione di prezzi di parità per materie prime e prodotti agricoli, costituisce un aspetto fondamentale di un nuovo ordine economico mondiale giusto. Questo dovrebbe essere abbinato a misure protezionistiche, per consentire la nascita e lo sviluppo delle attività industriali. È del tutto inaccettabile che lindustria tessile di Kenia, Nigeria, Ghana, Zambia, Zimbabwe ecc. venga spazzata via e sostituita da importazioni di prodotti di seconda mano dallEuropa e dagli Stati Uniti. Si tratta di unaltra truffa del sistema deregolamentato.
Le misure protezionistiche sono indispensabili a garantire la nascita ed il rafforzamento dei mercati interni. Se i mercati interni funzioneranno, il potere dacquisto delle popolazioni africane tenderà ad aumentare, consentendo loro di diventare clienti migliori del commercio internazionale, che comprende anche il commercio regionale africano.
3. Lemissione di credito internazionale a lungo termine per progetti infrastrutturali di vaste dimensioni.
È indispensabile realizzare i grandi progetti idraulici del continente, come quello del Nilo, del Kagera e del Congo. Occorre inoltre un sistema ferroviario continentale a passo standard e un sistema autostradale. Occorrono tutte quelle infrastrutture pesanti necessarie ad uneconomia funzionante, e alla cui realizzazione devono partecipare non solo operai, ma anche ingegneri e tecnici locali. In tal modo la costruzione delle infrastrutture metterebbe in moto la produzione di beni fisici reali, come primo passo dello sviluppo delleconomia interna dei paesi.
Occorre riprendere in esame i piani già esistenti di sviluppo infrastrutturale di portata continentale. Nelle discussioni che terremo a conclusione di questo seminario dovremmo mettere a punto un piano dei progetti infrastrutturali prioritari, stabilendo quali sono i più idonei a promuovere lo sviluppo integrato del continente, in contrapposizione a quei progetti dove la realizzazione di infrastrutture è concepita in funzione dello sfruttamento coloniale, che servono solo ad accelerare il saccheggio del continente, non certo a svilupparlo.
Un esempio di piano di questo genere colonialistico è quello ideato da unimpresa americana col nome di progetto Solomon. Prevede di sottrarre acqua al fiume Congo per trasportarla, attraverso una rete di condutture, fino alle regioni del Medio Oriente. Purtroppo il governo di Kinshasa sta già negoziando i termini di questo progetto che, se dovesse concretizzarsi, renderebbe impossibile la realizzazione del progetto Transaqua, mandando in fumo unopportunità unica di rimediare al disastro ecologico ed economico che affligge lAfrica Centrale. Con il Transaqua si potrebbe disporre di milioni di ettari di nuova terra coltivabile nei paesi della regione, ora colpiti dalla fame. Transaqua cambierebbe la dinamica di sviluppo di tutta lAfrica Centrale e i suoi benefici si estenderebbero anche ai paesi vicini come il Sudan, lUganda e specialmente gli stati popolosi del Ruanda e del Burundi.
4. Utilizzare appieno il potenziale agricolo africano
Gran parte dellAfrica gode di condizioni climatiche più favorevoli allagricoltura di quelle europee o statunitensi. LAfrica deve essere posta in condizione di produrre, non soltanto le materie prime come il cacao, ma anche prodotti ad alto valore aggiunto, sia per il fabbisogno alimentare delle popolazioni locali che per lesportazione in aree del mondo dallagricoltura carente, come il Medio Oriente e vaste regioni asiatiche. I proventi di questo export andrebbero principalmente a finanziare lindustrializzazione africana.
5. Unire i paesi africani in un programma di pace attraverso lo sviluppo
Ritengo che cercare di risolvere i conflitti in Africa senza offrire lopportunità più ampia di sviluppo per tutto il continente sia uno sforzo destinato a fallire. Il principale problema da affrontare, come risulta evidente dai tentativi di pacificazione condotti ad esempio nel Sudan meridionale, in Arusha per il Burundi, o con laccordo di Lusaka nel Congo, è che le popolazioni coinvolte sono prostrate, demoralizzate, prive di speranze concrete. Per superare questo problema, occorre offrire una prospettiva ambiziosa di sviluppo generalizzato come quella qui proposta, che consenta allAfrica di raggiungere una posizione alla pari con la comunità delle nazioni entro la metà del 21° secolo, e alle sue popolazioni di vivere in pace, nella giustizia e nel benessere.