ECONOMIA

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    Resistenza africana contro la ricolonizzazione britannica

    21 aprile 2008 – In Africa si sta formando una resistenza contro la manovra britannica per ricolonizzare il continente,  in particolare prendendo di mira i presidenti del Sud Africa Thabo Mbeki e dello Zimbabwe Robert Mugabe. Per gli inglesi sopraffare lo Zimbabwe rappresenta una prova di forza: tutte le nazioni africane dovrebbero a quel punto capire che è inutile resistere alla richieste di deregolamentare le proprie economie. Se ci provano finiranno sotto lo schiacciasassi degli attacchi politici a cui vedono ora sottoposti Mugabe e Mbeki.

    I 14 paesi della Comunità di sviluppo sudafricana (SADC), nonostante le pressioni politiche ed economiche a cui li ha sottoposti il premier britannico Gordon Brown, si sono rifiutati di esprimere una denuncia contro lo Zimbabwe e il presidente Mbeki, che la SADC ha designato come mediatore tra il governo dello Zimbabwe e l’opposizione.

    Il 16 aprile a New York Mbeki ha snobbato il primo ministro britannico cancellando un incontro in programma proprio prima del vertice del Consiglio di Sicurezza dell’ONU presieduto dallo stesso Mbeki. Al vertice, Mbeki ha rincarato la dose, cancellando la questione dello Zimbabwe dall’ordine del giorno, costringendo di conseguenza Brown ad un intervento estemporaneo per esprimere il livore britannico contro Mugabe, accusato di aver “rubato” le elezioni.

    In questo stesso incontro il presidente della Tanzania Jakaya Kikwete, presidente di turno dell’Unione Africana, ha respinto le esplicite pressioni di Brown che aveva appena incontrato privatamente, elogiando gli sforzi della Comunità di sviluppo sudafricana “per garantire il rispetto della volontà del popolo dello Zimbabwe”, come ha riferito la Reuters il 16 aprile. A seguito di queste due batoste Brown ha deciso di cancellare la sua conferenza stampa.

    Il 18 aprile 15 mila persone hanno celebrato l’indipendenza ad Harare ed il presidente Mugabe ha preso di petto la questione britannica dichiarando: “Oggi sentiamo dire dagli inglesi che qui non c’è democrazia ... Siamo noi, e non gli inglesi, ad aver fondato la democrazia sulla base del principio una persona, un voto ... Attenzione. Occorre vigilare di fronte alle subdole macchinazioni dell’Inghilterra e dei suoi alleati. Ieri comandavano con la forza bruta. Oggi hanno perfezionato le tattiche diventando più sottili, usano il denaro per comprare letteralmente la gente da mettere contro il proprio governo. Qui ci stanno comprando come se fossimo vitelli ... Lo Zimbabwe fu in passato usurpato dagli imperialisti che lo assalirono come rapinatori, ma noi ce lo siamo ripreso e siamo fieri di essere Zimbabwesi e non Rhodesiani, Africani non Britannici. Siamo stati imprigionati e siamo morti per il paese durante la guerra di liberazione ... Non dobbiamo abbandonare i nostri figli abbassando la guardia contro l’imperialismo, l’imperialismo britannico, che sta tramando furtivamente nella nostra società, cercando di dividerci”.

    Alla storia della politica britannica per un cambio di regime ha fatto riferimento l’ambasciatore dello Zimbabwe negli USA Machivenyika Mapuranga, che il 12 aprile ha partecipato ad una puntata della trasmissione radiofonica LaRouche Show. Egli ha spiegato come Tony Blair, non appena arrivato al potere nel 1997, sospese i finanziamenti alla riforma agraria che era parte dell’accordo di Lancaster House del dicembre 1979 che sancì l’indipendenza del paese dopo 14 anni di lotta per la liberazione. Al governo non restò che provvedere ad una propria politica di riforma agraria. Blair allora parlò apertamente di “cambio di regime”, come politica britannica e, attraverso la Westminster Foundation, provvide al finanziamento ed al controllo dell’opposizione, il Movimento per il Cambiamento Democratico. Un’ampia intervista al dott. Mapuranga è pubblicata dalla rivista EIR. (N. 17 del 25 aprile).