ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

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L'edizione italiana della Newsletter "Strategic Alert dell'EIR" (http://www.eirna.com/html/headsi.htm) mette a disposizione alcuni dei suoi articoli più significativi sul tema del terrorismo dal 1995 al 2001.


In questa sezione: Israele

  15 novembre 1995

Il contesto strategico dell'assassinio di Rabin

In un'intervista radiofonica dell'8 novembre Lyndon LaRouche dichiara che l'assassinio del Premier israeliano Yitzhak RABIN va visto nel contesto strategico del tentativo britannico di destabilizzare il Medio Oriente impedendo la politica di pace attraverso lo sviluppo economico promossa da Rabin e Peres dal 1993. L'assassinio di Rabin non è un problema interno israeliano, ma coinvolge anche Gran Bretagna e Stati Uniti. Ad esempio la Anti Defamation League (ADL) negli USA ed il colosso britannico dell'informazione HOLLINGER CORPORATION, a cui appartiene il Jerusalem Post, conducevano da mesi una campagna durissima contro il processo di pace. Londra è inoltre la principale base logistica ed operativa dei gruppi terroristici, come è stato dimostrato nel caso degli attentati terroristici in Francia.

A conferma di quanto affermavamo nel numero scorso, è emersa questa settimana la pista della congiura contro Rabin, quando è risultato chiaro che l'assassino del Premier israeliano non era affatto un "pazzo isolato". Finora le autorità israeliane hanno arrestato dieci cospiratori, compreso personale dell'esercito, ed il ministro della Polizia Moshe SHAHAL ha parlato espressamente di "complotto organizzato" per uccidere Rabin, che risale a due anni fa. Fonti dei servizi di informazione israeliani avvertono che sarebbe un grave errore considerare l'assassinio di Rabin il risultato di una congiura isolata di gruppi terroristici quali l'EYAL, di pochi rabbini ortodossi estremistici o di fanatici degli insediamenti. Le fonti fanno notare che Israele ed i territori occupati sono in uno stato di "guerra irregolare" dalla firma degli accordi di Oslo nel settembre 1993.

Da allora una struttura parallela nell'establishment politico militare e nei servizi segreti israeliani, paragonabile all'OAS, ha iniziato una campagna a varie fasi, culminata nell'assassinio di Rabin. L'ultima fase di tale campagna contro il processo di pace, la più recente, è quella della disobbedienza, in cui si chiede ai soldati ed ai funzionari dello stato di disobbedire agli ordini. Essa è iniziata parallelamente alla campagna di insulti personali nei confronti di Rabin e Peres. Questa campagna di odio, condonata e attivamente sostenuta da forze politiche "riconosciute" in Israele, in Gran Bretagna, negli USA ed in Francia, è culminata nell'assassinio di Rabin. La campagna parallela di attentati terroristici suicidi da parte della JIHAD ISLA MI CA, nel 1994 e 1995, va vista in questo contesto.

  7 marzo 1996

La strategia del terrore in Israele

Gli attentati terroristici del 25 febbraio e del 3 e 4 marzo in Israele mirano a destabilizzare tutto il Medio Oriente, e non solo Israele e la Palestina. I terroristi, e gli elementi dei servizi che li controllano, si propongono non solo di influenzare l'esito delle elezioni del Parlamento israeliano (Knesset), provocando la sconfitta del Premier israeliano Shimon PERES, ma anche di impedire la rielezione del Presidente americano Bill CLINTON, che ha svolto un ruolo cruciale nel processo di pace in Medio Oriente. Come abbiamo ripetutamente documentato, la destabilizzazione del Medio Oriente in generale, e dei governi Peres e Clinton in particolare, è uno degli obiettivi principali dell'establishment britannico.

In questo senso sono molto importanti le dichiarazioni rilasciate dal governo israeliano e da Yassir ARAFAT in cui si indicano i responsabili degli attentati. Arafat non solo ha condannato duramente gli attentati terroristici, ma ha dichiarato che essi sono il risultato della "collusione tra estremisti e terroristi israeliani e palestinesi". Gli esplosivi, ha aggiunto, sono stati forniti ai terroristi dell'Hamas dai coloni israeliani radicali. Arafat ha inoltre denunciato la "potenza straniera che si nasconde dietro gli attentati", senza indicare a quale potenza si riferisse. In termini simili si é espresso in un'intervista il Premier israeliano PERES, dichiarando: "Credo che l'Hamas sia favorevole a coloro in Israele che si oppongono alla pace. Loro stessi, essendo contro la pace, cercano un gruppo in Israele che non voglia perseguire" la politica di pace del governo israeliano.

Un'indicazione più precisa su quale "potenza straniera" possa celarsi dietro l'ondata di attentati è stata data da un ufficiale israeliano che, parlando informalmente a giornalisti britannici, ha denunciato il governo britannico che permette il trasferimento annuale di 10 milioni di dollari da gruppi islamici filo-terroristici "che hanno sede in Gran Bretagna" a gruppi fiancheggiatori dell'Hamas in Palestina ed altri paesi arabi. Secondo la stessa fonte la famiglia del terrorista suicida dell'Hamas MAJDI ABU WARDEH riceveva denaro da una di queste organizzazioni, che raccoglievano i fondi in Gran Bretagna e li trasferivano tramite banche britanniche. Dopo gli stati del Golfo Persico, la Gran Bretagna compare come la principale fonte dei 60 milioni di dollari che l'Hamas riceve ogni anno.

Non è inoltre casuale che, parallelamente all'ondata terroristica, il Gen. Ariel SHARON stia cercando di formare un polo elettorale di destra, finora disunita in Israele. Sharon è il principale nemico del processo di pace ed il "padrino" e principale finanziatore del movimento degli insediamenti sia in Israele che in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.

  23 novembre 1997

Medio oriente: una nuova crisi missilistica di Cuba?

Il 13 novembre Lyndon LaRouche ha lanciato un allarme sul fatto che ambienti di potere inglesi, utilizzando il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sono intenzionati a scatenare in Medio Oriente un braccio di ferro nucleare sullo stile della Crisi missilistica di Cuba del 1962. Esso sarebbe probabilmente innescato attraverso provocazioni terroristiche, alle quali Israele risponderebbe con un'avventura militare condotta dietro lo scudo della minaccia di una rappresaglia nucleare immediata. Gli sviluppi della "crisi irakena" debbono essere considerati soltanto un elemento con il quale si determina "l'ambiente strategico" per arrivare al braccio di ferro nucleare.

LaRouche sottolinea che il tentativo di "gestire la crisi" come al solito, al quale ricorreranno ovviamente gli USA ed altri, non basterà ad impedire questa nuova "crisi cubana" che potrebbe già esplodere prima della fine dell'anno. Ma il vero movente della crisi non va ricercato in Medio Oriente ma piuttosto nel contesto strategico globale. L'oligarchia britannica è determinata a ristabilire la propria egemonia strategica, minacciata dal nuovo rapporto strategico stabilito tra Stati Uniti e Cina a seguito dell'incontro tra Clinton e Jiang Zemin. Una riedizione della crisi missilistica di Cuba in Medio Oriente è pensata per avere un effetto psico-politico internazionale di gran lunga maggiore degli obiettivi limitati del teatro in cui è inscenata la crisi.

Soltanto mettendo in chiaro questa realtà strategica, denunciando il controllo di Londra sulle varie pedine politiche e terroristiche -- tanto nel campo arabo quanto in quello israeliano -- è possibile impedire che lo scenario abbia successo. Un'azione così determinata attualmente pare sfuggire alla volontà dell'amministrazione Clinton.

Lo scenario che più probabilmente condurrà al braccio di ferro nucleare prevede una o più atrocità terroristiche contro obiettivi israeliani, che risulterebbero chiaramente attribuibili agli hezbollah, ad Hamas o gruppi simili e, quindi, all'Iran, all'Irak o al Sudan. Le operazioni terroristiche sarebbero progettate in modo da scatenare il sostegno di massa degli israeliani, delle comunità ebraiche internazionali, delle forze controllate dagli "Israeliti britannici", ovvero i 60 milioni della destra fondamentalista protestante americana, affinché Israele infligga la punizione necessaria all'affronto. Netanyahu si sentirebbe allora incoraggiato ad avventure militari sulla soglia dello scontro nucleare, e così potrebbe procedere a distruggere il processo di pace iniziato ad Oslo senza perdere i consensi. La condizione per il braccio di ferro nucleare è che egli controlli l'arsenale nucleare israeliano che è il sesto al mondo. Attualmente egli lo controlla solo congiuntamente al ministro della Difesa, al Presidente, al Capo di Stato Maggiore ed ai direttori dei servizi. Per braccio di ferro nucleare non si intende il necessario ricorso all'arma nucleare, ma la capacità per Israele di condurre operazioni militari di vasta portata con la copertura del ricorso all'arma estrema qualora le sue azioni militari punitive incontrassero dei seri contrattacchi convenzionali.

  19 luglio 2001

Il piano di guerra di Sharon

Specialisti mediorientali negli USA hanno spiegato all'EIR che quando ha assunto l'incarico di capo del governo, Ariel Sharon ha incontrato i suoi migliori alleati politici e militari per metterli al corrente di un suo piano di guerra. Sono presi di mira l'Autorità Palestinese di Arafat, il regno hashemita di Giordania e altri paesi arabi. Lo scopo di Sharon è di arrivare ad espellere tutta la popolazione palestinese, come prevede la sua filosofia secondo cui "La Giordania è la Palestina".

Un elemento cruciale del piano di Sharon è quello di scatenare gli elementi palestinesi più radicali, in particolare Hamas, contro Arafat e la Giordania. Da una parte c'è la politica israeliana di fare giustizia sommaria con gli assassinii, di demolizione delle case ed altre misure volte ad infiammare gli animi palestinesi; dall'altra Sharon può contare su infiltrazioni in profondità nelle strutture di Hamas per ottenere le provocazioni terroristiche necessarie a "giustificare" la rappresaglia bellica.

L'intenzione di Sharon di eliminare Arafat e l'Autorità Palestinese incontra i consensi dei radicali di Hamas, che contano di "colmare il vuoto". Provocare un afflusso di rifugiati in Giordania, dove più della metà della popolazione è palestinese, porterebbe al rovesciamento del regno hashemita e all'instaurazione di una "Giordania è Palestina" sotto la gestione di Hamas.

Occorre ricordare che negli anni Settanta e Ottanta la politica di Israele è stata quella di assassinare i leader moderati dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e favorire la crescita di Hamas come fattore di destabilizzazione dell'OLP. Ad Hamas è stato poi concesso di aprire le proprie mense, cliniche, scuole e centri di assistenza sociale per creare "una struttura amministrativa parallela" a quella dell'Autorità Palestinese in Cisgiordania e Gaza.

Nel piano di guerra di Sharon è indispensabile il sostegno completo da parte dell'amministrazione Bush, che attualmente è divisa ed esitante a dare il via libera definitivo a Sharon, con tutto il sostegno militare necessario. Il piano di Sharon incontra i favori di quelle forze dell'amministrazione Bush che sono a favore di un riarmo militare e che hanno pertanto bisogno di un "pericolo immediato ben visibile" con cui convincere il Congresso ad approvare le spese. In effetti, parlando al Congresso, il ministro della Difesa Donald Rumsfeld ha riconosciuto che di fronte ad una crisi seria l'amministrazione dovrebbe portare l'aumento del bilancio del Pentagono dal 3 all'8-10 per cento del PIL.

Sharon inoltre gode di vari appoggi in Inghilterra. Secondo le fonti consultate, sarebbero in preparazione degli attentati contro arabi alleati ad Arafat ed all'Autorità Palestinese e operazioni terroristiche contro obiettivi americani in Europa e in Medio Oriente. Le stesse fonti aggiungono che Sharon starebbe conducendo un'operazione di guerra psicologica in Israele per assicurarsi il sostegno della popolazione ad una guerra. Si susseguono a raffica i "falsi allarmi" intercalati ad operazioni terroristiche reali che acuiscono la tensione a livelli insopportabili, tanto da rendere una guerra un "sollievo psicologico".

Foreign Report, pubblicazione del Jane's Defense, riferisce che i militari israeliani hanno messo a punto un piano di guerra, chiamato "Vendetta giustificata", che prevede l'invasione della Cisgiordania la distruzione dell'Autorità Palestinese con un dispiegamento di 30 mila soldati in 30 giorni.

  19 luglio 2001

La valutazione di un vecchio esperto di spionaggio

Un'interessante valutazione del fiasco dell'11 settembre dei servizi d'informazione USA è stata firmata dall'ammiraglio Bobby Ray Inman, ex vice direttore della CIA, sul New York Times del 9 ottobre. "La sorpresa completa ottenuta dai perpetratori degli atti di guerra dell'11 settembre ci costringe a rivalutare l'intera impostazione americana nella lotta al terrorismo. La priorità principale è interna ... La sfida più difficile a lungo termine è quella di ricostruire le nostre capacità di spionaggio", ha scritto Inman nel suo commento in cui non nomina una sola volta Bin Laden o formazioni terroristiche straniere.

La sua preoccupazione centrale è capire perché gli USA sono diventati "grossolanamente impreparati a tenersi informati sulle cose che più contano nel mondo intorno a noi". La preoccupazione di Inman non riguarda solo l'incapacità di individuare le fasi di allestimento di operazioni terroristiche, ma soprattutto la difficoltà di raccolta e valutazione delle informazioni di politica mondiale sulla cui base il governo USA possa decidere con chiarezza i suoi indirizzi di politica estera e di sicurezza.

Inman ha spiegato come negli anni Cinquanta "il 75 per cento delle informazioni grezze provenivano da persone che raccoglievano intelligence in tutto il mondo. Almeno due terzi di quelle informazioni provenivano da addetti dei servizi per l'estero impegnati in attività 'allo scoperto', come la lettura dei giornali, l'ascolto della radio, le conversazioni con funzionari locali ed in generale saper tenere ben aperti occhi e orecchie. Il resto del nostro 'intelligence umano' proveniva dalle informazioni raccolte in segreto da addetti clandestini, e cioè dalle spie".

Inman spiega come poi come, con l'affermarsi della "moda dell'analisi dei sistemi e della mentalità dei costi/ricavi", sia stata praticamente abbandonata la raccolta di informazioni nei servizi per l'estero. Anche le attività clandestine sono state abbandonate ed in parte sostituite dalle informazioni raccolte dai satelliti e dallo spionaggio elettronico. Nelle condizioni attualmente vigenti gli addetti "non hanno il tempo per le attività clandestine, che costituiscono l'unico modo in cui è possibile sgominare le reti terroristiche".

Inman riferisce che molti esperti, soprattutto tra coloro che in passato hanno servito nella diplomazia, sono decisamente preoccupati dal fatto che i servizi per l'estero attuali "non sono all'altezza del compito". Nel proporre di ricostruire questa capacità l'ammiraglio suggerisce di porre la massima importanza sull'istruzione del personale: "Occorrerà forse un decennio prima di tornare ai livelli di competenza che avevamo nel 1950. Intanto i nostri rapporti con altri paesi, compresi molti che non condividono i nostri principi democratici, saranno fondamentali per colmare il vuoto di intelligence umano. Dipendere dai servizi d'intelligence stranieri non è certo l'ideale e prima riusciremo a ridurre questa dipendenza e meglio sarà".

  25 ottobre 2001

Oltre la guerra in Afghanistan: dietro l'assassinio del gen. Ze'evi

In un documento del 12 ottobre LaRouche aveva scritto: "Data la tensione crescente tra l'Amministrazione Bush e una dirigenza militare israeliana in preda alla furia assassina, la situazione mondiale ha raggiunto una situazione infiammabile in cui non si può escludere che si manifesti la sindrome risalente agli anni Settanta, detta 'break-away ally'", ovvero la situazione in cui Israele, come un alleato scalmanato, minaccia di impegnarsi da solo in operazioni militari o "speciali", creando così una situazione in cui gli Stati Uniti si vedono "costretti" ad impegnarsi in una guerra in Medio Oriente per evitare che la situazione sfugga del tutto al controllo.

Quattro giorni dopo, il 17 ottobre, è stato assassinato il gen. Rehavam Ze'evi, ministro del Turismo israeliano appartenente alle formazioni politiche estremistiche. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) ha immediatamente rivendicato la responsabilità dell'attentato, con cui si sostiene di aver risposto all'assassinio del proprio presidente Abu Ali Mustafà avvenuto il 27 agosto.

In una successiva analisi del 20 ottobre, LaRouche tratta 1) il contesto e le caratteristiche dell'assassinio di Ze'evi e 2) affronta il tema del cui bono: a chi è servito l'assassinio di Ze'evi?

Sul primo punto, LaRouche sottolinea che sarebbe irresponsabile "escludere degli indizi molto chiari che lasciano intendere come nella lista dei sospettati autori dell'assassinio vi sia anche lo stesso Primo ministro israeliano... Negli ambienti della sicurezza ci si deve chiedere se Ze'evi sia stato ucciso come sostituto di uno Sharon che le fazioni più disperate dei militari israeliani volevano già uccidere. Data la realtà delle forze di sicurezza israeliane, e le capacità di cui lo stesso Ze'evi disponeva, un gruppo come il PFLP non avrebbe tentato un'azione del genere a meno di non aver abbastanza ragioni per credere che le varie cortine della sicurezza pubblica e privata attorno a Ze'evi non fossero abbassate ... Nel caso delle due formazioni armate palestinesi, il PFLP e Hamas, il ruolo del governo israeliano e di altri nel promuovere queste forze rivali alla fazione diretta da Arafat, al Fatah, rientra nelle operazioni tipicamente promosse da Ariel Sharon e dal suo alleato di vecchia data Ze'evi".

Sul secondo punto LaRouche scrive: "Chi ha beneficiato dell'assassinio di Ze'evi? Nessuno oltre al gruppo della dirigenza militare israeliana determinato a spintonare l'amministrazione Bush affinché acconsenta, o conduca in prima persona, un attacco in grande stile contro la Siria o l'Irak".

Inoltre, a poche ore dalla morte di Ze'evi, le forze corazzate israeliane sono penetrate nell'Area A controllata dall'Autorità Palestinese, occupando le principali città della Cisgiordania. Il governo israeliano ha lanciato l'ultimatum all'Autorità Palestinese affinché arresti ed estradi gli assassini e affinché sopprima il PFLP ed altre organizzazioni armate, pena l'essere trattata essa stessa come una "entità terroristica". Già prima dell'assassinio di Ze'evi, Israele aveva rilanciato l'eliminazione dei leader palestinesi. Yasser Arafat aveva reso noto che lui stesso correva il pericolo di essere assassinato. Queste operazioni da parte di Israele non sono rappresaglie "motive", ma una strategia freddamente calcolata per eliminare l'Autorità Palestinese sotto Arafat come unica forza palestinese capace di impegnarsi in un giusto processo di pace con Israele. Al tempo stesso l'assassinio di Ze'evi è sfruttato dal governo di Sharon per prevenire ogni possibilità di nuove iniziative di pace da parte di Stati Uniti, Russia ed Europa.