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Cheney rilancia la politica guerrafondaia contro l'Iran

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[EIR, n. 48 1 dicembre 2006]


Cheney rilancia la politica guerrafondaia contro l’Iran

 

 

di Jeffrey Steinberg

     
Henry Kissinger è tornato a fare il "suggeritore" della linea politica di Cheney e dei neocon
Il 22 novembre Lyndon LaRouche ha accusato il vice presidente Dick Cheney e la “Mafia israeliana” come  responsabili dell’ultima destabilizzazione del Libano: l’assassinio del ministro dell’Industria Pierre Gemayel, avvenuto il 21 novembre. A questo si aggiungono altre provocazioni israeliane che hanno fatto seguito alla guerra in Libano dello luglio scorso, che vanno dalla serie di attriti con le truppe di pace francesi alle minacce contro le unità navali tedesche nel mediterraneo, impegnate a mantenere la pace. Si tratta di manifestazioni dello  “stato mentale” di chi cerca la guerra, ha spiegato lo statista americano.

La tensione tra il governo francese e quello israeliano sulla crisi libanese è tale per cui le truppe francesi in servizio in Libano hanno ottenuto l’autorizzazione di sparare ai caccia israeliani che sorvolano il Libano, dopo che un incontro tenutosi a Parigi,  a metà novembre, tra esponenti militari francesi e israeliani si è risolto in un nulla di fatto.

LaRouche ha denunciato il fatto che si sta creando il clima in cui Israele potrebbe decidere di attaccare siti iraniani designati come “impianti per le armi nucleari”, mettendo così in moto una corsa internazionale a sostenere un attacco più ampio contro l’Iran a cui parteciperebbero gli Stati Uniti e altre nazioni — con il sostegno tacito ma entusiastico da parte di molti regimi arabi sunniti che adesso la cordata di Cheney a Washington sta spingendo in questo atteggiamento suicida.

Secondo LaRouche inoltre l’assassinio di Gemayel rivela i piani di Israele di lanciare un attacco militare contro l’Iran a tempi brevi, sotto la coordinazione di Cheney e del suo “partito della guerra” anglo-americano.

Nelle ultime settimane sono emerse diverse indicazioni di questi piani per un attacco israeliano. Tra queste i noti commenti del Presidente Bush che avrebbe detto al Presidente francese Jacques Chirac: “Non escludo la possibilità che Israele attacchi l’Iran, e se lo fa lo posso ben capire”. Il commento è stato riferito dall’edizione del 22 novembre di Ha’aretz e sarebbe stato ripetuto da Bush in diverse altre occasioni.

Il 22 novembre Gideon Samet ha firmato un commento, sempre su Ha’aretz, in cui presentava il rischio di un improvviso attacco israeliano contro l’Iran: “Chiudi gli occhi e pensa alla possibilità che il primo ministro Ehud Olmert, insieme al capo di stato maggiore e al ministro per le minacce strategiche e gli altri suoi consiglieri ... deciderà di agire contro la minaccia nucleare iraniana — e immagina che cosa significa per te. Questo è colui che gestì la guerra fallita contro l’esercito di guerriglia in Libano. Basta a tranquillizzarvi?”. Samet ha anche fatto riferimento al più recente articolo di Seymour Hersh, apparso sulla rivista New Yorker del 20 novembre, in cui denuncia la determinazione di Cheney a condurre un attacco militare contro l’Iran e riferisce che le forze speciali USA e Israeliane sono già entrate nel territorio iraniano per piazzare segnalatori elettronici nei siti da bombardare e organizzare operazioni di sabotaggio da parte di Kurdi, Baluci e Azeri.

 

Bibi suona la carica

Il 24 novembre, alla conferenza dell’Unione Ortodossa a Gerusalemme, l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, alleato stretto di Cheney, ha suonato la carica chiedendo che Israele passi ai fatti nei confronti dell’Iran. Ha descritto il presidente iraniano Mahmoud Ahamdinejad come più pericoloso di Adolf Hitler per il popolo ebraico, perché l’Iran si starebbe dotando di armi nucleari, ed ha affermato: “Il futuro dello stato ebraico è più in pericolo che mai nell’ultimo mezzo secolo”. Facendo riferimento non troppo velatamente all’arsenale nucleare israeliano, tanto vasto quanto non dichiarato, Nethanyahu ha aggiunto: “Dobbiamo utilizzare le forze che abbiamo ammassato per rendere gli ebrei non più indifesi ma capaci di decidere il proprio destino e proteggere il proprio futuro. Questa è la cosa più importante che possiamo oggi fare. Tutto il resto è secondario”. Alcune settimane prima, in un discorso a Los Angeles, Netanyahu era stato persino più esplicito: “È il 1938 e l’Iran è la Germania. E l’Iran corre ad armarsi con bombe atomiche”.

LaRouche ha concluso il suo monito sul rischio di un attacco israeliano contro l’Iran istigato da Cheney mettendo in guardia da ciò che ha definito il “pensiero cinematico”. È sbagliato partire dalle cause e gli effetti immediati, siamo di fronte ad un piano generale a lungo termine che prevede di far saltare in aria l’intera regione che si estende dall’Asia Sudoccidentale al Golfo Persico, che mira di arrivare in tal modo alla sovversione finale del sistema degli stati nazionali nato con il Trattato di Westfalia ed in questo senso distruggerà gli stessi Stati Uniti, come stato nazionale effettivamente sovrano. Questo è ciò che spinge Cheney e compagnia a istigare Israele affinché ricopra il ruolo dell’“alleato scalmanato”, che pretende di “non sentire nessuno” e provoca l’innesco che è indispensabile in quel piano da tanto tempo covato.

Un’offensiva militare israeliana, forte del sostegno e l’appoggio degli Stati Uniti, sebbene poco rilevante sul piano strettamente militare — a meno che Israele non ricorra davvero alle bombe atomiche — basterebbe però a scatenare un’ondata globale di guerra asimmetrica, così come prescrive lo “scontro delle civiltà” da decenni teorizzato da Bernard Lewis dell’Arab Bureau britannico. Così come l’agente britannico Henry Kissinger, anche Bernard Lewis è tra i grandi consiglieri di Dick Cheney, per il quale tiene seminari informali presso la residenza del vice presidente al Naval Observatory di Washington.

 

Kissinger dice e Cheney fa

Il 24 novembre l’ex segretario di stato USA Henry Kissinger ha preso posizione a favore di un attacco israeliano contro l’Iran in un lungo commento pubblicato dal Washington Post e da varie testate europee. Mentre in superficie Kissinger pretende di incoraggiare il dialogo diplomatico tra Stati Uniti, Europa, gli stati arabi sunniti e Teheran, in realtà poi si spinge a dire: “I negoziati nucleari con l’Iran si sono incamminati verso una conclusione priva di risultati. I Sei dovranno ad un certo punto scegliere tra sanzioni efficaci o le conseguenze di una capacità nucleare militare iraniana e la proliferazione mondiale che questa implica. L’azione militare degli Stati Uniti è estremamente improbabile negli ultimi due anni di una presidenza che deve trattare con un Congresso ostile — sebbene possa essere considerata più seriamente a Teheran. A Teheran certamente non possono ignorare la possibilità di un attacco unilaterale israeliano se  si chiudono tutte le opzioni negoziali”.

Più avanti nello stesso commento Kissinger promuove l’idea, già propagandata dall’Ufficio del Vice Presidente e dall’American Enterprise Institute, di un’alleanza tra Americani, Europei e Arabi Sunniti con Israele contro l’Iran, che Kissinger ha eufemisticamente denominato “politica dell’equilibrio” tra Iran e i regimi sunniti.

Lo stesso giorno in cui il Washington Post dava spazio alle esternazioni di Kissinger, il Wall Street Journal gli teneva bordone con un articolo di prima pagina intitolato “Discriminante religiosa: per contenere l’Iran gli USA cercano aiuto dagli alleati arabi”. A questo proposito le intense attività diplomatiche degli USA sono state erroneamente caratterizzate come “un’impresa per stabilizzare la regione e costruire una coalizione per contenere il regime sciita dell’Iran”. L’articolo, di Jay Solomon, fa la lista delle tattiche impiegate dai funzionari dell’amministrazione Bush per mettere in riga i regimi sunniti contro Teheran in una strana alleanza con Washington, Tel Aviv, il Consiglio di Cooperazione del Golfo, Egitto, Giordania e Libano. Solomon cita Vali Nasr, esperto del Medio Oriente della Naval Postgraduate School di Monterrey, in California, che mette in guardia proprio da questa campagna: “Tutta la retorica sul contenimento dell’Iran potrebbe innescare estremismi in competizione tra loro. A Washington non vogliono essere colti a sostenere attivamente ciò”.

O invece lo vogliono? Il fatto che il vice presidente Cheney abbia aperto le danze dei dialoghi con i Sunniti arabi con il suo viaggio a Riyad, in Arabia Saudita, mostra come gran parte dell’amminisrazione Bush non voglia in alcun modo tenere le distanze dai piani di uno scontro militare prima della fine della presidenza, o fors’anche prima dell’insediamento del nuovo Congresso, nel gennaio 2007.

Joshua Muravchik, luminare dell’AEI e attivista neocon, l’ha messa giù dura in un articolo apparso sul numero di novembre-dicembre della rivista Foreign Policy in cui ha scritto tra l’altro: “Non c’illudiamo, il Presidente Bush avrà bisogno di bombardare le strutture nucleari dell’Iran prima di lasciare la Casa Bianca. È semplicemente inconcepibile che l’Iran accetti qualsiasi invito pacifico ad abbandonare l’impresa di dotarsi della bomba. I suoi governanti sono fanatici regioso-ideologici che non sono disposti a cedere quello che essi ritengono il loro diritto di nascita allo status di grande potenza per un piatto di lenticchie. Anche se in Iraq le cose si mettono meglio, un Iran armato nuclearmente negherà ogni progresso su quel fronte”.

Muravchik ha messo sull’avviso: “Il tuono globale contro Bush quando premerà il grilletto sarà assordante, ed avrà molta eco qui nel paese ... Dobbiamo preparare intellettualmente la strada adesso, ed essere pronti a difendere quest’azione quando avverrà ... La difesa dovrà essere di dimensione globale. C’è un bisogno disperato nelle guerre ideologiche di oggi di qualcosa di simile al Congress for Cultural Freedom della Guerra Fredda, un ambiente globale di intellettuali e figure pubbliche che condividono una devozione alla democrazia. I leader di un tale movimento potrebbero comprendere Tony Blair Vaclav Havel e Anwar Ibrahim”.

 

Gli altri consigli di guerra

Oltre agli incontri di Cheney con il re Abdullah e con i principali dignitari sauditi, il Presidente Bush ha in programma incontri ad Amman, in Giordania, alla fine di novembre, per incontrare re Abdallah II e il primo ministro iracheno Nouri Al-Maliki, uno sciita che caduto in disgrazia a Washington, mentre intanto si parla di una “svolta sunnita” degli USA caratterizzata anche come una “ri-Baathificazione”.

Sia Tom Hayden che Paul William Roberts hanno scritto il 24 novembre che negoziati segreti sono già avvenuti tra i vertici dei ribelli sunniti in Iraq ed emissari dell’amministrazione Bush ad Amman, in Giordania. Secondo il principe Hassan di Giordania, ad un incontro avrebbero partecipato l’ex vice presidente ed ex ministro degli esteri iracheno Tariq Aziz che adesso è considerato come un mediatore chiave tra Washington ed i vertici dei ribelli sunniti. Il principe Hassan ha spiegato al giornalista Roberts che Condi Rice “ha personalmente fatto appello al Consiglio di Cooperazione del Golfo il mese scorso affinché operi come intermediario tra gli USA e la resistenza armata sunnita, esclusi i leader di Al Qaeda in Iraq”.

Un’altra indicazione di questa svolta politica è apparsa anche sul Wall Street Journal secondo cui il 30 novembre Condoleezza Rice incontrerà i ministri degli Esteri dell’Egitto, della Giordania e gli stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, i sei sceiccati sunniti del Golfo Persico ricchi di petrolio. Secondo il giornale “dovrebbero discutere come scoraggiare l’Iran dall’ingerirsi nella politca dei paesi vicini e dallo sviluppare un arsenale nucleare ... Le visite si collocano nel contesto degli sforzi USA per costruire un’alleanza regionale tra i sunniti. Le squadre navali USA sono state impegnate in esercitazioni di addestramento con diversi paesi del Golfo Persico. Il mese scorso gli USA hanno condotto esercitazioni militari con il Bahrain, il Qatar, l’UAE e più d’una ventina di altri paesi a circa venti miglia dalle acque territoriali iraniane. Le esercitazioni erano parte della Proliferation Security Iniziative dell’amministrazione Bush volta a ridurre i traffici di armi”.

 

Le solite “scorciatoie” per le informazioni

Si è molto parlato delle raccomandazioni dovrebbero essere presto rilasciate dalla Commissione Baker Hamilton, il gruppo di studio sull’Iraq sponsorizzato sia dal Congresso che dalla Casa Bianca. Ma si accumulano le indicazioni del fatto che la banda di Cheney è mobilitata per vanificare preventivamente l’iniziativa lanciando una propria revisione della politica dell’Iraq che arrivi al momento in cui Baker e Hamilton dovranno riferire. Ciò che questi due finiranno per raccomandare è noto: avviare colloqui diretti, senza precondizioni, con Teheran e Damasco. Un articolo di Tim Phelps, caporedazione di Washington di Newsday, riferiva il 23 novembre su “dissidi interni alla commissione Baker, aperta opposizione da parte del presidente George Bush e l’assassinio avvenuto martedì del ministro libanese complicano le prospettive di aperture degli USA alla Siria e all’Iran sull’Iraq, stando a quanto riferiscono fonti informate. Qualcuno che ha recentemente incontrato un leader del Gruppo di studio sull’Iraq ha raccolto lamentele sul dissenso interno e la partigianeria tra membri di un organismo teoricamente bipartitico, e teme che non si arrivi ad un consenso su questioni essenziali”.

A minacciare ancora di più gli sforzi del Gruppo di studio sull’Iraq c’è il ripristino delle “scorciatoie” che già furono usate prima della guerra in Iraq attraverso le quali le informazioni di dubbia origine e qualità arrivavano direttamente dal Pentagono all’ufficio del vice presidente, scavalcando la CIA e altri organismi preposti alla qualità dell’intelligence. Di queste “scorciatoie” ha riferito anche Seymour Hersh nell’articolo “Iran: il prossimo atto”, pubblicato sulla rivista New Yorker, ma già la notizia circolata in precedenza che Abraham Shulsky, che aveva lavorato all’Office of Special Plans durante la fase che condusse alla guerra in Iraq, dove gestì le operazioni di selezione, addomesticamento e forzatura delle informazioni, è stato di nuovo incaricato a lavorare “al problema dell’Iran” nell’Ufficio del Pentagono dell’Assistente Segretario della Difesa per la Politica, aveva suscitato molta preoccupazione.

Hersh ha riferito che un nuovo studio segreto della CIA, basato sulle ricerche tecnologizzate degli USA, solleva seri dubbi sull’effettiva esistenza del presunto programma di riarmo nucleare a cui l’Iran starebbe lavorando alacremente in segreto. Ma la valutazione della CIA è stata contestata da “informazioni di spie israeliane attive nel territorio iraniano secondo le quali l’Iran avrebbe sviluppato e testato un innesco per una bomba nucleare”. Secondo Hersh, la CIA non sarebbe stata messa al corrente di ciò che effettivamente hanno scoperto le spie israeliane, mentre le “informazioni grezze” che queste avrebbero raccolto sarebbero state passate dal Pentagono allo staff di Cheney e costituiscono ora una sorta di superarma nello scontro di fazione in corso nella Casa Bianca di Bush.

La partita è davvero grossa. Bombardamenti aerei israeliani o americani contro l’Iran scatenerebbero il caos globale nella regione, un nuovo shock petrolifero, uno scontro in profondità con l’Iran capace di far saltare l’intero sistema finanziario.

Questo ci riconduce al monito lanciato da Lyndon LaRouche secondo cui gli avvenimenti che si stanno verificando nel Sudovest Asiatico non sono il risultato di tragiche azioni e reazioni. Ma sono solo la recita della parte assegnata secondo il copione di un disastro globale che distruggerebbe anche gli stessi Stati Uniti tranvolgendoli sulla strada che conduce il mondo in una nuova epoca buia. È per questo motivo che secondo LaRouche è indispensabile che il primo passo per iniziare un processo di pace per il Medio Oriente martoriato dalla guerra consiste nell’avviare la procedura di impeachment di Dick Cheney e George Bush.