ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

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Incontro con LaRouche alla Camera dei Deputati (13.2.07)

La sinistra ha bisogno di una politica di reindustrializzazione

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L’ultimo treno per le infrastrutture italiane

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Discussa a Milano
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Al parlamento italiano ed europeo iniziative per la nuova Bretton Woods

Caso Moro: verità e giustizia per riscattare il paese

 

La sinistra ha bisogno di una politica di reindustrializzazione

Intervista a Mario Agostinelli, presidente del gruppo consiliare di Rifondazione Comunista al Consiglio Regionale Lombardo

 

 

     
Mario Agostinelli
25 settembre 2006 – Mario Agostinelli è presidente del gruppo consiliare di Rifondazione Comunista al Consiglio Regionale lombardo. Chimico-fisico, è ricercatore all’ENEA, l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente del Centro di Ispra, dove attualmente è responsabile del progetto volto a introdurre tecnologie per la mobilità a basso impatto ambientale (come l’auto a idrogeno) e a reindustrializzare l’area ex Alfa Romeo di Arese. Oltre ad aver contribuito alla nascita del sindacato CGIL, Agostinelli è stato per sette anni segretario della CGIL Lombardia. Nel 1999 invitò Anno Hellenbroich (EIR Wiesbaden) e il Movimento Solidarietà a parlare ad un convegno della CGIL sul tema “La globalizzazione irresponsabile” (http://www.lomb.cgil.it/scenari/globalreal.htm). In questa intervista sul progetto “auto idrogeno” per Alfa Arese, si augura che la sinistra e il governo promuovano una politica di reindustrializzazione, senza la quale il progetto del sindacato non potrà avere seguito, e sostiene la proposta di LaRouche per la riconversione di Ford e GM negli Stati Uniti. Agostinelli è stato intervistato da Liliana Gorini ed Andrew Spannaus.

  

 

Domanda: Negli Stati Uniti, nel Partito Democratico ed in ambienti sindacali americani, è attualmente in discussione il progetto presentato da LaRouche per la riconversione di Ford e GM per progetti infrastrutturali e per quanto riguarda l’auto, l’auto a idrogeno. Ho visto che esiste un progetto di fattibilità che avete elaborato a Ispra per reindustrializzare l’area ex Alfa Arese. In che cosa consiste il progetto, e qual è la situazione, c’è qualche possibilità di attuarlo? Quanto agli USA, come vedi il progetto di riconversione di Ford/GM presentato al Senato USA da LaRouche?

 

 

Agostinelli: Innanzitutto parlo di Arese. La caratteristica davvero inconsueta è che il progetto è nato con una sofferta elaborazione all’interno del sindacato. Con una serie di assemblee a cui ho partecipato quando ancora dirigevo la CGIL lombarda s’è cercato di elaborarlo coinvolgendo l’insieme dei lavoratori. Parliamo di una fabbrica che aveva alla fine degli anni Settanta 24.000 operai. Quando ho cominciato questa riflessione eravamo arrivati a 4.700. Questo nucleo molto avanzato ha cominciato a riflettere sulle prospettive del prodotto auto, e quindi sulla necessità di definire non più un prodotto settoriale, indipendentemente dai suoi effetti sociali, quanto piuttosto il concetto sotteso, la mobilità. Quindi siamo passati dall’auto alla mobilità, a chiederci che riflessi avrebbe avuto sull’industria manifatturiera, perché questo è il modo: occuparsi di un servizio, di un prodotto-servizio, un prodotto che doveva avere due caratteristiche: diventare socialmente desiderabile come lo era stata l’auto negli Anni Cinquanta. Quando si tornava al paese con l’Alfa tutti si toglievano il cappello, c’era questa identificazione. Dunque un prodotto socialmente desiderabile, e naturalmente anche dentro un mercato condizionato da scelte politiche. La prima riflessione è stata quella dell’abbandono del prodotto in cui tutti identificavano la loro storia non solo profesisonale, perfino politica. Per capire che cosa è stata l’Afla, 27 deputati della Repubblica italiana venivano dall’Alfa, nella sua storia che non è nemmeno una storia lunghissima, si parla di trentanni. Che cos’era l’Alfa allora? In “Rocco e i suoi fratelli” il personaggio interpretato da Alain Delon, quello che riscatta la sua famiglia e che diventa l’uomo guida della famiglia dal Sud, che sostituisce la mamma, lavora all’Alfa. L’Alfa è un luogo di grande integrazione, di straordinaria valenza anche democratica. Non è un caso che questa riflessione profonda avvenga dentro questo contesto. Pur andando in crisi l’Alfa rimane una fabbrica chiave per il territorio. Sono due milioni di metri quadri, il più grande capannone industriale d’Europa. La riflessione avviene con scontri interni fortissimi, con divisioni, con gruppi che si separano da questo percorso perché vogliono la cassa integrazione. Una parte tutelata che ritiene che l’unico problema è la tutela fino alla loro estinzione, una parte che dice “non ci dobbiamo estinguere, ci dobbiamo rinnovare”. Il primo passaggio è il cambio del prodotto, identificando il cambio nel carburante, nel motore. E dobbiamo fare così: l’auto a idrogeno. L’idea di un prodotto molto avanzato, collocato ancora in fasi alte della ricerca, e che è gradito fuori. Immediatamente dopo, quando il progetto si comincia a precisare e ci si collega a enti di ricerca (io nel frattempo esco dal sindacato e vado a lavorare all’ENEA e faccio da ponte) propongo all’ENEA di occuparsi di questa grande novità. E allora fanno un accordo con la Regione e con la FIAT per trasformare gli impianti in impianti verso l’alto idrogeno. Ma la FIAT che cosa fa? Imbroglia, fa un accordo e non lo rispetta.

 

Domanda: Dunque la riconversione non c’è stata?

 

Agostinelli: No. La FIAT continua a giocare sul tavolo dello smantellamento, e usa la sua forza per farsi dare soldi dallo Stato. Si apre un grande dibattito e la sinistra si divide. La sinistra che si chiama “riformista” dice “se questi lavoratori vogliono essere moderni devono andarsene” perché devono decidere loro. Altri nella sinistra auspicano invece una politica di reindustrializzazione. La FIAT tende a svuotare continuamente le prospettive di innovazione, e quindi a utilizzare la lotta dei lavoratori soltanto per una copertura salariale e il progetto che è firmato dalla Regione e sostenuto formalmente anche dalla controparte non parte mai. Quindi c’è un’opposizione nettissima delle imprese, di tutta la Confindustria. Quindi questa storia di “chi sono i moderni” è una stupidaggine. Tutti gli uomini moderati qui cominciano a scrivere sui giornali “ma cosa vogliono, c’è mille posti, perché non vanno a fare il postino”. Chiedono che il loro lavoro continui in una direzione socialmente diversa. Passo dopo passo mi sono trovato ad affrontare questa enorme difficoltà. E il fatto è che il settore più innovativo è quello operaio. Non ho più dubbi. Tutti gli altri contano storie. La Regione poi che formalmente investe in questo progetto si sente pressata da Tronchetti Provera che invece chiede di fare lì un “call center”.

 

Domanda: Dunque è una questione di deindustrializzazione dell’economia?

 

Agostinelli: Sì. Chiedono di fare un centro commerciale, un centro multi-mediale. Tutto purchè non ci sia un’attività industiale. Si apre quindi una lotta ferocissima e, anche per un mio ruolo all’ENEA, convinco il gruppo di ricercatori all’ENEA entro cui lavoro a occuparsi di Arese. E quindi facciamo un accordo con la Regione Lombardia e il sindacato perché la Regione Lombardia investa in un progetto di fattibilità, quello che avete visto. E per due anni 36 ricercatori, anche in maniera interdisciplinare, lavorano su una prospettiva di riconversione manifatturiera. Questo è il nodo. Puoi fare chiacchiere e deindustrializzare, ma il vincolo è una reindustrializzazione. E questo è il punto dove non riusciamo a passare, pur essendo aperta la questione.

 

Domanda: Ma è simile agli Stati Uniti dove Bill Ford si è dimesso perché della sua industria si è impossessato un gruppo di pirati della speculazione finanziaria?

 

Agostinelli: Ecco, io ho letto con enorme interesse la proposta di riconversione di LaRouche che mi hai dato. C’è molta consonanza. Con questa differenza che mi interessa notare. Negli Stati Uniti c’è un piano nazionale tutto sommato, che ha una enorme valenza, intanto sulla politica. Qui c’è un progetto sindacale che ha una forza di contrattazione enorme ma che rimane isolato dal politico. Neanche la sinistra lo sostiene. I due progetti, questa è la mia riflessione, rimangono deboli. Quello di LaRouche senza una spinta del sindacato, e dall’altra parte una grande spinta sindacale che arriva a questa maturità formidabile, ma senza il livello politico. E’ il punto da cui stiamo procedendo adesso. Abbiamo passato la fase sindacale, la fase della ricerca, adesso sono qui. Qui sto lavorando col governo nuovo… ad esempio Zipponi, che era segretario della FIOM, viene eletto e diventa responsabile per il settore industria di Rifondazione Comunista e entra nella Commissione Industria in Parlamento e sta ponendo questo problema, la questione Alfa. Quindi la questione è aperta. Però l’esperienza che ho fatto è che è una questione molto difficile. A mio giudizio dovremmo riflettere sui rapporti di forza e sui soggetti da attivare. E se i soggetti non stanno contemporaneamente sul fronte politico e sul fronte sociale è inefficace. La nostra sconfitta, che magari recuperiamo, dice questo. Il fatto ad esempio che ci sia un bel progetto ma che è affidato tutto al superamento di Bush ed alla vittoria democratica negli Stati Uniti dice che probabilmente deve arrivare a maturazione dei due livelli. E comporta uno scontro enorme. Dietro c’è il modello dell’auto individuale e del petrolio: è un modello per cui si fanno le guerre. Noi abbiamo capito che ci sono due aspetti importanti: uno la committenza di questo prodotto deve essere una committenza sicuramente mediata dalla politica. La transizione da questo sistema rigidissimo. Io spiegavo a Rubbia che il motore della Punto che fanno a Termoli, ma che montano anche sulla Corsa e su tutte le macchine d’Europa, costa 350 Euro. Il motore che lui ha progettato, messo in produzione nei primi tre anni costerebbe 1.740 Euro. Un Wankel a idrogeno, a combustione interna, e il combustibile costa. A dato che il motore di transizione lo devi fare entro i prossimi 10 anni, non esiste. E’ la rigidità di questo sistema economico. Dove ci si va a rifornire? La curva che vedete sulla parete è quella che portavamo in giro, la curva lì sotto è la curva di crescita dell’auto, sopra i distributori e tu devi stare in mezzo. Anche quando acquisti un’auto GPL e vai in giro ti domandi “ma se io vado in Irlanda non lo trovo” e quello ti basta per non comprare la macchina. Dunque un mutamento così profondo richiede che la transizione sia guidata da decisioni pubbliche. Ad esempio noi cominciamo dai veicoli di trasporto leggero, che inquinano moltissimo, sono responsabili di una parte del TM-10, e il Comune di Milano decide che entrano a distribuire le merci solo quelli che vanno con una riduzione dell’impatto ambientale. Poi abbiamo capito che il prodotto auto è riconvertibile soltanto se è accompagnato da una serie di altre misure: prima di tutto la riduzione del traffico, quindi molta telematica, molta informatica, un modello di trasporto non individuale, quindi car-sharing, car-pooling e un grande intervento sul trasporto pesante e anche sulla riorganizzazione. Non puoi avere un sistema “just in time” e poi chiedere di ridurre il traffico. E’ una cosa che ha alle spalle un’enorme rigidità. E richiede una guida politica di transizione molto decisa. Questo l’ho visto nel progetto presentato da LaRouche al Senato USA. Se posso dare io una valutazione, dedicherei più tempo alla transizione, alle iniziative prese sui territorio. Per esempio la California che comincia a dire “io voglio fare l’auto ibrida”, estremamente significativo. Su scala locale sei in grado di guidare una transizione, perché hai un maggiore controllo sul territorio. Se parti invece dalle politiche industriali, l’offerta, allora la Ford deve vendere in India, in Cina, se ne frega della cosa. Quando sono andato alla Mercedes a parlare di questo progetto e loro erano molto interessati mi dicevano che potevano mettere sul mercato entro sei anni l’auto a idrogeno a celle combustibili, sono assolutamente in grado di farlo. Decidevano di non farlo prima di 12 anni per ammortizzare i costi della Seria A e della Serie E. Quindi è una decisione politica.