ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

  

 

     


    [Solidarietà, anno XII n. 1, febbraio 2004]


    La cultura europea come
    fattore di dialogo tra le civiltà


    Il 4 settembre Helga Zepp-LaRouche, (al centro, di fronte, nella foto qui sopra) presidente dello Schiller Institute internazionale, ha partecipato alla conferenza del “World Public Forum Dialogue of Civilizations”, tenutasi a Rodi. La conferenza era stata organizzata da J.C.Kapur, editore della rivista indiana World Affairs, Nicholas Papanikolau, capo della greca Titan corporation, e Vladimir Yakunin, primo Viceministro delle Ferrovie russo.
    I partecipanti hanno sottoscritto una “Dichiarazione di Rodi” in cui si chiede di moltiplicare gli sforzi per rafforzare “i fondamentali valori della civiltà e i diritti inalienabili dell’uomo, in grado di affrontare le sfide e le minacce globali”. E’ necessario “un grande processo di discussione sui destini dell’umanità”, recita la dichiarazione, che afferma “la libertà umana di sviluppo nella cornice della propria cultura e del proprio territorio”. Senza un simile “progetto civilizzatore innovativo”, ammonisce la dichiarazione, “l’umanità continuerà per sempre in uno stato di rapida china verso l’Armageddon”.

    Di seguito il discorso di Helga Zepp LaRouche intitolato

    “La cultura europea come fattore di dialogo tra le civiltà”.


    Come può oggi una persona ragionevole nutrire il minimo dubbio sul fatto che l’umanità fronteggi la più grande minaccia alla propria esistenza nella storia? Oggi il sistema finanziario globale è nella fase del collasso finale, causato da errori sistemici e dal liberismo sfrenato decretato 40 anni fa dalle nazioni del Gruppo dei Sette, e seguito anche dalle nazioni dell’ex Comecon dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Tale svolta ci indusse ad abbandonare la produzione di beni fisici reali spostandosi verso la speculazione finanziaria, dalla società dei produttori a quella dei consumatori. Questo si riflette in parte nel fatto che nessuno parla più dei “decenni di sviluppo” delle Nazioni Unite, anzi, sembra che i cosiddetti paesi industrializzati abbiano accettato come un dato di fatto che parte dell’umanità sia condannata alla fame e alla miseria, e che gli organismi finanziari mondiali possano permettersi di cancellare tutto il continente africano.
    C’è una certa coerenza tra il crollo del sistema finanziario e la crescente minaccia di una guerra nucleare globale, minaccia che proviene anche dalla nuova dottrina americana della guerra preventiva, che include l’uso di “mininukes”, gli ordigni nucleari a raggio limitato, una politica molto pericolosa, che rischia di oltrepassare il confine tra armi convenzionali e nucleari. Si allarga sempre di più la forbice tra queste idee di un ordine imperiale unilaterale, che considera un “casus belli” l’emergere di qualsiasi forma di multipolarità tra le nazioni, e, dall’altra parte, l’idea di una comunità di stati sovrani, fondata sulla legge naturale internazionale.
    Ma anche se riusciremo ad evitare la catastrofe nucleare, saremo comunque giunti alla fine di un’epoca storica e, di conseguenza, alla fine della politica che ha provocato la crisi in cui versiamo. Il quesito che ci si pone è dunque: la nuova politica che sostituirà quella vecchia sarà segnata dall’ascesa di una nuova barbarie e nuovi secoli bui, oppure riusciranno le persone e le forze più sane al mondo ad unirsi prima che sia troppo tardi, ed a cooperare per definire una trasformazione che costituisca una alternativa positiva per tutto il genere umano?

    Due tradizioni

    Se intendiamo rispondere a questa domanda, dovremo affrontare il fatto che nella civiltà europea si sono sempre contrapposte due tradizioni epistemologiche diametralmente opposte, una delle quali domina attualmente le nostre istituzioni internazionali ed è responsabile della crisi della civiltà odierna. C’è poi una seconda tradizione, nelle cui idee e nei cui principii troviamo l’impeto iniziale per superare la crisi e che è in sintonia con idee simili che appartengono ad altre civiltà e culture.
    Questa seconda tradizione, platonica e umanistica, concepisce l’uomo come un essere essenzialmente cognitivo, diverso da tutte le altre creature viventi per la sua capacità di ragione creativa. Agendo in questa tradizione, l’uomo è capace di sviluppare ipotesi creative, ipotesi che, a loro volta, gli consentono di migliorare continuamente il legittimo ordine naturale del cosmo, e così facendo di migliorare le condizioni della vita umana. Considerata dal punto di vista politico, questa immagine dell’Uomo nella tradizione platonico-umanistica è associata all’idea di uno Stato la cui legittimità poggia unicamente sul suo obbligo di promuovere il Bene Comune. L’idea della infinita capacità umana di autoperfezionamento fu elaborata per primo da Platone. Con l’avvento del Cristianesimo, la stessa idea, per la prima volta, fu applicata a tutta l’umanità, in quanto ogni essere umano era considerato fatto a immagine e somiglianza di Dio Creatore. Storicamente, l’idea di uno Stato dedito al bene comune fu messa in pratica per la prima volta nel XV secolo, con l’emergere dello stato nazionale sovrano. Questa è la forma dello stato che ha interesse a promuovere e valorizzare le capacità dei cittadini, giacché sono la fonte di ricchezza per tutti. La tradizione opposta, invece, è quella a cui si riferisce Platone con la famosa metafora della caverna. Essa riduce l’uomo a una creatura per cui non esiste la ragione creativa del mondo delle idee, e la cui base cognitiva è soltanto l’esperienza dei sensi. Una persona simile percepisce la realtà come ombre proiettate sulla parete della caverna, e accetta le ombre come la realtà. Questa tradizione nega l’esistenza della conoscibilità di principii universali. Nella storia europea è emersa talvolta come positivismo, altre volte come empirismo, materialismo o utilitarismo.
    Tale immagine dell’uomo è sempre stata politicamente associata a forme di stato oligarchiche e imperiali, in cui una minuscola élite al potere domina oltre il 95% della popolazione, a cui non è consentito elevarsi al di sopra della condizione servile, e che viene sfruttata, mandata al macello o trattata come schiavi, come Schiller descrive, ad esempio, nel caso degli Eloti nell’antica Sparta. Questa forma estrema di utilitarismo, associata oggi all’idea economica del liberismo, della globalizzazione, del “valore degli azionisti”, e via dicendo, ha l’effetto di ridurre la stragrande maggioranza della specie umana a questo stato di degradazione. Già alla fine del XVII secolo, Leibniz previde che se l’utilitarismo fosse riuscito a prendere il controllo dei governi e delle principali istituzioni del mondo, avrebbe provocato una rivoluzione globale mirante a rovesciarlo.
    Esattamente come all’epoca dell’antica Roma, le forze imperiali di oggi partono dal presupposto che per mantenere il potere occorre rafforzare l’arretratezza e la grettezza delle masse. Per questo motivo i grandi mass media, e soprattutto l’industria dello spettacolo, promuovono una politica mirante a instupidire la popolazione. Le istituzioni politiche odierne sono largamente dominate da principii oligarchici, e sembra che le masse popolari vogliano affermare questo modo di pensare, imposto su di loro, secondo cui l’uomo è dominato dalla percezione dei sensi, dedito solo alla ricerca del denaro e dei piaceri momentanei. Studiosi indiani giustamente criticano l’Occidente perché è diventato completamente succube del “pavrrti”, cioè agisce solo sulla base di valori superficiali, senza sviluppare lo spirito o intelletto, o “nivrrti”. In questa sede desidero presentare la tesi che la parte europea della civiltà, che include storicamente non soltanto l’Europa, ma anche gli Stati Uniti e l’America Centrale e del Sud, troverà la forza di uscire dalla crisi attuale se riuscirà ad unire alle necessarie riforme economiche (capaci di riorientare la politica economica dalla ricerca del profitto verso il bene comune) un rinascimento culturale che si basi sulle idee migliori della tradizione platonico umanistica e del periodo classico della storia europea.

    Friedrich Schiller

    Ritengo che nelle opere dei grandi poeti, pensatori e artisti della cultura europea, noi possiamo trovare le idee che ci sono necessarie oggi. Dal punto di vista della loro metodologia, Platone, S. Agostino, Dante, Leonardo da Vinci, Niccolò Cusano, Keplero, Leibniz, Bach, Gauss, Mozart, Beethoven, Riemann, Vernadsky, per citarne solo alcuni, hanno già pensato in principio tutto quello che ci serve oggi per rimettere in ordine il mondo. Ma per me sarebbe difficile trovare, tra queste grandi menti del passato, qualcuno le cui idee abbiano più importanza per superare la crisi esistenziale attuale di quelle del grande poeta tedesco Friedrich Schiller. Il suo concetto, secondo cui ogni essere umano, ogni individuo ha il potenziale di svilupparsi fino a diventare un’Anima Bella, è oggi più attuale e vitale che mai. Come scrisse Schiller nella sua Quarta Lettera Estetica: “Ciascun individuo, si può dire, porta dentro di sé, per predispozione e destino, un essere umano puramente ideale, e il grande compito della sua esistenza è quello di accordarsi in tutte le sue alterazioni con l’unità immutabile di tale essere”. Mi pare già di sentire i cori di proteste da parte di qualcuno: “Ma lo Zeitgeist odierno è completamente differente! L’ottimismo culturale e l’idealismo di Schiller sono da tempo diventati obsoleti! Nietzsche ha già risposto a Schiller molto tempo fa; e inoltre, come si può credere, dopo le esperienze drammatiche in Germania, che possa ancora esistere l’’uomo puramente ideale’’ di cui parla Schiller?”. Il problema di questo coro di proteste è che riflette lo stesso paradigma culturale che sta per soccombere. Schiller ha oggi così tanta rilevanza proprio perché dovette affrontare il problema di come migliorare le condizioni politiche in un periodo in cui i governi erano corrotti e le masse degenerate. E giunse alla conclusione, valida ancor oggi, che qualsiasi miglioramento in campo politico fosse possibile soltanto nobilitando l’individuo. Schiller descrive la condizione spirituale dilaniata della sua epoca, in termini praticamente identici a quelli che vediamo oggi: “Ora domina il bisogno e curva sotto il suo gioco tirannico l’umanità decaduta. È l’utile il grande idolo del tempo, che tutte le forze devono servire e tutti i talenti omaggiare” scrisse nella Seconda Lettera Estetica. E nella Sesta Lettera, prosegue descrivendo l’individuo schiavo del mondo materialistico: “Vediamo che non soltanto l’individuo, ma intere classi di uomini esprimono solo una parte del proprio talento naturale, mentre il resto, come piante deformate, ne accenna a stento una traccia”. E poi: “Eternamente incatenato soltanto a un singolo frammento del tutto, l’uomo medesimo si forma unicamente quale frammento e, avendo nell’orecchio continuamente il rumore monotono della ruota che gira, non sviluppa mai l’armonia del suo essere: diventa solo una copia della sua occupazione, della sua scienza, anziché esprimere, nella sua natura, l’umanità”. Dunque che cosa possiamo fare quando lo Zeitgeist degrada la maggioranza delle persone al regno della sola esistenza fisica e dell’esperienza sensuale?
    Molti filosofi si sono posti il problema di come sviluppare la ragione umana. Ma il contributo speciale dato da Schiller consiste precisamente nel fatto che abbia sviluppato non soltanto la ragione per se, ma anche un metodo con cui si diventa capaci di nobilitare le proprie emozioni. Considera il primo obiettivo dello sviluppo umano quello “di stabilire una concordanza intima tra le sue due nature (la sensuale e la cognitiva), quello di essere sempre in armoniosa unità e agire con la pienezza della propria umanità”.

    L’anima bella

    Dunque, per Schiller, l’anima bella è il culmine e lo scopo sommo dello sviluppo umano. Un’Anima Bella è quella per cui si fondono libertà e necessità, dovere e passione, in modo che una persona così educata possa fidarsi ciecamente delle proprie emozioni, perché quelle emozioni non la indurranno mai a fare nulla che non venga dettato dalla ragione. Schiller descrive meravigliosamente questa idea nelle sue lettere su Callia, con l’esempio del Buon Samaritano, che accorre spontaneamente in aiuto di chi ha bisogno senza pensare neanche per un momento alla propria situazione ed ai propri interessi.
    Ma, giacché gli esseri umani sono come “piante deformate” dal punto di vista emotivo, l’“educazione delle facoltà emotive” (Empfindungsvermoegen, un termine schilleriano difficilmente traducibile, perché non è solo la facoltà emotiva, ma anche l’empatia, la capacità di comprendere il mondo emotivamente) è “il compito più urgente della nostra epoca”. Non è forse uno dei problemi più importanti oggi? L’eccessivo bisogno di gratificazione sensuale, che va di pari passo con l’attaccamento al mondo dell’esperienza sensitiva e al desiderio di soddisfare il proprio ego, si uniscono oggi alla brutale indifferenza verso i bisogni di un’umanità che soffre. Mentre l’esecrabile condizione della maggioranza del genere umano continua ad indignare coloro che sono capaci di pensare e di provare empatia, chiedendo loro azione, la maggioranza manca della capacità di immaginazione necessaria ad elevare i propri pensieri e le proprie emozioni al di sopra dei minuscoli confini della loro vita personale. E se si va da una persona simile e le si chiede di affrontare questioni più grandi subentra immediatamente un “blocco” psicologico, per cui la persona risponde “non ne voglio sapere!”. Il problema è che la persona la cui identità è unicamente confinata al regno della percezione sensoriale, della sua esistenza fisica, reagirà invariabilmente con la paura ogniqualvolta sente minacciata la propria esistenza fisica.

    Il sublime

    Per questo motivo il concetto schilleriano del sublime è di importanza cruciale per educare le facoltà emotive (Empfindungsvermoegen). “Solo come creature dei sensi siamo dipendenti, come creature di ragione siamo liberi” scrive Schiller nel suo saggio «Del Sublime». Se siamo dominati dai sensi, il nostro istinto di preservazione subentra ogniqualvolta qualcosa ci intimorisce, o temiamo la sofferenza fisica, e il nostro tentativo di difendere la nostra esistenza fisica ci rende schiavi. Nel secondo saggio sullo stesso tema, intitolato «Sul Sublime» Schiller scrive: “Tutte le altre cose devono dovere, l’uomo è la creatura che vuole. Per questo per l’uomo non vi è nulla di più indegno che subire violenza, giacché la violenza lo annulla. Chi ci fa violenza, non fa altro che mettere in dubbio la nostra umanità, chi la subisce in modo codardo, getta via da codardo la propria umanità”. E nel 1801 Schiller aggiunse questa straordinaria frase: “Si potrebbe fare degli uomini dei semi-dei se solo si cercasse, con l’educazione, di liberarli dalla paura. Niente rende al mondo una persone più infelice della paura, pura e semplice”.
    La risposta di Schiller sta nel porre la propria identità al livello del sublime, il che è possibile soltanto quando l’essere umano non è confinato dalla sua esistenza fisica, ma prova un senso di responsabilità verso le idee universali ed i principii che va al di là dei confini della propria vita personale. Soltanto quando considera la propria natura morale, e non quella sensuale, come la missione primaria della sua vita, potrà tenere a bada la propria natura sensuale, e far prevalere quella cognitiva. L’individuo che apprende a pensare e sentire al livello del sublime non soccomberà alla paura della morte, ma vivrà nell’immortalità anche durante il breve arco di tempo della sua vita. “Grande è colui che sconfigge ciò che fa paura, ma sublime è colui che, anche se vi soccombe, non lo teme” dice Schiller.
    “La capacità di far entrare il sublime nella propria vita emotiva, è uno dei più magnifici potenziali dell’umana natura” aggiunge Schiller, poiché rende l’uomo perfettamente libero. Schiller considera la bellezza una precondizione necessaria per l’umanità; ma la bellezza fa appello al mondo dei sensi. Quindi, “il sublime deve unirsi al bello, per fare dell’educazione estetica un tutto completo, ed ampliare la facoltà emotiva del cuore umano fino a estendere tutta la nostra predestinazione, andando oltre il mondo dei sensi”.
    L’uso della poesia e dell’arte classica, non come cuscini che ci riparano dalla dura realtà, ma come sentiero verso la vera libertà, questa era l’idea estetica di Schiller. Chi assiste ad una rappresentazione teatrale, e vede descritti sul palcoscenico i grandi destini di tutta l’umanità, si eleverà al di sopra dei limitati confini della propria vita quotidiana. Quando il teatro rispecchia gli standard classici stabiliti da Schiller, il pubblico si identifica con gli eroi sul palcoscenico dalle cui azioni dipende il fato della loro nazione, e la felicità o miseria delle loro popolazioni, spesso per generazioni a venire; dunque nel corso della tragedia teatrale imparano a pensare in grande, al livello del sublime.
    Per questo motivo la tradizione culturale negativa responsabile della crisi attuale presenta un aspetto particolarmente dannoso, il cosiddetto Teatro di Regia, ovvero l’interpretazione arbitraria, e modernistica, delle opere teatrali classiche, pratica che risale a Bertold Brecht. Il cosiddetto effetto-alienazione ed altre tecniche mirano espressamente ad impedire che il pubblico si identifichi con le grandi questioni che vengono sollevate sul palcoscenico. Tutto viene messo in dubbio, tutto viene trasformato in una farsa e relativizzato, con il prevedibile risultato: senso di impotenza e cinismo. E il cinismo è la morte della creatività.

    Un ordine universale giusto

    Schiller era assolutamente conscio del fatto che, al contrario, l’entusiasmo è la forza motrice primaria di qualsiasi azione creativa. Per questo sottolineava l’importanza di tenere alti gli ideali della propria giovinezza anche in età avanzata. L’ottimismo culturale e l’idealismo di Schiller sono diametralmente opposti ai castelli in aria utopistici; sono idee che precorrono le azioni, se il corso della storia dovrà avere un esito positivo.
    La tua idea di umanità non sarà mai troppo grande, così come nasce nel tuo petto, forgia la tua azione. Questo punto di vista di Schiller è ciò di cui c’è oggi bisogno; non dell’asettico pragmatismo che si adatta ad una realtà già abbastanza brutta, e da cui non viene mai nulla di nuovo, abbiamo bisogno piuttosto di una grande idea di come potrà essere il mondo. Per far progredire il genere umano ci vuole una visione per il futuro, che ispiri la gente e la sproni verso un’azione positiva. “Vivi con questo secolo, ma non diventarne la creatura” dice Schiller nelle “Lettere Estetiche”.
    Soltanto quando l’uomo si eleva al di sopra di ciò che è autoevidente (il mondo della percezione dei sensi) può scoprire i principii universali validi che corrispondono all’universo com’è in realtà. Quanto all’arte, Schiller aggiunge espressamente: “le leggi dell’arte non si fondano sulle forme caduche di un gusto popolare accidentale e spesso degenerato, quanto piuttosto nel necessario ed eterno della natura umana, nelle leggi primordiali della mente umana. Dalla nostra essenza divina, dall’etere eternamente puro dell’umanità idealistica sgorga la limpida fonte della bellezza, e non viene toccata dallo spirito dell’epoca, che ribolle molto più in basso, in torbidi vortici”.
    Questa idea che le “leggi primordiali della mente umana” hanno una corrispondenza diretta con il giusto ordine universale è profondamente Cusaniana (nel senso di Nicola Cusano) e Platonica. Ecco perché l’uomo può sconfiggere il Tragico e, anche quando dovesse morire, può compiere il sublime avvicinamento al proprio destino divino e, dunque, all’immortalità. “Hai dunque timore della morte? Vuoi essere immortale? Vivi nel tutto! Anche quando non ci sarai più, esso resterà”. L’idea che l’essere umano possa scrollarsi di dosso la paura delle cose terrene e collocare la propria identità nell’immortalità è il filo conduttore di tutta l’opera di Schiller. Un mezzo importante per giungervi, afferma Schiller, è lo studio della storia universale, perché solo colui che sa quanti sacrifici personali, quante battaglie, quante vite siano costate alle generazioni passate le condizioni attuali della nostra esistenza si sentirà in obbligo di tramandare alle generazioni future i tesori ricevuti, arricchiti ed incrementati, legando così la nostra “esistenza passeggera” all’eterna catena di tutti i popoli e di tutti i tempi.

    La storia universale

    Il concetto di Schiller della storia universale, ovvero l’idea che tutti gli avvenimenti fino a questo momento sono necessari per spiegare per quale motivo esistiamo oggi, è, a mio parere, il modo migliore per organizzare il dialogo tra le culture. Se si procede sulla base della storia universale, diventa evidente che non fu mai una sola cultura o una sola nazione a portare la fiaccola del progresso umano, fu semmai una volta una cultura, una volta un’altra. Diventerà chiaro anche che le grandi idee universali elaborate dal pensatore di una cultura, sono state tramandate nei secoli, prendendo piede in altre culture, dove hanno germinato le idee di altri pensatori.
    Un esempio: la recente scoperta archeologica di un’antica città, che risale a 9.500 anni fa, nel Golfo di Khambhat, 30 chilometri ad ovest dello stato di Gujarat, e poi sommersa 36 metri sotto la superficie dell’oceano, ha enormi implicazioni per l’indagine sulla storia universale. Perché questa grande città, 5.000 anni più antica delle grandi città dell’antica Mesopotamia, conferma descrizioni trovate negli antichi scritti Rigveda in cui si narra di città lungo il Fiume Sarisvati, che nessuno pensava potessero trovarsi in India, e che è stata recentemente scoperta grazie alle rilevazioni fatte dai satelliti dallo spazio. Ora, che cosa ci dice questa scoperta sul ruolo della cultura vedica per tutta la civiltà umana?
    Ci furono molte fasi di fioritura culturale nella cultura indiana, che vanno dall’epoca del calendario vedico, le origini degli Upanishad, fino al periodo Gupta e poi fino al rinascimento della fine del XIX secolo e inizi del XX. In Cina, Confucio fondò una delle più grandi tradizioni filosofiche della cultura mondiale, e fu seguito da Mencius e Zhu Xi, e dalla grande produzione artistica, soprattutto durante le dinastie Tang e Song. L’imperatore Kang-shi fu lodato da Leibniz per le sue conoscenze matematiche. L’Egitto, la vera culla della cultura europea, ebbe molte fasi di alta cultura, soprattutto la Terza Dinastia del Vecchio Impero, ma anche la Quarta, Dodicesima, Dicionnovesima e Ventesima dinastia. Dopo il crollo della Grecia classica, che si era trasformata in un impero, dopo il crollo dell’impero romano e i secoli bui in cui discese l’Europa medievale, i califfi della dinastia Abbasid diedero vita al rinascimento islamico, che salvò la cultura europea e, grazie ai legami tra Harun al-Rashid e Carlo Magno, risollevarono le sorti culturali dell’Europa. Il Rinascimento andaluso e italiano, e il periodo dei classici tedeschi, furono altre epoche di questa fioritura culturale. Dare un quadro completo di queste epoche andrebbe ben oltre il tema della mia presentazione.

    Dialogo tra le culture

    Ma quello che mi preme sottolineare in questa sede è che il dialogo tra le culture deve essere condotto dal punto di vista dei migliori contributi dati da ciascuna cultura. Perché a quel punto capiremo come aveva ragione Schiller, quando diceva che il filo che unisce le idee universali, nella scienza, nella filosofia e nell’arte, attraversa tutta la storia umana e che, una volta riconosciuta questa caratteristica universale comune, la nostra varietà e diversità costituisce un fantastico arricchimento per tutti noi.
    Così, non è un caso, ad esempio, che l’antico concetto degli Upanishad di unità essenziale tra tutte le religioni e i percorsi spirituali (“ekoham svat virpa bahuda vadanti”, che significa “la verità è una, è solo che gli uomini saggi le hanno dato nomi diversi”) trova un’espressione corrispondente nell’idea europea della giustizia eterna e della legge naturale, che stabilisce il diritto di tutti al migliore sviluppo possibile.
    L’idea del Cusano che possa esservi concordia nel macrocosmo solo quando tutti i microcosmi si sviluppano nel modo migliore possibile, deve essere valida anche per i rapporti tra le nazioni e le culture del mondo. Questa dovrà essere la base di un nuovo ordine mondiale, di una comunità di principii tra stati nazionali perfettamente sovrani. La pace sarà possibile solo se ciascuno riuscirà a sviluppare il proprio potenziale nel modo migliore, e se ciascuno vedrà il proprio interesse nell’interesse degli altri. Lo scopo del dialogo non è quello di definire qualche dogma su chi abbia torto e chi abbia ragione, ma di studiare la scienza universale del potenziale di sviluppo del genere umano. E sarà soltanto grazie a questo dialogo che i partecipanti ad esso diventeranno persone migliori. Nella filosofia indiana la nozione di “nivrtti” significa che l’uomo deve comprendere il proprio Io più profondo e trovare la propria identità al di là dell’ego dei sensi, in un Io più grande, un’approssimazione della nozione del sublime di Schiller. L’educazione del “nivrtti” corrisponde vagamente all’educazione dell’“Empindungsvermoegen” di Schiller, l’educazione delle nostre facoltà emotive.
    La nostra preoccupazione per questa questione non è affatto accademica. Per tornare all’inizio della mia presentazione: siamo sull’orlo di rivolte sociali esistenziali, e non è in alcun modo possibile che l’ordine attuale resti intatto. Non è mai stato più chiaro di oggi quanto avesse ragione Schiller quando indicava l’efficacia della Nemesi nel corso della storia, come oggi in Iraq. Una guerra fondata soltanto sulle menzogne, che viola ogni aspetto della legge internazionale, si è trasformata in Nemesi per coloro che l’hanno iniziata. Ma disgraziatamente questo non riduce la minaccia per la pace mondiale, al contrario, la aumenta drammaticamente. In questa situazione, in cui cambiamenti fondamentali stanno affondando il vecchio mondo, lasciando al suo posto il caos, o spazio per un nuovo ordine mondiale più giusto, la possibilità di uscire dalla crisi sta solo nell’emergere di uomini e donne, leader politici e statisti che collochino la propria identità al livello del sublime.
    È mia profonda convinzione che se, nel mezzo di questa profonda crisi, torneremo alla tradizione migliore di tutte le culture del mondo, facendola rivivere soprattutto tra i nostri giovani, e stabiliremo un nuovo ordine economico mondiale più giusto, unendolo con tale dialogo tra le culture, ci attenderà un rinascimento molto più ricco di quello che abbiamo già avuto.