ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

 

 

 

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Economia fisica: il crac dal punto di vista della composizione della forza lavoro

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La bomba del debito delle famiglie USA

Economia USA:
Un sistema decotto

No, non è una recessione, è il sistema che crolla

L'eredità di Vladimir Vernadsky

L’oro come antidoto alla febbre del dollaro

Iperinflazione:
crollano le dighe

Bundesbank: new economy
truffa statistica

L'euro travolto dal crac finanziario globale

Il falso mito del boom economico USA

Il test del Quoziente Intellettuale in economia

La distruzione delle ferrovie inglesi paradigma della "terza via" globalista

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LTCM: quando sono più furbi a sbattere il naso

Le tre curve che segnano il destino della bolla speculativa

Perché occorre abolire il Fondo Monetario



 [Solidarietà, anno VIII n. 2, giugno 2000]


Il falso mito del boom economico USA

Il 3 aprile l’Executive Intelligence Review ha presentato a Berlino un voluminoso studio economico, intitolato "I miti della società dell’informazione", in cui si analizza il "miracolo economico americano" e la sua più recente espressione, la "New Economy" internettiana, stabilendo che mancano di ogni base reale. Riportiamo di seguito il discorso introduttivo con il quale Lothar Komp ha sintetizzato gli aspetti salienti dello studio.

Il sistema economico sta attraversando trasformazioni tali che non lasceranno pietra su pietra. I vecchi criteri che hanno accompagnato la ricostruzione dell’economia reale nel dopoguerra vengono irrimediabilmente abbandonati. Al loro posto subentrano criteri che solo qualche anno fa erano giustamente considerati sciocchezze irresponsabili e pericolose. È così che l’entusiasmo per le trattazioni finanziarie elettroniche ha indotto gli investitori a riversare, nei soli Stati Uniti, circa un trilione di dollari nei titoli Internet. La realtà è invece meno entusiasmante:

• Il settore Internet opera chiaramente in passivo

• Le perdite delle imprese Internet USA sono aumentate di otto volte nel corso degli ultimi tre anni

• Le imprese Internet continueranno ad operare in passivo, confermando la tendenza sin ora registrata

• Tutte le previsioni confermano che il 90% di queste imprese necessariamente fallirà nel corso dei prossimi anni.

Un fascino notevole sulla psicologia di massa è ovviamente esercitato dalla rivalutazione a lungo protratta delle azioni, che sono diventate una sorta di nuova valuta globale per le acquisizioni delle imprese.

La produttrice di software Microsoft e la fornitrice di tecnologie per Internet Cisco – che contano poche decine di migliaia di dipendenti – hanno raggiunto una capitalizzazione di mercato di circa 500 miliardi di dollari.

All’altra estremità di questa nuova scala di valori c’è ad esempio l’Ucraina, una delle nazioni più popolose d’Europa che fino a pochi anni fa vantava un’industria del settore aerospaziale con clienti in tutto il mondo, la quale ha però perso la propria affidabilità creditizia da quando non riesce più ad onorare un debito di due miliardi di dollari. Di conseguenza sull’Ucraina si fanno sentire forti pressioni internazionali affinché privatizzi il parco industriale che le rimane cedendolo ad investitori stranieri. Alle condizioni attuali, il valore di mercato delle imprese industriali ucraine non raggiungerebbe quello di una impresa media del settore Internet USA il cui prossimo fallimento è più che certo.

Tra l’economia ucraina e quella degli USA si collocano le economie europee occidentali. Qui si registra ancora qualche vantaggio tecnologico in alcuni settori tradizionali di investimento come quello delle macchine utensili, ma il clima creato dai mass media e dagli stessi governi induce questi settori ancora rispettabili ad adottare usi e costumi della "New Economy" made in USA.

In tali circostanze è importante porre in risalto gli aspetti più discutibili della realtà che si cela dietro la facciata scintillante del cosiddetto boom economico americano.

Il miracolo della produttività americana

L’aura miracolosa della "New Economy" nasce dal presupposto che la "rivoluzione digitale" moltiplichi la produttività, e che, diversamente dai cicli congiunturali dell’economia tradizionale caratterizzati da alti e bassi, avrebbe schiuso un’epoca di sviluppo economico in cui non ci sono né interruzioni né inflazione dei prezzi. Da qui deriverebbe una specie di garanzia di redditi sempre maggiori sui mercati azionari. (Figura 1)

Quando si descrivono queste rosee prospettive solitamente si evita accuratamente di menzionare un elemento molto importante.

Secondo tutte le misurazioni ufficiali, l’incremento di produttività registrato negli USA tra gli anni Settanta e il 1995 risulta inferiore a quello registrato in tutto il dopoguerra fino alla fine degli anni Sessanta. (Figura 2)

Mentre l’economia USA negli anni Cinquanta e Sessanta ha mediamente registrato un incremento annuo della produttività di poco superiore al 2%, nel periodo successivo la media è stata di circa la metà. Le cose assumono un aspetto maggiormente preoccupante quando la curva dell’andamento della produttività viene confrontata con la curva degli investimenti nel settore informatico. In tal caso infatti i rapporti diventano inversamente proporzionali: all’aumento degli investimenti nelle tecnologie informatiche corrisponde in pratica una diminuzione di produttività dell’economia USA.

Gli economisti definiscono il fenomeno il "paradosso della produttività". Qualche anno fa il Nobel per l’economia Robert Solov disse chiaro e tondo: "Gli effetti dell’epoca del computer si sentono dappertutto meno che nelle statistiche della produttività".

Nella seconda metà degli anni Novanta le autorità governative USA hanno introdotto nuovi metodi contabili decisamente più "compiacenti" per calcolare l’inflazione e altri dati statistici. Grazie a questa attenta opera di contabilità creativa si fece in modo da far registrare tra il 1996 ed il 1999 un’"accelerazione dell’aumento della produttività". La favola, grazie all’impegno di personaggi come il governatore della Federal Reserve USA Alan Greenspan, si è diffusa sempre di più. Che si trattava di un truffa contabile bella e buona fu chiaramente denunciato fin dall’inizio dal professore Robert Gordon della Northwestern University. Nel giugno 1999 Gordon pubblicò uno studio sugli aspetti specifici delle manipolazioni statistiche del governo dimostrando, cifre alla mano, che mentre l’industria stessa dei computer ha registrato un incremento di produttività notevole, "non c’è nessuna accelerazione della produttività nel 99% dell’economia al di fuori dei settori della produzione di hardware di computer".

Ma se manca questa mitica espansione della produttività che fa parlare di "boom economico USA", che cosa alimenta l’euforia incredibilmente protratta che imperversa sui mercati azionari? La risposta si trova facilmente dando un’occhiata alle cifre del debito, degli investimenti nelle infrastrutture e nel reddito reale.

L’economia USA è preda di quella che si sta rivelando la più grossa bolla speculativa della storia dell’umanità. Per tenere in piedi la piramide occorre convincere percentuali sempre maggiori della popolazione ad affidare risparmi e pensione ai giochi febbrili della borsa. Per questo è stato allestito tutto l’arsenale pubblicitario della "New Economy". In effetti sono proprio pochi gli investitori tanto ingenui da credere davvero alla miracolistica della "New Economy". Al tempo stesso però, di fronte a tanto dispiegamento di fanfara, i molti finiscono per concludere che ci sono sempre degli allocchi veri e propri, quelli che ci credono davvero e che finiranno per rimetterci le penne. Così si è determinata la situazione in cui quasi tutti credono d’essere i più furbi che restano dentro a far profitti finché dura, ma tenendo bene d’occhio le uscite di sicurezza per svignarsela con un attimo d’anticipo sul crac della bolla.

Per continuare a massimizzare i profitti derivanti dalla bolla speculativa si finisce per rinunciare a fare o rimandare gli investimenti a lungo termine e gli accantonamenti di vario tipo. Questo avviene nei bilanci familiari, in quelli delle imprese e delle amministrazioni pubbliche e governative. Le conseguenze complessive di questa ottica del profitto immediato sono le seguenti:

• L’accumulo di una spaventosa piramide di debiti delle imprese e dei privati.

• L’abbandono degli investimenti pubblici nelle manutenzioni e nel rinnovo delle infrastrutture fisiche.

• La diminuzione del livello di vita di strati crescenti della popolazione dovuta a perdite di potere d’acquisto e ai tagli del bilancio sociale.

La piramide del debito

•L’indebitamento delle famiglie (credito ai consumi, carte di credito, credito per l’auto, ecc.) è passato da 3,3 a 6 trilioni di dollari nel corso degli anni Novanta.

• Il debito delle imprese nel corso dello stesso decennio è passato da 6 a quasi 13 trilioni di dollari.

• Il debito pubblico è passato anch’esso dai 3 ai 6 trilioni di dollari nello stesso arco di tempo.

• Al debito complessivo di questi tre settori – privati, imprese e pubbliche amministrazioni – che ha raggiunto i 25 trilioni di dollari, circa il 300% del PIL, si assommano 60 trilioni di dollari di scadenze a breve termine delle banche USA nel settore dei derivati finanziari, le operazioni speculative fuori bilancio. Questo debito è aumentato sei volte nel corso dell’ultimo decennio.

• Attualmente l’indebitamento complessivo degli USA si moltiplica tre volte più rapidamente del PIL: ad ogni nuovo dollaro di PIL corrispondono tre dollari di debito!

• Nel debito delle famiglie, la categoria che aumenta più rapidamente riguarda i debiti contratti per l’acquisto di azioni (margin debt). Questo debito ha oggi raggiunto una percentuale del PIL pari a quella del crac del 1929. Nel corso del 1999 l’indebitamento per l’acquisto di azioni è passato dai 141 ai 228 miliardi di dollari, un incremento del 56%. Nel gennaio 2000 la cifra ha raggiunto i 244 miliardi.

In questa categoria si contano solo i debiti che gli investitori contraggono con il broker. Se poi si aggiunge il debito contratto allo stesso scopo su carta di credito, l’ipoteca del fondo pensionistico e della casa, il volume del debito per l’acquisto di titoli di borsa si può calcolare sui 600 miliardi di dollari.

Le famiglie USA spendono più di quanto guadagnano, per cui l’economia USA consuma più beni e servizi di quanti ne produce come questo è evidente dall’esplosione del deficit commerciale verificatasi negli ultimi anni:

• All’inizio degli anni Novanta il deficit era contenuto al di sotto dei 50 miliardi di dollari.

• Dal 1994 al 1997 le importazioni hanno superato le esportazioni di circa 100 miliardi di dollari annui.

• L’ accentuata spinta consumistica degli anni successivi non è stata accompagnata da una spinta produttiva per cui il deficit ha raggiunto i 169 miliardi di dollari nel 1998 ed i 271 nel 1999.

• Se poi si considerano le sole merci, escludendo i servizi, il deficit del 1999 è di 347 miliardi di dollari!

• Si tratta di un andamento inarrestabile, tanto che nel primo mese del 2000 il deficit ha toccato il nuovo record mensile di 28 miliardi di dollari.

• A questo punto, le importazioni aumentano cinque volte più rapidamente delle esportazioni.

Infrastrutture fatiscenti

Secondo l’American Society of Civil Engineers (ASCE), soltanto a Washington occorre investire nel corso dei prossimi cinque anni 1,3 trilioni di dollari solo per colmare le lacune infrastrutturali più vistose. Inoltre:

• Il 59% della rete stradale USA versa in condizioni tra il carente ed il disastroso. Anche in previsione di un aumento del 66% del traffico stradale nell’arco dei prossimi venti anni, la rete risulta in ogni caso insufficiente. Già attualmente più del 70% del traffico si svolge in situazioni di congestionamento nelle ore di punta.

• Il 31% dei 575.000 ponti manifesta delle carenze strutturali o addirittura non è più transitabile.

• Il 20% degli autobus e il 23% delle vetture ferroviarie sono in condizioni carenti. Lo stesso dicasi per il 35% dei veicoli agricoli e dei veicoli speciali. Il 21% dei binari dev’essere sostituito.

• Il continuo rinvio delle manutenzioni di molte dighe costituisce una minaccia alla vita dei cittadini con il rischio di danni materiali enormi. Su 74.000 dighe, 9.300 sono giudicate altamente pericolose e altre 1.900 sono state definite insicure. Negli ultimi cinque anni sono stati notificati 350 cedimenti di dighe. Un quarto di tutte le dighe ha più di cinquant’anni; queste stanno quindi superando la vita media per cui sono state progettate. Più di un terzo delle dighe della categoria ad alto rischio non sono mai state ispezionate nel corso degli ultimi otto anni.

• Nel 1996 il 7% dell’erogazione complessiva d’acqua potabile non è stata sufficientemente depurata per rientrare nelle norme vigenti, di conseguenza l’acqua per uso domestico deve essere prima bollita.

• I 16 mila sistemi fognari pubblici sono generalmente sovraccarichi e vecchi.

• Le 86.000 scuole pubbliche versano in condizioni tanto fatiscenti da richiedere la completa ricostruzione di un terzo degli edifici. I 14 milioni di studenti nei prossimi anni aumenteranno, mentre per l’edilizia scolastica non è previsto alcun freno allo smantellamento provocato da condizioni sempre più precarie: infiltrazioni di acqua piovana, malfunzionamento del riscaldamento, ecc.

La "piena occupazione", più posti di lavoro e meno salario

Uno dei vanti attribuiti alla "New Economy" sarebbero i 30 milioni di posti di lavoro creati dagli anni Ottanta. Come prima cosa a questo riguardo si preferisce tacere il fatto che tra il 1990 e il 1998 la popolazione USA è aumentata di 21,5 milioni.

Occorre quindi notare che dopo un decennio di sistematico alleggerimento della busta paga reale, oggi solo la metà dei posti di lavoro offre una retribuzione sufficiente al mantenimento di una famiglia di due o più persone. Di conseguenza si registra un aumento preoccupante del doppio o triplo lavoro. Circa due terzi delle donne americane in età lavorativa svolgono un’attività. Tra il 1990 ed il 1997, le madri sole con bambini al di sotto dei sei anni costrette a lavorare sono passate dal 48,7% al 65,1%.

Mentre i profitti della borsa negli ultimi anni hanno creato molti nuovi miliardari, i quattro quinti delle famiglie USA hanno subito una riduzione del reddito (fig. 3).

• L’80% delle famiglie, quelle che rientrano nelle fasce inferiori della piramide, hanno complessivamente un reddito che tra il 1977 ed il 1999 si è ristretto dal 55,8% al 49,6%.

• L’1% delle famiglie, le più ricche (1,2 milioni con 2,75 milioni di persone), incassa più del 38% delle famiglie a reddito più basso (43,7 milioni con 105,6 milioni di persone). Mai prima nella storia americana il divario tra ricchi e poveri è stato così accentuato.

La forbice tra ricchezza e povertà è stata esasperata dai mercati azionari. Tra il 1995 ed il 1999 i redditi di capitale incassati sono passati da 180 a 530 miliardi di dollari. In realtà le entrate di redditi di capitale, dividendi ed interessi sono ammontate nel 1999 a circa 1,6 trilioni di dollari. Il reddito delle attività finanziarie è sostanzialmente maggiore del reddito delle occupazioni produttive (industria, agricoltura, costruzioni, miniere, trasporti, energia).

Tre quarti del reddito finanziario però finisce nelle tasche del 20% delle famiglie a reddito alto. A moltiplicare i dividendi dei ricchi contribuiscono dagli anni Settanta i generosi sgravi fiscali che vengono finanziati con i tagli spietati del budget sociale e delle spese alla sanità.

Nel Balanced Budget Act del 1997 sono stati approvati tagli al welfare sociale e alla sanità per 433 miliardi di dollari in un periodo di 10 anni:

• Nel "Medicare", l’assistenza sanitaria usufruita da 38 milioni tra anziani e handicappati, i tagli sono di 115,1 miliardi, tra il 1998 ed il 2002 e di altri 270,4 miliardi tra il 2003 ed il 2007.

• Nel "Medicaid", l’assistenza sanitaria usufruita da 36 milioni di poveri, i tagli sono di 10,4 miliardi tra 1998 e 2002 e di 37,4 miliardi tra 2003 e 2007.

Molti ospedali delle amministrazioni comunali, che mediamente coprono il 44% del proprio bilancio con gli assegni di Medicare e Medicaid, vanno incontro al fallimento sicuro.

Meno di due terzi degli occupati negli USA usufruisce di un’assistenza sanitaria. Tra quelli del 20% a reddito più basso, solo un occupato su quattro è assistito. Nel 1999 i bambini senza assistenza sono stati 11 milioni. Tra il 1987 ed il 1997 i cittadini americani costretti a rinunciare all’assistenza medica sono passati dai 31 ai 43,4 milioni. La stessa tendenza si riscontra sul fronte delle pensioni. Solo il 45% degli occupati versa i contributi previdenziali. Tra il 20% a reddito inferiore la percentuale scende a 13%.

Peculiarità del vantato boom economico: un bambino nero che nasce oggi in un ghetto di New York ha un’attesa di vita inferiore a quella di un neonato in Bangladesh.